Dopo le proteste contro Israele che hanno accompagnato la Vuelta nel suo passaggio in Catalunya (nella quinta e sesta tappa di Figueres e Olot), in molti si erano illusi che la corsa sarebbe continuata senza ulteriori imprevisti.
Del resto i ciclisti, incluso i corridori della israeliana Israel Premier Tech, hanno attraversato l’Aragona senza intoppi. Ma appena arrivati a Euskal Herria si sono imbattuti in centinaia di manifestanti che, rispondendo all’appello dei gruppi territoriali BDS, della piattaforma Gernika-Palestina e di EH Bildu tra gli altri, hanno riempito i bordi delle strade della bandiera palestinese e dell’Ikurriña (la bandiera basca), costringendo la direzione della Vuelta a prendere una decisione straordinaria.
Nel pomeriggio di ieri, quando il gruppo è transitato ai 20 chilometri dall’arrivo, l’organizzazione ha deciso di concludere la corsa in anticipo, sospendendola tre chilometri prima del traguardo previsto e lasciandola senza un vincitore della tappa.
Fin dalla partenza ci sono state delle contestazioni ed anche un’invasione della strada da parte di alcuni manifestanti che ha costretto il gruppo a fermarsi per alcuni minuti e ha indotto il direttore tecnico della Vuelta Kiko García a improvvisare una riunione con i rappresentanti delle differenti squadre.
Nel corso di questa breve discussione, il direttore tecnico ha sottolineato l’impegno dell’organizzazione per proteggere i ciclisti della Israel Premier Tech, che hanno fin qui goduto di una protezione speciale durante tutta la competizione.
La tappa è momentaneamente proseguita, mentre gruppi sempre più numerosi di manifestanti si sono via via concentrati all’arrivo a Bilbao, dove i corridori avrebbero dovuto passare due volte sotto il traguardo.
Durante il primo passaggio le forze dell’ordine sono riuscite a impedire che i manifestanti irrompessero in strada. Ma la tensione è cresciuta e dopo aver constatato che la situazione era ormai divenuta incontrollabile, l’organizzazione si è decisa finalmente a interrompere la tappa.
I 587 agenti che, secondo una fonte del sindacato della polizia basca SIPE, sono stati impiegati per garantire il normale svolgimento della competizione, non sono stati sufficienti a neutralizzare il boicottaggio dei manifestanti. Il bilancio della protesta parla di alcune scaramucce con la polizia, tre arresti, alcune persone identificate e quattro feriti tra le forze dell’ordine.
Secondo Gernika-Palestina, la protesta scongiura la normalizzazione della presenza di Israele alle competizioni internazionali. Per la piattaforma “l’obbiettivo è e continua ad essere uno soltanto: escludere Israel Premier Tech dalla Vuelta ed escludere da tutte le competizioni sportive tutte le squadre israeliane, ambasciatrici dell’apartheid e del genocidio”.
Secondo Gernika-Palestina è ormai evidente l’operazione propagandistica di Israel Premier Tech: “i ciclisti con le riunioni precedenti alla tappa, gli appassionati con le loro bandiere ovunque, i rappresentanti istituzionali con le loro dichiarazioni… sono coscienti che la squadra israeliana non è benvenuta e che ciò che è accaduto nella tappa di oggi dimostra chiaramente che lo sportwashing non è il cammino. Perciò, anche se possiamo affermare che la Palestina ha vinto questa tappa, dobbiamo moltiplicare l’impegno contro il genocidio”.
E venerdì 5 settembre è già annunciata una cacerolada davanti a tutti i municipi di Euskal Herria. Per Gernika-Palestina non si può normalizzare la partecipazione di Israel Premier Tech alla Vuelta: “sono loro, non noi, ad affermare che si tratta di un gruppo sportivo di Israele che si definisce ambasciatore dello stato d’Israele. E se lo stato d’Israele sta commettendo un genocidio possiamo dire che il gruppo sportivo è un ambasciatore di uno stato genocida. I dirigenti e i leader di quel gruppo fanno apologia dei loro legami e della loro fedeltà a Netanyahu, un governante genocida”.
I responsabili della Vuelta si nascondono dietro i regolamenti sportivi che non permetterebbero di escludere Israel Premier Tech dalla corsa. Secondo Kiko García “è il gruppo sportivo di Israele che dovrebbe rendersi conto che rimanendo qui non contribuisce a garantire la sicurezza di tutti gli altri ciclisti. Però noi non possiamo prendere questa decisione, la devono prendere loro”.
E ancora: “bisogna valutare se possiamo mettere in pericolo una corsa come la Vuelta o se continuiamo a proteggere un equipe che espone al rischio tutti gli altri”.
Sia come sia, i fatti di questi giorni sembrano indicare che in ampie fasce della società spagnola cresca la consapevolezza del genocidio in corso e un chiaro sentimento di rifiuto verso qualsiasi ambasciatore, sportivo o no, dello stato d’Israele.
Le parole di Arnaldo Otegi, dirigente di EH Bildu, fanno eco a questa consapevolezza: il leader abertzale ha dichiarato che “oggi Euskal Herria ha dimostrato ancora una volta di essere un punto di riferimento per il mondo intero per quel che riguarda la lotta per i diritti, la solidarietà e la libertà dei popoli”.
Una lotta che in questi giorni prosegue con la campagna BDS, la Global Sumud Flotilla e tutte le iniziative di boicottaggio allo stato di Israele.
Andrea Quaranta
- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO
Ultima modifica: stampa
