La Food and Agricolture Organization (FAO), l’agenzia delle Nazioni Unite che si occupa di questioni alimentari, ha tratteggiato, nel suo rapporto annuale, una situazione di criticità senza precedenti per Gaza: meno del 5% dei terreni rimane coltivabile, con il sistema locale di produzione sostanzialmente collassato.
La responsabilità ricade nelle operazioni israeliane: oltre l’80% dei terreni coltivati è stato distrutto sotto i bombardamenti continui delle IDF, e lo stesso destino è toccato a circa il 70% delle serre agricole. La maggior parte dei pozzi è stata danneggiata, rendendo l’accesso all’acqua un’impresa quasi impossibile. Alcune delle zone un tempo più floride rimangono ancora sotto occupazione.
L’agenzia ONU ha affermato che, se si parla di ortaggi e cereali, la produzione è scesa a meno della metà rispetto a quella di due anni fa. Anche la pesca ha subito danni e continue restrizioni che ne hanno impedito la funzionalità. Il risultato è che il 90% della popolazione di Gaza non ha accesso a cibo sufficiente per le proprie necessità.
La FAO ha dunque classificato la situazione nella Striscia di Gaza come una delle quattro peggiori crisi alimentari al mondo per il 2024-2025, insieme a Sudan, Yemen e Afghanistan. La richiesta dell’organismo è che si metta in moto urgentemente una risposta che, oltre alla sicurezza alimentare, garantisca anche supporto psicosociale.
Ovviamente, Israele impedirà tutto ciò, perché quello che osserviamo era un obiettivo esplicito dei sionisti. La pulizia etnica israeliana nei confronti dei palestinesi è stata sempre portata vanti con strumenti e meccanismi elaborati, in uno stillicidio che Tel Aviv e i suoi alleati hanno cercato di nascondere in ogni modo. Conosciamo bene le denunce, ad esempio, proprio sulla gestione delle acque finalizzata a mantenere un regime di apartheid.
Il rapporto ha portato all’attenzione il fatto che Gaza, oggi, è diventata completamente dipendente dagli aiuti umanitari per soddisfare il proprio fabbisogno alimentare, con le restrizioni all’ingresso di forniture agricole e carburante che potrebbero portare alla carestia diffusa nei prossimi mesi.
Israele è già stato accusato da più parti di usare la fame come arma di guerra, e continua a farlo durante la farsa della tregua di Trump. Ma la distruzione sistematica delle capacità alimentari della Striscia, rendendo Gaza completamente dipendente dagli aiuti umanitari, non è solo l’effetto della pulizia etnica, ma un suo moltiplicatore: i palestinesi devono decidere di andarsene piuttosto che stare in un’area dove non c’è più cibo.
Lo scopo è anche un altro: rendere un popolo intero dipendente dagli aiuti significa renderlo dipendente dall’estero, significa trasformare la Striscia in una zona in cui non c’è possibilità di portare avanti una politica autonoma di sostentamento dei suoi abitanti. Significa infligere una ferita insanabile alla sovranità di Gaza e, dunque, a qualsiasi ipotesi di costruzione di uno stato palestinese.
È il politicidio della causa palestinese, quello che persino la situazione dei campi gazawi ci racconta. Non si risolve di certo con l’amministrazione coloniale trumpiana, ma solo con l’abbattimento dell’occuppazione e dell’apartheid.
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