In un’intervista completa, la prima del suo genere, con Al Mayadeen, l’attivista internazionale Georges Abdallah parla della sua ideologia, degli anni di prigionia, della resistenza e della costruzione dello Stato.
L’attivista internazionale Georges Abdallah, liberato dopo 41 anni di carcere in Francia, ha raccontato in un’intervista esclusiva con Al Mayadeen dalla sua città natale di Qobayat la sua esperienza di prigionia, denunciando l’ingerenza diretta degli Stati Uniti nel suo caso e ribadendo che la sua libertà è legata alla solidarietà internazionale per la Palestina e Gaza.
Una prigionia più costosa della libertà
Abdallah ha affermato che la sua detenzione era diventata più costosa per la sicurezza nazionale francese della sua liberazione, sottolineando che l’ondata di mobilitazione globale a suo favore lo ha collegato alla lotta contro il genocidio a Gaza.
Ha ricordato che la sua famiglia ha sopportato gli anni di prigione con dolore e lealtà, e si è detto sorpreso di trovare il Libano “unito, solido e accogliente” dopo il suo rilascio.
Ha spiegato di essere stato processato da un tribunale speciale per il terrorismo senza giuria, sebbene non gli fossero stati contestati capi d’accusa legati al terrorismo.
Nel 2012, “accettarono l’ordine di liberazione, ma chiesero la firma del ministro degli Interni, che a sua volta si rifiutò, il che significa che l’intera autorità politica rifiutò l’ordine”.
Abdallah ha rivelato che Hillary Clinton “inviò un messaggio registrato in cui diceva al ministro degli Interni che la sentenza del tribunale non contava” e che “dovevo rimanere in prigione, cosa che poi avvenne”.
“La sentenza del tribunale non aveva importanza: dovevo restare in carcere”, ha citato Abdallah, riferendosi agli ordini provenienti da Washington al ministero degli Interni francese.
La solidarietà come chiave della liberazione
Riguardo alle circostanze che portarono alla sua liberazione, Abdallah ha spiegato che “una campagna ha fatto sì che la solidarietà verso di me diventasse parte della lotta per la Palestina e contro la guerra di sterminio a Gaza“.
Quando si alzano slogan come “Libertà per Georges Abdallah, Palestina libera“ e in mezzo sventolano bandiere palestinesi, questo “rappresenta una violazione di ciò che viene chiamata sicurezza nazionale per la Francia“, ha detto Abdallah, aggiungendo che “tutte le leggi finiscono davanti a ciò che viene chiamato interesse dello Stato, in Francia e altrove“.
In questo contesto, ha affermato che gli americani “credevano che la mia liberazione danneggiasse la sicurezza nazionale, ma il giudice rispose che ciò che la danneggiava era la mia permanenza in prigione mentre migliaia di persone manifestavano per la mia liberazione“.
Ha dichiarato che continuerà a essere una delle forze vive della resistenza, ora in libertà.
Alla domanda se avrebbe proseguito la sua lotta come ha fatto dietro le sbarre, Abdallah ha spiegato che il prigioniero “lotta in circostanze speciali, caratterizzate dai limiti della prigionia e dalla capacità dei compagni all’estero di mantenere la sua fermezza tra le priorità della lotta“.
“Come semplice attivista, mi considero una delle forze vive della lotta in questo paese, in Palestina e nel mondo arabo”.
Diari familiari
Parlando della sua vita quotidiana in prigione, Georges ha raccontato che il suo tempo era molto organizzato e che il contatto con l’esterno avveniva in due modi: il primo attraverso i compagni che lo visitavano, il secondo per telefono.
Ha spiegato che in Francia, come in altri paesi europei, “il detenuto ha un telefono a disposizione nella sua cella e può chiamare chi vuole, purché fornisca il numero alla sorveglianza”.
Ha aggiunto che le autorità competenti “preferiscono contattare quante più persone possibile per ottenere più informazioni”.
Scommettere sulla resistenza per evitare la “somalizzazione della regione”
Sulla resistenza e le sue vittorie storiche, Abdallah ha detto che si tratta di “una questione molto importante, da cui trarre lezioni, almeno teoriche, sul criterio strategico della lotta rivolucionaria”, aggiungendo che “la liberazione si ottiene con mezzi specifici e ha orizzonti specifici”.
Ha continuato dicendo che la resistenza “ha affrontato con coraggio la situazione e ha offerto i suoi migliori leader come martiri, e deve rispondere alle esigenze di fermezza dell’intero paese”, sottolineando che “lo farà”.
Abdallah ha lanciato un allarme sui tentativi di frammentare il Levante in blocchi settari controllati da potenze imperialiste e “Israele”, ribadendo che il Libano ha bisogno di uno Stato nazionale e di un esercito forte in grado di proteggere confini, acque e spazio aereo.
Ha anche sottolineato che “nessuno in Libano, specialmente chi ha sacrificato i propri leader come martiri, è disposto a impugnare un’arma. Al contrario, tutti sostengono la costruzione di un esercito che protegga tutti”.
Alla domanda sul pericolo che affronta il Libano, Abdallah ha risposto: “Quando guardiamo dal Libano verso nord, cioè verso la Siria, vediamo qual è il pericolo”.
“Nessuno con un minimo di buon senso accetterebbe che diventassimo minoranze governate da Netanyahu o da chiunque altro. Possiamo, e abbiamo una lunga tradizione in questo campo, costruire un unico Stato che protegga la dignità dei suoi cittadini”.
Georges ha un progetto politico?
Alla domanda se avesse un progetto politico, l’attivista internazionale ha risposto di essere “un semplice attivista tra la nostra gente”, aggiungendo che si sarebbe incontrato con altri militanti per valutare cosa poter fare per servire il paese.
Alla fine dell’intervista, Georges Abdallah si è rivolto alle piazze dicendo: “Che le piazze continuino a essere la voce dei militanti di questo popolo, la voce delle sue masse e la voce del suo Stato unificato”.
Fonte: Al Mayadeen
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