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Tra Xi e Trump è solo tregua

L’esito del vertice tra Xi Jinping e Donald Trump che si è svolto ieri a Busan non riuscirà nemmeno a rallentare la rivalità tra Cina e Stati Uniti, ma è importante, anzitutto perché segnala che la potenza in ascesa e quella egemone cercano compromessi.

Per arrivare al “Phase One” del gennaio 2020, in due anni di guerra commerciale, c’erano voluti una dozzina di incontri ministeriali bilaterali, questa volta, prima delle intese raggiunte ieri, ne sono bastati cinque (lo scontro è durato meno della metà), ma la sostanza non cambia: Washington e Pechino – pur nell’ambito di una competizione tecnologica e rivalità strategica accentuate – mantengono aperti efficaci canali di comunicazione politica, commerciale, militare.

Le prime due economie del pianeta sono ancora interdipendenti – anche se meno rispetto al passato recente – e dunque devono collaborare oltre che competere, provando a risolvere anche i contenziosi più spinosi. I ripetuti appelli rivolti a Trump da parte di Corporate America (gli amministratori delegati delle maggiori multinazionali Usa negli ultimi mesi hanno fatto la spola tra Washington e Pechino), nonché quelli degli agricoltori, hanno letteralmente accompagnato Trump verso il summit in Corea del Sud.

Un vertice che – come numerosi altri segnali analoghi degli ultimi anni – ci dice però soprattutto una cosa: l’ascesa della Cina sta contribuendo a dar vita a un mondo nuovo, con equilibri di potere diversi da quelli ai quali siamo stati abituati dal secondo dopoguerra.

Infatti la Cina di Xi Jinping ci è arrivata da pari a pari, per tre motivi principalmente:

  • il quasi monopolio raggiunto nella produzione di terre rare, essenziali per l’industria hi-tech globale e gli armamenti più sofisticati, che le ha dato un grosso potere negoziale;
  • la diversificazione raggiunta nel suo commercio internazionale, con il peso degli Stati Uniti che è sceso al 12 per cento nel 2024, mentre sono saliti altri blocchi (l’Asean anzitutto) e paesi emergenti;
  • l’avanzamento tecnologico della Cina, che la rende meno dipendente che in passato dalle economie più avanzate.

Grazie a questi cambiamenti, la Cina ha potuto ottenere che la discussione con l’amministrazione Trump si svolgesse sulla base del “rispetto reciproco”. Potrebbe apparire scontato che un presidente cinese e uno statunitense si siedano allo stesso tavolo da pari a pari, e invece è una novità dalle profonde implicazioni geopolitiche.

Negli ultimi mesi, dei grandi paesi nei confronti dei quali gli Usa accusano pesanti deficit commerciali, la Cina è l’unico che non si è piegato ai diktat di Trump. Al contrario ha risposto colpo su colpo ai dazi e alle restrizioni all’export arrivati da Washington e – attraverso una serrata trattativa – è infine arrivata al summit di Busan.

Ciò detto, è evidente che non era solo Trump ad avere interesse a stringere la mano all’avversario.
Per Tariff Man una tregua nella guerra commerciale era importante soprattutto in vista del voto di medio termine dell’anno prossimo: arrivarci con gli agricoltori (sua importante base elettorale) delusi e con le terre rare centellinate da Pechino sarebbe stato folle.

D’altro canto Xi e compagni continuano ad aver bisogno di “tenere buono” il cavallo pazzo Trump, in una fase di rallentamento della crescita del Pil. Inoltre, con il faccia a faccia con Trump, Xi può rivendicare di aver trattato da pari a pari con Washington, un punto importante a sostegno della sua strategia di “grandioso risveglio della nazione cinese”.

Il vertice segna soprattutto una de-escalation delle tensioni degli ultimi mesi, ma non è un accordo quadro come “Phase One”, e ciò evidenzia che, cinque anni più tardi, le relazioni bilaterali Cina-Stati Unite sono diventate più complicate. Nell’ultimo lustro la manifattura cinese ha fatto passi da gigante, il suo esercito si è dotato di tanti e nuovi armamenti ed è aumentata la sua influenza internazionale, soprattutto nei paesi del Sud globale.

