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Il “socialista islamico” Mamdani sindaco di New York

Si approfondisce di molto il solco che divide la società statunitense, mentre la crisi di egemonia diventa ogni giorno più evidente anche agli ascari euro-atlantici.

Zohran Mamdani, 34 anni, è diventato il primo sindaco musulmano e socialista della città. Ha superato il 50% dei voti, smentendo i sondaggi che lo davano – sì – in netto vantaggio, con circa 10 punti di meno.

Che è poi la quota cui si è fermato Andrew Cuomo, ex governatore “dem” dello Stato omonimo e tipico esponente dell’establishment bipartisan che aveva dominato la politica Usa prima dell’avvento di Donad Trump. Definirlo tale non è una “cattiveria estremista”, ma una semplice constatazione. Lo stesso Trump, infatti, aveva invitato a votare per lui abbandonando il candidato repubblicano ufficiale, Curtis Sliwa, che non è arrivato neanche al 10%.

Mamdani, figlio della regista indiana Mira Nair, è nato in Uganda, paese natale del padre, e dunque non potrà mai essere candidabile alla presidenza degli Stati Uniti. Ma la sua vittoria nella città più importante e simbolica degli Usa segna chiaramente la direzione che può prendere l’opposizione interna al tycoon e alla banda “Maga”, apertamente razzista e nostalgica dei “confederati” sconfitti ai tempi della guerra di secessione, nell’’800.

Pur essendo infatti da sempre una città “dem”, nonché la città in cui è nato e si è “formato” lo stesso Trump, la chiave di volta per amministrarla era sempre stata il rispetto servile per il grande capitalismo finanziario (Wall Street è lì…), la principale ragione della ricchezza di New York nonché – per logica conseguenza – dei suoi prezzi folli per abitazioni, servizi, alimentazione, e qualsiasi altra cosa.

Una città, in sintesi, dove la forbice della disuguaglianza sociale si è mostrata in tutta la sua crescente ampiezza, al pari di quando è avvenuto nell’altra grande metropoli simbolo – Los Angeles – dove convivono allegramente i grattacieli del business e gli accampamenti di tende dei senza casa.

E proprio casa, servizi, bus gratis, supermercati comunali, e più tasse ai ricchi hanno costituito il cuore del programma politico di Mamdani, consentendogli di mobilitare decine di migliaia di volontari che gli hanno permesso di vincere prima le primarie “dem”, sconfiggendo proprio
Cuomo, e poi di trionfare nelle elezioni di ieri.

La sua elezioni, insomma, certifica che la “radicalizzazione” dell’opposizione popolare può sovvertire un quadro politico segnato dalla presa “populista-reazionaria” Maga e dall’affarismo ormai squalificato dell’establishment bipartisan (sia democratico che repubblicano in stile Dick Cheney, opportunamente e simbolicamente deceduto proprio mentre si votava).

Basterebbe notare, in aggiunta, che New York è anche stata il teatro dell’attacco di Al Qaeda alle Torri Gemelle, e quindi la scintilla della “guerra infinita al terrorismo islamico”. Per una bizzarra coincidenza, a 24 anni di distanza un musulmano diventa sindaco mentre un esponente di rilievo di Al Qaeda e poi dell’Isis – il “presidente” della Siria, Al Jolani – sta per essere ricevuto alla Casa Bianca. In effetti, parecchi schemi mentali stanno volando in frantumi…

Una prima conseguenza immediata è verificabile anche nelle contemporanee elezioni dei governatori in New Jersey (altra tradizionale roccaforte “dem”) e in Virginia, swing state sempre ballerino tra i due schieramenti. In entrambi i casi hanno vinto due donne, peraltro molto diverse tra loro.

In Virginia si è imposta la 46enne Abigail Spanberger, ex agente operativo della Cia (decisamente “establisment”, e del peggiore), mentre nel New Jersey – alle porte di New York e con una composizione sociale abbastanza simile – ha vinto Ghazala Hashmi, senatrice statale di origine indiana, prima persona musulmana e sudasiatica a ricoprire un incarico statale nell’Old Dominion State.

Come si vede, la “linea del colore”, dell’appartenenza etnica e religiosa, stanno diventando non solo – e in negativo – una caratteristica fondativa della nuova identità reazionaria Maga, ma – in positivo – anche per la ricostruzione di un’identità “democratica e progressista”, addirittura “socialista” in qualche caso.

Gli Stati Uniti vedono insomma crescere contemporaneamente le fobie suprematiste bianche che hanno dato fiato alla scalata del trumpismo e le speranze di trasformare quel paese in un luogo più corrispondente agli ideali scritti sulla carta.

Sono due programmi e linee di evoluzione completamente differenti che sembrano destinate ad alimentare il conflitto sociale e politico interno. E forse anche ad indebolire la “presa” e la pretesa imperiale sul resto del mondo (che si presenta peraltro assai meno debole di quanto non fosse in passato).

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2 Commenti


  • antonio D.

    Si potrebbe anche dire: è la “legge del contrappasso”; che piaccia o meno!


  • Giorgio

    la capacidad di una sindaco e limitada.
    Senza una grande mobilitazione sociale organizzata
    é solo un voto di protesta. I lavoratori inmigranti non sono organizzati né sindacalizzati ,( con rare eccezzioni) e non sono in grado di fare uno sciopero contundente, gli inquilini non sono organizzati, gli studenti fanno proteste sporadiche peró le loro universitá si sono inginocchiate davanti al dictat di Trump
    in queste condizioni poco puó fare

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