Secondo varie fonti turche1 2, Selahattin Demirtaş, dirigente apicale della sinistra filocurda, ex candidato alla Presidenza della Repubblica, incarcerato dal 2016 e condannato a 42 anni di carcere, potrebbe essere rilasciato a partire dall’8 ottobre.
A quella data, infatti, scade il termine per lo stato turco di presentare ricorso contro una sentenza della Corte Europea per i Diritti Umani che prescrive la scarcerazione di Demirtas poiché la condanna ed i processi non avrebbero seguito i crismi dello stato di diritto.
A quanto pare, il termine verrà lasciato scadere. Lo ha ammesso implicitamente un deputato del Partito del Movimento Nazionalista (MHP) – destra nazionalista contigua allo “stato profondo” – Feti Yildiz, il quale ha dichiarato di non essere a conoscenza del caso specifico, ma che “secondo l’articolo 90 della Costituzione, bisogna attuare gli accordi internazionali stipulati”, ovvero seguire la sentenza della Corte Europea.
Intanto, il primo ottobre si è tenuta l’inaugurazione del nuovo anno del Parlamento, nel bel mezzo di polemiche roventi dovute alla questione degli arresti dei sindaci ed il tenativo di annullare i congressi del Partito Popolare Repubblicano (CHP).
Qualche contestazione ha suscitato la decisione del Partito dell’Uguaglianza e della Democrazia dei Popoli (DEM, sinistra filocurda) – che sta facendo da mediatore fra stato turco ed Ocalan – di non boicottare la seduta, come hanno fatto il CHP e due partiti elettoralmente alleati del DEM, ovvero il Partito del Lavoro (EMEP) ed il Partito dei Lavoratori di Turchia (TIP).
L’accusa mossa al DEM è quella di legittimare un Presidente ai minimi termini in termini di consenso, che cerca di sopravvivere con un golpe giudiziario e, per di più, è reduce dall’Assemblea Generale dell’ONU in cui si è presentato agli incontri con Trump “con il cappello in mano”; ovviamente si sono ravvivate le voci, alimentate dal partito di governo, che vedrebbero il partito DEM avvicinarsi all’area governativa in caso di esito positivo del processo di pace con il PKK, dando la possibilità al Presidente o a chi gli dovesse succedere di rimanere in sella.
In occasione dell’inaugurazione dell’anno parlamentare, Erdogan ha pronunciato un lungo discorso, in cui si è soffermato lungamente sul processo di pace con il PKK ed ha sfoderato alcuni mantra neo-ottomani, secondo i quali la Turchia sarebbe la madrepatria dei Curdi “dentro e fuori i confini” nazionali.
Sulla situazione in Siria ha affermato che se le trattative per “garantire l’unità territoriale del paese” dovessero fallire, “la Turchia non permetterà il ripetersi di un ‘deja vu’ nel Paese”. Si tratta di una chiara minaccia di intervento militare diretto contro l’area autonoma a guida curda – indipendente di fatto – nel nord-est del paese, che non vuole integrarsi con il governo centrale a guida salafita, il quale è sostenuto da Ankara, pur senza grande profitto.
Al-Golani, infatti, predilige chiaramente il rapporto con gli USA e cerca disperatamente un accordo con i genocidari di “Tel Aviv”, che, per il momento, gli viene negato.
Secondo al-Akhbar3 4, sono in atto pesanti scontri armati fra Hayat Tahrir al-Sham (HTS) e le milizie a guida curda, in particolare nelle aree di Deir Hafer e Tishrin Dam, che sarebbero il preludio per una limitata operazione militare congiunta esercito turco – HTS contro, appunto, l’Amministrazione del Nord-est della Siria. Già sarebbero in piedi mediazioni internazionali per scongiurare tale eventualità.
In definitiva, lo scenario politico turco sembra trovarsi alla vigilia di uno scossone molto pesante, essendo dilaniato da forti contraddizioni. La scarcerazione di Demirtas sarebbe una spinta importantissima ad un processo di pace, quello fra stato e PKK, che, dopo essere partito forte con la cerimonia simbolica di distruzione delle armi da parte di alcuni miliziani curdi, avvenuta lo scorso luglio, conosce un periodo di stasi.
Demirtas, infatti, è l’esponente del movimento curdo più di tutti fautore della via del disarmo e dell’integrazione con lo Stato, indicata da Ocalan, in contrapposizone all’idea di continuare a rivendicare aree autonome o indipendenti, alleandosi con chiunque offra sostegno per ottenerle, USA e sionisti compresi.
In occasione della cosiddetta “guerra dei 12 giorni”, ad esempio, Demirtas si è espresso chiaramente contro l’aggressione sionista e imperialista all’Iran, in contrapposizione alle posizioni abbastanza ambigue espresse dalle formazioni iraniane affiliate al PKK.
A fare da contraltare a questi segnali distensivi, vi è la situazione interna della Turchia, in cui il CHP, proprio mentre sembrava avviato ad ottenere una serie di vittorie nazionali decisive, viene sottoposto ad una pressione giudiziaria senza precedenti, che crea tensioni nella società e semina mancanza di fiducia nei confronti dello Stato.
Soprattutto, diventa difficilmente superabile la contrapposizione in Siria, dove è impensabile estendere il disarmo del PKK anche alle Ypg, al cospetto dei trogloditi di HTS e delle loro violenze settarie. Tuttavia restano legittime le preoccupazioni turche rispetto all’appoggio offerto alle milizie curde dagli USA e ai piani sionisti di sostenere le varie minoranze, curdi compresi, con l’obiettivo di frazionare gli stati dell’area.
In tal senso, sarebbe interessante capire cosa ne pensano Ocalan e Demirtas, se verrà consentito loto di esprimersi.
1 https://en.haberler.com/the-backstage-is-a-fire-scene-selahattin-demirtas-19119531/
2 https://www.birgun.net/haber/release-claim-for-demirtas-why-has-8-october-come-to-the-fore-658893
3 https://www.instagram.com/p/DPd_KmtDuDy/?img_index=2
4 https://en.al-akhbar.com/news/buildup-in-northern-syria—limited–operation-against-sdf-p?utm_source=mango-searchx&utm_medium=title_and_relatives&utm_campaign=SDF
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stefano caffagnini
complimenti, articolo molto documentato e chiaro. grazie