Il Parlamento Europeo, attraverso la sua presidente Roberta Metsola, ha presentato alla Corte di Giustizia UE una richiesta di annullamento del regolamento del SAFE, lo strumento per gli acquisti comuni della difesa europea.
In questo modo, Strasburgo dà una spallata alle decisioni della Commissione Europea e di von der Leyen. Bruxelles, infatti, aveva deciso di attivare l’articolo 122 del Trattato di Funzionamento dell’UE (TFUE), il quale prevede la possibilità di evitare il voto nell’Eurocamera per motivi d’urgenza. Elemento che viene contestato dal Parlamento, per un programma che si allungherà fino al 2030, e che viene dunque ricondotto sotto l’articolo 173, riguardante la competitività industriale.
Abbiamo già scritto chiaramente in passato, per diradare la propaganda dei finto-progressisti, che Strasburgo ha già dato via libera con larga maggioranza al riarmo e alla difesa comune europea. Il nodo del contendere è una questione tutta lobbistica, e riguarda la possibilità di mettere bocca sul regolamento, appunto, delle spese che verranno sostenute attraverso coperture europee.
Se il Parlamento Europeo serve a qualcosa, quel qualcosa riguarda rispondere al meglio alle pressioni dei grandi gruppi privati che sono registrati presso il Registro comunitario per le attività di lobbying. Se ‘l’onorevole’ è tagliato fuori dalle decisioni, perde ogni funzione, e il lobbista non ha più motivo di cercare la sua ‘amicizia’.
Nel ricorso presentato, Strasburgo afferma che la procedura usata dalla Commissione “mina la legittimità democratica agli occhi dell’opinione pubblica“. Nel senso che, se il Parlamento può essere eluso così facilmente, è difficile farla passare per un’istituzione democratica.
Insomma, nel percorso di riarmo, si tratta di un incidente di poco conto, dovuto solo agli appetiti di classi dirigenti parassitarie. Nella dialettica istituzionale, nella credibilità pubblica e negli equilibri politici dei vertici europei, però, si tratta di un altro duro colpo da digerire per il secondo mandato von der Leyen.
Avviato all’incirca un anno fa con l’obiettivo di portare a termine la promessa fatta cinque anni prima di trasformare la UE in una potenza geopolitica, sono bastati pochi mesi per decretarne il ritorno a vassallo.
Ovviamente, la storia non è fatta da singoli individui, ma da classi e processi sociali. Eppure, nella politica dell’oggi, rimane il fatto che le trattative sui dazi con Trump le ha condotte Bruxelles (mostrando che in 27 o da soli, poco cambia), e non c’è propaganda che possa cancellare l’evidente sconfitta della UE nella competizione globale.
A ciò si deve aggiungere come tutte le cancellerie europee siano rimaste col cerino in mano sul conflitto ucraino, mentre The Donald discute con Putin e intima a Zelensky di organizzare un incontro. Infine, bisogna ricordare che von der Leyen ha da poco superato un voto di sfiducia indetto sulla base delle accuse riguardanti la poca trasparenza delle trattative intavolate con Pfizer per la fornitura di vaccini durante la pandemia.
La Commissione Europea, politicamente, è uno zombie che cammina. L’unico motore della UE, ad oggi, rimane la sua deriva bellicista, considerata come unica via per far fronte alla crisi industriale e provare a rimettere sul piatto della dialettica internazionale un qualche peso.
Ma si tratta del pilota automatico di un imperialismo in crisi, non di un processo guidato con grande lungimiranza da una classe dirigente che è tutto fuorché adeguata ai tempi.
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