Il governo più breve della storia europea (forse anche mondiale) nel paese col sistema elettorale – ci assicuravano – che garantisce la “governabilità” grazie al sistema elettorale maggioritario, che obbliga al “bipolarismo”.
Insediatosi formalmente solo ieri sera, dopo quasi un mese di trattative, con la presentazione di una lista di soli 18 ministri, Sebastien Lecornu ha rassegnato le dimissioni al presidente francese Emmanuel Macron, che le ha accettate. Secondo il protocollo domani avrebbe dovuto pronunciare il discorso programmatico davanti all’Assemblea Nazionale (il Parlamento).
”Non c’erano le condizioni per restare primo ministro”: ha detto Lecornu dopo aver rassegnato le dimissioni.
La squadra di governo presentata da Lecornu era praticamente la fotocopia sbiadita del governo Bayrou, che si era dimesso un mese fa. Erano stati confermati ben 12 dei 18 ministri precedenti, come Bruno Retailleau (Interno), Jean-Noel Barrot (Esteri) e Gerald Darmanin (Giustizia). A far rumore era stato però soprattutto il ritorno, alla Difesa, di Bruno Le Maire, che fu ministro dell’Economia dal 2017 al 2024.
Chiaramente il problema fondamentale è il programma: secondo le regole imposte dalla Commissione Europea – e volute in passato anche dalla Francia, in combinazione diretta con Berlino – si dovrebbe tagliare la spesa sociale per quasi 40 miliardi, smontando in un colpo solo tutto lo “stato sociale” d’Oltralpe. Qualcosa di impensabile in tempi brevi senza mettere in conto una fortissima rivolta sociale, visto che lo stesso programma è stato realizzato in Italia nell’arco di quasi 30 anni.
Le voci riferiscono che sia Edouard Philippe che Gabriel Attal avrebbero rifiutato di entrare nel governo. Ma ancora più espliciti erano stati i vertici di forze politiche che hanno fin qui sostenuto i governi voluti da Macron.
Bruno Retailleau, presidente dei conservatori Republicains, ieri notte aveva protestato contro una squadra che “non rispecchia la rottura promessa” pur essendo stato lui stesso confermato.
Il presidente dell’Alta Francia, Xavier Bertrand, alle prime ore del mattino avevano chiesto il ritiro dei gaullisti dall’esecutivo affinchè “questo caos possa finire. Se vogliamo ritrovare la fiducia, se vogliamo impedire al nostro Paese di affondare giorno dopo giorno, dobbiamo dire molto chiaramente che da ora in poi non parteciperemo più a questo caos, non parteciperemo più a questa farsa“.
La crisi politica ed economica francese è diventata ormai esplosiva. Neanche i neofascisti di Le Pen stavolta sembrano essere disposti a fare da “stampella”, come avvenuto fin qui.
Mentre La France Insoumise, con Mélénchon, chiede di mettere immediatamente ai voti la mozione di destituzione di Macron. ”Dopo le dimissioni di Sébastien Lecornu, chiediamo l’esame immediato depositata da 104 deputati per la destituzione di Emmanuel Macron”.
Difficile pensare che il “presidente dei ricchi” possa trovare qualche altro kamikaze disposto ad immolarsi per lui. Dal punto di vista costituzionale, oltretutto, ha ancora la possibilità di sciogliere le Camere e convocare nuove elezioni. Ma avendolo già fatto nel 2022, è praticamente certo che si troverebbe un Parlamento ancora più ostile nei suoi confronti, maggiormente divaricato tra destra fascista e sinistra radicale, con “il centro” ridotto alle dimensione dei nostri Renzi e Calenda.
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