Cronaca stretta
«Né si arrestano le violenze in Cisgiordania, dove gli squadristi israeliani attaccano impunemente i civili che cercano di raccogliere le olive. Ieri, per la prima volta, gli Stati Uniti hanno rotto il silenzio sulle violenze dei coloni: il Capo del Dipartimento di Stato Marco Rubio ha dichiarato che potrebbero mettere in discussione il cessate il fuoco.
Una querula, quanto tragicamente tardiva, protesta pigolata, che in Israele è stata accolta con l’ovvia indifferenza del caso, come altrettanta indifferenza gli States dimostrano per le violazioni della tregua a Gaza, sulle quali non hanno finora detto nulla», denuncia Piccolenote.
Faccia di Trump e rapporti con Stati arabi
A Tel Aviv tutto è permesso purché il cosiddetto cessate il fuoco non sia messo in discussione seriamente, ne va dell’immagine di Trump e dei rapporti tra Stati Uniti e Paesi arabi. E, a quanto pare, i diuturni bombardamenti su Gaza e le incursioni in Cisgiordania non hanno raggiunto questo livello critico.
Ciò solo e soltanto perché Hamas, nonostante tutto, continua a ottemperare agli accordi senza reagire, che è quello che vorrebbe Tel Aviv per riprendere le ostilità in grande stile, come chiedono i messianici al governo e come vorrebbe Netanyahu, che morde il freno.
Insomma, il calcolo statunitense è tutto fondato sulla capacità di sopportazione di Hamas e, soprattutto, del popolo palestinese, mentre le pressioni su Israele, che pure sono esercitate, si limitano a un indulgente consiglio a non esagerare (cioè a non tornare ai ritmi precedenti alla cosiddetta tregua, che hanno visto in media cento morti al giorno).
Tutto ciò mentre ai gazawi continuano a essere negati beni essenziali per la sopravvivenza, con la fame che ancora attanaglia la Striscia, ma anche l’indispensabile acqua, ormai avvelenata da scorie e liquami.
’Ingegneria della fame a Gaza’
Proprio sulla fame che ha imperversato e imperversa a Gaza, un documentato studio pubblicato su Springer Nature, una casa editrice accademica anglo-tedesca, dal titolo ‘l’ingegneria della fame a Gaza’. E lo studio «dimostra che la fame a Gaza non è una conseguenza indesiderata della guerra, ma un risultato deliberatamente progettato, reso possibile da tecnologie avanzate e una pianificazione sistematica».
Come? Lo studio rileva che «sistemi di puntamento assistiti dall’intelligenza artificiale, attacchi di droni di precisione e sorveglianza sono stati impiegati per smantellare le infrastrutture alimentari a ogni livello, dai terreni agricoli alla pesca fino a panifici, mulini e magazzini, paralizzando l’intera filiera alimentare di Gaza».
«Gli aiuti umanitari sono ostacolati dalla sorveglianza biometrica, dal targeting dei convogli e dai ripetuti attacchi contro organizzazioni affidabili come l’Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione dei rifugiati palestinesi nel Vicino Oriente (UNRWA), mentre controverse fondazioni allineate allo Stato [israeliano] vengono scientemente rafforzate».
Sopravvivenza vietata e promesse false
«La distruzione di acqua, energia e altre risorse vitali ha innescato il collasso del nesso cibo-acqua-energia di Gaza, paralizzando tutti i meccanismi di sopravvivenza. Ancora più critico, il deliberato attacco e l’esecuzione di civili mentre facevano la fila per il pane o si appressavano alla distribuzione degli aiuti rivela una strategia calcolata per trasformare la fame in un’arma, trasformando la ricerca degli alimenti in un rischio letale».
Fin qui il catalogo degli orrori, anche se parziale, che tanto ci sarebbe da aggiungere. Resta da riferire sugli sviluppi del cosiddetto cessate il fuoco a Gaza, che tale non è, che gli Usa vorrebbero stabilizzare.
A tale scopo hanno presentato un prospetto al Consiglio di Sicurezza Onu nel quale si dettagliano gli sviluppi proposti: lo stanziamento di una forza di stabilizzazione internazionale arabo-islamica, l’instaurazione di una governance tecnocratica palestinese supervisionata da un bizzarro Board of peace (composto da più o meno eminenti figure internazionali, ma a trazione Usa), oltre a prevedere il ritiro delle forze israeliane dall’area di Gaza attualmente occupata, il disarmo di Hamas e un nebuloso orizzonte per un possibile, quanto aleatorio, Stato palestinese.
