Le estese operazioni di demolizione nella Striscia di Gaza continuano a un ritmo senza precedenti, in uno scenario che incarna un piano organizzato volto a ridurre i territori palestinesi occupati nella Striscia di Gaza a quello che può essere definito un valore zero, aprendo la strada alla ricostruzione all’interno di una nuova visione architettonica ispirata all’esperienza del barone Haussmann nella ristrutturazione di Parigi durante il regno di Napoleone III (1853-1870), quando la città fu riprogettata per diventare un centro di ordine e modernità dopo la distruzione dei suoi vecchi quartieri, considerati focolai di povertà e ribellione.

In questo contesto, è emerso il cosiddetto “Piano di resa”, annunciato dall’ex presidente degli Stati Uniti Donald Trump e composto da venti punti.
La prima metà del piano affronta la fine dello spargimento di sangue a Gaza e la questione dello scambio di prigionieri e resti, seguita dall’attuazione di programmi di smobilitazione, disarmo e reinserimento nella vita civile, di sicurezza ed economica.
La seconda metà del piano riguarda il completamento degli Accordi di Abramo integrando nuovi paesi nel processo di normalizzazione, in particolare l’Arabia Saudita, che stabilisce un chiaro percorso politico che porti alla creazione di uno Stato palestinese indipendente e sovrano entro i confini del 4 giugno 1967, con Gerusalemme Est come capitale, in conformità con l’Iniziativa di pace araba proposta da Re Abdullah bin Abdulaziz al vertice di Beirut del 2002, adottata ufficialmente nei successivi vertici arabi.
Questo approccio è stato sostenuto dalla Risoluzione 67/19 dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite del 2012, che ha riconosciuto la Palestina come Stato osservatore non membro presso le Nazioni Unite. Questa risoluzione è stata rafforzata nel 2024, sottolineando una soluzione giusta alla questione dei rifugiati in conformità con la Risoluzione 194 del 1948, come fondamento giuridico e umanitario per il diritto al ritorno e al risarcimento.
Il piano di Tony Blair propone di imporre un’amministrazione fiduciaria internazionale su Gaza attraverso un “Consiglio Internazionale per la Pace” presieduto da Trump. Questo consiglio avrebbe organi sussidiari, tra cui un segretariato e cinque commissioni: affari umanitari, ricostruzione, legislazione e diritto, coordinamento con l’Autorità Nazionale Palestinese (le cui responsabilità sarebbero limitate ai servizi pubblici come istruzione, sanità e municipalità) e una forza di polizia civile. La sicurezza e la supervisione internazionale rimarrebbero sotto l’autorità del Commissario per la Sicurezza e del Comitato Congiunto di Coordinamento, con la decisione finale in capo al Consiglio Esecutivo (il Consiglio per la Pace).
La struttura organizzativa e il mandato delineati da Blair indicano che il comitato per Gaza sarebbe in gran parte simbolico, fornendo consulenza alle varie commissioni senza alcun potere decisionale.
Ciò differisce radicalmente dalla visione della legittima leadership palestinese, che insiste sul fatto che il Comitato per Gaza – qualunque sia il suo nome – sia subordinato all’Autorità Nazionale Palestinese e sotto la supervisione del Consiglio dei Ministri, con un ministro di Gaza che ne sia a capo o almeno membro, per svolgere compiti amministrativi e di ricostruzione nell’ambito dei poteri a lui assegnati.
Al contrario, il piano Kushner-Wittkof, noto come Fondo per la Ricostruzione, la Crescita e la Trasformazione Economica di Gaza (GREAT Trust), presenta una visione completa per trasformare Gaza in un paradiso per gli investimenti puramente americano attraverso un piano di ricostruzione che include dieci importanti progetti strategici, in particolare:
1. Ricostruzione delle infrastrutture mediante la rimozione delle macerie e la costruzione di reti elettriche e idriche.
2. Realizzazione della Porta di Ibrahim a Rafah come polo logistico che colleghi la zona industriale al porto e all’aeroporto attraverso la “Gaza Ring Road”.