Dunque è in un centro senso naturale che, mentre prosegue l’ascesa della Cina, ogni accordo complessivo con gli Stati Uniti diventi più difficile. Ma vediamo di seguito le intese raggiunte e i punti di discussione irrisolti a Busan.

Giù i dazi, dal 57 al 47 per cento

In seguito alle rassicurazioni di Pechino a rafforzare la cooperazione con Washington sul contrasto all’esportazione dalla Cina dei precursori del Fentanyl, gli Stati Uniti hanno ridotto del 10 per cento i dazi in vigore sulle importazioni cinesi, dal 57 al 47 per cento. È inoltre rientrata la minaccia di Trump di dazi aggiuntivi del 100 per cento. Inoltre, la sospensione dei super-dazi reciproci concordata dalle due parti a maggio ed estesa in agosto sarà ulteriormente prorogata di un anno.

Via per un anno i controlli sull’export di terre rare dalla Cina

La Cina si è impegnata a rimuovere per un anno i controlli che negli ultimi mesi hanno rallentato il flusso di terre rare verso gli Stati Uniti e altre economie avanzate.

Bloccata nuova norma anti-Cina della lista nera Usa

Gli Stati Uniti sospenderanno l’applicazione di una nuova norma relativa alla loro Entity List, annunciata a settembre, che amplia le restrizioni previste dalla stessa “lista nera” Usa a qualsiasi azienda posseduta per almeno il 50 per cento da entità già presenti nell’elenco – una misura che avrebbe potuto colpire migliaia di compagnie cinesi negando loro l’accesso a tecnologia Usa.

Più prodotti agricoli Usa importati in Cina

La Cina si è impegnata ad aumentare le importazioni di soia – zero nel mese scorso, quello precedente il summit Xi-Trump – e altri prodotti agricoli dagli Usa. Trump ha annunciato la ripresa di esportazioni massicce dagli Usa verso la Cina, ma senza fornire dettagli, che non sono arrivati nemmeno da Pechino. La Cina negli ultimi mesi ha messo in atto una strategia di diversificazione delle sue importazioni di soia, ed è dunque improbabile che voglia aumentare oltre un certo limite quelle dagli States.

Sospesa l’indagine Usa sulla cantieristica cinese

Gli Stati Uniti sospenderanno per un anno le ritorsioni in seguito alla loro indagine ai sensi della Sezione 301, che prende di mira i settori marittimo, logistico e cantieristico della Cina, mentre Pechino sospenderà per un anno le corrispondenti contromisure contro gli Stati Uniti.

Investimenti cinesi negli Usa

Trump ha annunciato anche massicci investimenti cinesi negli Usa, che andrebbero incontro alla sua strategia di rivitalizzare il made in Usa, ma, anche in questo caso, non c’è conferma da parte cinese, né il presidente Usa ha fornito dettagli.

Scambio di visite di stato

Trump sarà in visita di stato in Cina ad Aprile 2026 e successivamente Xi andrà negli Stati Uniti.

TikTok, accordo ancora non finalizzato

Non è arrivata ancora la parola fine sulla vicenda TikTok: c’è accordo sulla vendita a un consorzio Usa guidato dalla Oracle dell’amico di Trump Larry Ellison (nel quale la cinese ByteDance materrebbe il 20 per cento), ma Pechino non cede sull’algoritmo, che vuole continuare a controllare.

Nemmeno una parola su Taiwan

Trump, Xi e le rispettive delegazioni governative non si sarebbero detti nemmeno una parola su Taiwan, dopo che Pechino negli ultimi mesi ha tenuto una pressione costante su Washington, ribadendo le sue linee rosse (basta sostegno al governo del Partito progressista democratico, forniture di armamenti entro i limiti consentiti dal Taiwan Relations Act).

Ucraina

Secondo Trump, Xi avrebbe promesso di fare pressione su Vladimir Putin affinché la Russia accetti di negoziare sull’Ucraina.

 * da Rassegna Cina

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