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La UE vara il centro contro la ‘disinformazione’: un organo di propaganda guerrafondaia

È stato rilasciato ieri il documento riguardante la creazione di uno European Centre for Democratic Resilience. Una tale volontà era stata annunciata dalla presidente della Commissione UE Ursula von der Leyen già durante un discorso al Parlamento Europeo tenuto lo scorso settembre. Ora arriva un testo concreto al riguardo, che era già trapelato nei giorni precedenti.

Innanzitutto, questo Centro si inserisce dentro la cornice dello European Democracy Shield, una serie di linee guida e attività pensate per ampliare gli strumenti in mano a Bruxelles nella lotta contro le influenze straniere e la disinformazione. Lo ‘scudo’ è stato lanciato da oltre un anno, e il nuovo istituto rappresenterà la sua pietra angolare.

Ovviamente, nell’ottica bellicista ormai assunta dalla UE, l’azione del Centro si concretizzerà, in sostanza, nel combattere qualsiasi notizia (anche vera e verificata) che possa in un qualche modo incrinare la propaganda europeista guerrafondaia. Infatti, Henna Virkkunen, vicepresidente esecutiva per la Sicurezza e la democrazia, ha affermato che il centro vorrebbe anche agire d’anticipo, intercettando e “cancellando contenuti falsi”.

Chi deciderà quali siano le fake news e quali invece siano notizie semplicemente poco gradevoli per dirigenza europea non è dato saperlo. O meglio, considerato che ad esserne responsabile sarà il Commissario per la Democrazie e la Giustizia, e dunque, in sostanza, un esponente dell’esecutivo europeo, la scelta sarà evidentemente politica.

L’organismo è pensato per unire esperti e competenze, su base volontaria, dei paesi UE, ma anche di partner con idee simili, a partire probabilmente dal Regno Unito. Non solo: alle attività dell’istituto potranno partecipare anche quei paesi che vogliono entrare nella UE, Ucraina in primis.

Per di più, lo Scudo Europeo associa a questo Centro anche finanziamenti mirati al rafforzamento del giornalismo indipendente. Ma col chiaro paradosso per cui il nuovo programma Media Resilience viene finanziato nel quadro finanziario pluriennale, e cioè vedrà fondi secondo le priorità politiche della Commissione. In sostanza, verrà sostenuta solo l’informazione che fa comodo a Bruxelles, con un pericoloso ritorno sulla libera attività dei giornalisti.

Come era naturale aspettarsi, anche se in generale l’obiettivo del Centro è stato indicato nella disinformazione di tutti i regimi autoritari e ‘anti-democratici’ (dobbiamo aspettarci che alcuni di essi, ad esempio la Siria, non rientrino tra i target), è la Russia a rappresentare la minaccia principale, secondo Bruxelles.

Nel testo si legge che “la Russia sta anche intensificando gli attacchi ibridi, conducendo una battaglia di influenza contro l’Europa“, e che Mosca diffonde “narrazioni ingannevoli, che a volte includono la manipolazione e la falsificazione di fatti storici, cercano di erodere la fiducia nei sistemi democratici“.

Hanno insieme del ridicolo, del paradossale e dell’allarmante tali righe, considerato il risultato di una recente interrogazione a Strasburgo da parte di Fabio De Masi. L’eurodeputato tedesco con cittadinanza italiana, appartenente allo schieramento di Sahra Wagenknecht, ha chiesto se l’opinione espressa dall’Alto rappresentante agli Affari Esteri Kaja Kallas, secondo cui fosse una “novità” che Cina e Russia siano tra le potenze vincitrici della Seconda guerra mondiale, fosse una posizione ufficiale.

Kallas ha risposto onorando “tutte le vittime che sono state sacrificate per porre fine alla Seconda guerra mondiale” e rendendo omaggio “al coraggio del popolo cinese“. E tuttavia, non ha menzionato minimamente il contributo sovietico e ha anzi approfittato dell’occasione per lanciare ulteriori attacchi contro Mosca.

La Russia – ha detto Kallas – continua consapevolmente a manipolare le narrazioni storiche relative alla Seconda guerra mondiale e alle sue conseguenze per distogliere l’attenzione da verità scomode“. Tra queste verità scomode non c’è di certo l’ennesima apparizione di Zelensky accanto a dei simboli nazisti, quali quelli messi in bella mostra durante la consegna di un premio a un soldato del Corpo ‘Khartia’.

Al di là dell’ironia, è questa la pericolosità dell’iniziativa europea. Le classi dirigenti riscrivono la storia ogni giorno per sostenere con una becera propaganda il percorso di riarmo, indicando nella Russia il nemico. Il Centro è pensato per rendere pià sistematico e oculato questo lavoro di manipolazione dell’opinione pubblica, infliggendo una profonda ferita all’informazione e al dibattito politico.

La presenza di una feroce censura guerrafondaia si è palesata di recente, ad esempio, col caso della conferenza vietata a Torino del professor Angelo D’Orsi, uno dei più rinomati storici italiani. L’argomento era proprio la narrazione intorno alla Russia: l’affermazione di una ‘verità’ imposta politicamente è stata spacciata come un atto di lotta alla disinformazione.

Questo è, in sunto, il pericolo del nuovo Centro UE. Un ultimo appunto: anche la Cina è stata identificata come una minaccia per l’informazione. Il servizio diplomatico della UE, in un rapporto di marzo, afferma di ritenere che il Dragone utilizzi agenzie di pubbliche relazioni private e influencer “per creare, amplificare e riciclare contenuti allineati con gli interessi politici della Cina in tutto il mondo“.

Ricordiamo il caso in cui una tornata elettorale è stata annullata in Romania perché il risultato non era gradito a Bruxelles, anche se è stata usata la scusante di un’influenza russa. In quella vicenda era poi emerso che la campagna di Tiktok incriminata era stata in realtà pagata dai liberali al governo, e che aveva poi prodotto un effetto boomerang. Ma il colpevole è rimasta la Russia.

Non servono molte altre dimostrazioni di come la disinformazione da cui bisogna difendersi proviene dagli organismi europei, ed è imbevuta di ragioni guerrafondaie.

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