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Un Regno Unito sempre più sionista: soldi alla Elbit e repressione sui pro-Pal

Mancano circa un paio di settimane all’apertura dei lavori dell’80esima assemblea generale della Nazioni Unite, durante la quale Francia e Regno Unito hanno annunciato di voler riconoscere ufficialmente lo Stato di Palestina.

Considerato che il primo ministro britannico aveva posto come riserva a tale decisione la riapertura dei canali umanitari ONU a Gaza, e visto che invece proprio un organismo legato alle Nazioni Unite ha dichiarato ufficialmente la carestia nella Striscia, dovrebbe risultare automatico che Londra rispetterà la parola data.

Non si tratta, in realtà, di qualcosa che può essere dato per scontato, considerati i profondi legami coi sionisti, dentro e fuori le isole britanniche. Legami che, innanzitutto, valgono miliardi e miliardi, e che non accennano a venire interrotti.

Anche se il governo di Starmer riconoscesse effettivamente lo Stato di Palestina, è proprio la continuazione del sostegno che, in tutte le varie forme, il Regno Unito continua a garantire a Israele che rende il paese complice nel genocidio dei palestinesi.

Basti pensare alla notizia, diffusa da Private Eye Magazine, secondo cui il ramo britannico della Elbit Systems, la più grande compagnia dell’industria bellica israeliana, è vicina ad aggiudicarsi un colossale contratto da circa 2 miliardi di sterline per l’addestramento annuale di 60 mila soldati britannici.

A competere con la società con sede ad Haifa, da una lista iniziale di 7 attori, sembrerebbe sia rimasta solo Omnia Training, guidata da Raytheon UK (la cui società madre è statunitense), supportata da Capita, Rheinmetall, Cervus e Skyral.

Il contratto che potrebbe infine aggiudicarsi la Elbit, l’Army Collective Training Service, è uno dei più importanti per quanto riguarda l’impegno di modernizzazione e riarmo di Londra. L’azienda israeliana verrebbe persino designata come “partner strategico” del ministero della Difesa.

I militari verrebbero addestrati attraverso simulazioni avanzate, all’ormai preponderante dimensione digitale della guerra, e anche a un diverso e nuovo rapporto con l’industria bellica. Elbit ha una ben consolidata divisione che si occupa di droni, fornendo in totale l’85% dell’hardware terrestre all’IDF.

Dal 2023 il suo ramo britannico porta avanti il Progetto Vulcan con la Difesa di Londra. Si tratta di un programma dal valore di circa 57 milioni di sterline, che fornisce simulazioni per l’addestramento degli equipaggi di carro armato. Il nuovo contratto sarebbe un salto di qualità enorme nella partnership tra il complesso militare-industriale della Gran Bretagna e quello israeliano.

Private Eye ha chiesto al ministero competente se considerasse appropriato stringere un accordo di tale portata con un’azienda così strettamente legata al massacro ora in atto a Gaza. Dal dicastero non è giunta alcuna risposta.

Del resto, sempre Private Eye ha reso noto che la controllata britannica della Elbit ha recentemente reclutato due ex personalità di spicco del ministero della Difesa nel suo consiglio di amministrazione: Sir Simon Bollom, ex responsabile del Dipartimento Equipaggiamenti e Supporto alla Difesa, e Sir Mark Poffley, ex vice capo di stato maggiore della Difesa.

Il legame con i vertici britannici è così evidente che proprio la Elbit è stata oggetto delle proteste di Palestine Action, la rete di solidarietà con la resistenza palestinese inserita poche settimane fa nella lista delle organizzazioni terroristiche. L’ondata repressiva messa in moto da questa decisione è arrivata a livelli preoccupanti.

Sabato 9 agosto, e solo a Londra, sono state arrestate 474 persone che manifestavano pacificamente per la libertà di espressione e in solidarietà con Palestine Action. Teoricamente, anche solo una dichiarazione di sostegno a un’organizzazione annoverata tra quelle terroristiche può comportare fino a 14 anni di carcere.

Mentre il governo Starmer valuta se sostenere l’industria bellica israeliana con 2 miliardi di sterline e centinaia di persone vengono arrestate per le strade del suo paese, solo per aver criticato pubblicamente la messa al bando di un’organizzazione che vuole impedire la complicità in un genocidio, è partito anche il processo-farsa al cantante dei Kneecap.

Nome d’arte Mo Chara, il giovane rapper è finito sotto accusa proprio per terrorismo, perché, dice l’accusa, avrebbe sventolato un vessillo di Hezbollah durante un concerto. Intanto, i veri terroristi completano la pulizia etnica dei palestinesi, anche con i soldi di Downing Street.

Lo ha scritto in maniera molto chiara il gruppo anche su X: “apprezziamo enormemente il sostegno di quella che sappiamo essere la maggioranza del pubblico, che riesce a vedere questa farsa per quello che è. È una distrazione dai crimini di guerra che lo Stato britannico sostiene“.

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1 Commento


  • Anna M.

    A proposito di diritti umani…

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