Paesi arabi per l’accordo, Russia e Cina smaliziati
La bozza ha il favore di alcuni Paesi arabi, ma ha trovato ostacoli in Russia [che ora presentato un proprio piano, completamente diverso, da discutere in sede di Consiglio di Sicurezza dell’Onu, ndr] e Cina che hanno obiettato su diversi punti, tra i quali anzitutto la tempistica non ben specificata del ritiro israeliano, la necessità di coinvolgere da subito l’Autorità nazionale palestinese nell’amministrazione della Striscia che prefiguri la nascita dello Stato palestinese.
Infine, si chiede di abolire il cosiddetto ‘Board of peace’, organismo peraltro davvero bizzarro il cui ruolo precipuo sembra essere solo quello di garantire affari alle imprese occidentali, arabe e israeliane che intendono investire su Gaza. Cina e Russia possono opporre il veto alla risoluzione Usa, ma a quel punto gli States potrebbero rivolgersi alla solita ‘coalizione di volenterosi’, sempre pronta all’occorrenza, per metterlo in pratica al fuori dei vincoli e del controllo dell’Onu, come riferisce ‘Times of Israel’ che dettaglia la querelle. Possibile, ma difficile date le resistenze israeliane, un compromesso.
Amiconi
-
-
Da InsideOver. La richiesta della grazia per Netanyahu da parte di Trump tiene banco più delle sofferenze dei palestinesi. La richiesta di grazia di Trump è del tutto fuori registro e quanti si oppongono a Netanyahu in Israele sono irritati dell’ingerenza. E scandalo ha suscitato in tanto mondo occidentale perché allevierebbe la pressione sul criminale di guerra che governa Israele, come tale è perseguito dal Tribunale penale internazionale, e altro. Tutto vero, ma… Quel “ma” lo spiega Carolina Landsmann su Haaretz.
-
Trump sta cercando un accordo storico che porti il suo nome, una versione aggiornata dell’Accordo del Secolo. Non sta cantando ‘Imagine’. È piuttosto un megalomane geopolitico che vuole essere più popolare di Gesù e dei Beatles. Per questo ha bisogno di un partner che possa soddisfare ‘il popolo’. Trump è consapevole che la presa di Netanyahu sulla destra è forte in caso di guerra, ma insufficiente in caso di pace. Itamar Ben-Gvir e Bezalel Smotrich sono alleati in tempo di guerra, ma non in tempo di pace.
-
Ecco perché Trump ha fatto così tanti complimenti a Yair Lapid nel suo discorso alla Knesset. In tempo di guerra, non c’è bisogno di Lapid. In tempo di pace, cosa te ne importa, Bibi, di essere un po’ gentile con lui? ‘Guarda come arrossisce il ragazzo. Netanyahu ha persino riso’. Trump sta lanciando un messaggio a entrambi: sarete insieme nella mia squadra per la pace. Capisce che Lapid e il resto della leadership ‘chiunque tranne Bibi’ [l’opposizione ndr.] non possono convincere i propri elettori a un’alleanza con Netanyahu.
-
E arriviamo alla grazia. Trump non sta cercando di aiutare un amico in difficoltà. Sta tentando di progettare una riconciliazione funzionale tra i Bibi-isti e i ‘non-Bibi-isti’ – non basata su emozioni o ideologie – per formare un governo senza l’estrema destra che potrebbe promuovere la pace con i palestinesi.“Così come ha capito che gli ostaggi non erano più una risorsa per Hamas, ma piuttosto una scusa per Israele per continuare la guerra, ha capito che il processo a Netanyahu non è più solo una risorsa politica dell’opposizione israeliana, ma un peso per l’intero sistema”.
-
Trump sta offrendo il suo appoggio presidenziale e il suo patrocinio internazionale, mediando con l’opposizione e fornendo spunto narrativo per un ‘cambio di direzione’, per aiutare Netanyahu a rompere la sua dipendenza dagli estremisti di destra. La grazia non è un favore personale a Netanyahu, ma il prezzo da pagare per un cambio di rotta diplomatica”.
-
Fin qui la Landsmann. In un mondo ideale sarebbe auspicabile altro: che i responsabili del genocidio vadano in galera, che nasca la Palestina etc. Nel mondo reale, le opzioni per uscire da questa follia sanguinaria, almeno nel breve, sono poche. Secondo la cronista, l’opzione Trump va in questa direzione, nonostante le tante criticità. Resta che l’orizzonte della cronista rimane nel circolo ristretto Israele-Usa. Il mondo, per fortuna, è più grande e opzioni alternative sono sul tavolo, anche se con meno possibilità di successo.
-
* da RemoContro
- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO
Ultima modifica: stampa