3. Costruzione di una tangenziale attorno all’intera Striscia di Gaza e di una superstrada separata per sostituire la storica Salah al-Din Road. 4. Realizzazione del Corridoio Infrastrutturale di Abraham, comprendente ferrovie, oleodotti e fibra ottica, nell’ambito dell’Indian Route Initiative (Vertice del G20 2024).
5. Costruzione di un piccolo porto per il trasporto di veicoli e merci e di un aeroporto nell’area di Dahaniya per integrare i trasporti regionali e internazionali.
6. Realizzazione di un centro idrico regionale e di impianti di desalinizzazione a energia solare.
7. Realizzazione della zona industriale “Elon Musk” nella parte orientale della Striscia di Gaza, vicino ai confini del 1948.
8. Realizzazione di un hub dati sostenuto dagli Stati Uniti, costituito da data center regionali soggetti alle normative statunitensi sull’intelligenza artificiale.
9. Il progetto Trump Riviera, una serie di isole artificiali lungo i 41 km di costa della Striscia di Gaza, progettate per ospitare resort turistici di livello mondiale.
10. Realizzazione di sei-otto città moderne e intelligenti, basate su tecnologie di intelligenza artificiale, all’interno dell’area della tangenziale. Il proprietario terriero palestinese nella Striscia di Gaza è semplicemente un token digitale che rappresenta una proprietà parziale, registrato sulla blockchain. Questo token consente loro di scambiare successivamente il loro terreno con un’unità abitativa e consente al fondo per la ricostruzione di utilizzarlo come garanzia per prestiti destinati a finanziare progetti di ricostruzione e interventi umanitari.
I tre piani sopra menzionati incarnano una visione completa per la ristrutturazione politica, economica e geografica di Gaza. L’obiettivo è trasformarla in una zona speciale di investimento internazionale integrata in una nuova rete economica regionale guidata dagli Stati Uniti.
Ciò garantirebbe la sicurezza dell’occupazione e la stabilità degli interessi occidentali, cancellando al contempo la memoria palestinese e offrendo incentivi allo sviluppo a palestinesi e arabi nel quadro dei cosiddetti Accordi di Abramo e della pace economica.
Diventa quindi chiaro che Washington non tratta Gaza come una questione nazionale palestinese, ma piuttosto come una piattaforma per rimodellare la regione e ridisegnare la mappa del Medio Oriente, ristrutturando l’economia e la demografia e ridefinendo il concetto di sovranità al servizio degli interessi delle grandi potenze.
L’invasione del 7 ottobre ci ha intrappolati in quella che potremmo definire la teoria del “complesso da shock”, rimodellando la nostra coscienza collettiva sotto il peso del caos e della paura.
Ricorda la storia della moglie che continuava a chiedere più spazio nel suo monolocale, solo per vedere il marito portarle gli animali in camera finché non ne poteva più, e poi faticava a farli uscire per sfuggire ai loro stridii e ululati. Scalciò e ragliò, poi si sentì sollevata. Dopo che il marito ebbe portato via gli animali, celebrò la sua clamorosa vittoria e dimenticò la sua richiesta iniziale. Così, oggi i palestinesi vengono spinti ad accettare il minimo indispensabile dei loro diritti in cambio della fuga dall’attuale catastrofe.
Tuttavia, la domanda fondamentale rimane: i palestinesi diventeranno semplici beneficiari di questo progetto? O rivendicheranno l’iniziativa di ristrutturare la casa palestinese sulla base del principio di rappresentanza unitaria nell’ambito dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP), l’unico rappresentante legittimo del nostro popolo, ovunque risieda?
Il futuro della Palestina in generale, e di Gaza in particolare, e dell’intera regione, sarà determinato dalla misura in cui i palestinesi saranno in grado di riconoscere il progetto in corso, rivendicare il loro potere decisionale nazionale indipendente e costruire un sistema politico unificato che ripristini la credibilità del progetto nazionale prima che il Medio Oriente venga rimodellato senza la loro partecipazione attiva.
*Analista palestinese, vive in Turchia
(Traduzione Bassam Saleh)
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