A Berlino va in scena “l’accordo” che potrebbe portare alla pace in Ucraina. Che sarebbe cosa ottima, se non fosse per il piccolo limite che per ora quel che è stato lì concordato riguarda soltanto il composito schieramento occidentale. La pace vera, insomma, va fatta con la Russia… Tutto quello di cui stiamo parlando è solo predisposizione di una proposta dal lato euro-atlantico.
Come è regola di ogni trattativa strategicamente rilevante i contenuti sono per il momento “coperti”, ma le immancabili indiscrezioni pilotate definiscono comunque con qualche certezza “la direzione” in cui tutti i protagonisti del vertice di ieri sera – Steve Witkoff e Jared Kuchner come inviati di Trump, i leader dei principali paesi europei (Germania, Danimarca, Finlandia, Francia, Regno Unito, Italia, Olanda, Polonia, Svezia e Norvegia, più la Presidente della Commissione Ursula von der Leyen e quello del Consiglio europeo Antònio Costa, nonché l”extra-comunitario” britannico Keir Starmer).
Perché il percorso venga ritenuto praticabile serviva naturalmente il consenso ucraino, e Volodymyr Zelenskyy ha dato una valutazione ottimistica della nuova offerta da parte di funzionari americani riguardante le “garanzie di sicurezza”, descritte come una sorta di art.5 della Nato pur senza che Kiev entri nell’Alleanza (punto che per Mosca è sempre stato dirimente).
Andrebbe ricordato che l’attuale art. 5 garantisce, ai paesi membri attaccati dall’esterno, una forma di attivazione da parte dei partner, ma nella misura che ognuno di essi ritiene possibile. Nessun impegno obbligatorio ad entrare in guerra, insomma. Ma per il momento la formula ambigua può soddisfare il lato atlantico, sperando che a Mosca siano di bocca buona…
Al trionfalismo autopromozionale di Trump (“siamo più vicini ora che mai” alla pace) fa però da contrappunto la cautela di Zelenskij e degli europei: i piani sono solo una “prima bozza“, con questioni importanti ancora irrisolte. Tra cui viene indicata come principale la gestione della parte di Donbass ancora non conquistata dai russi e da cui Kiev dovrebbe comunque ritirarsi.
Persino il bellicosissimo padrone di casa, il cancelliere Friedrich Merz, ha accolto con favore quelle che ha definito le “notevoli” garanzie di sicurezza “giuridiche” e “materiali” che i negoziatori americani avevano proposto. “Per la prima volta dal 2022, un cessate il fuoco è concepibile“, ha detto in una conferenza stampa con Zelenskyy. “Ora dipende interamente dalla Russia se un cessate il fuoco può essere raggiunto entro Natale.”
E qui già si deve notare una pesante smagliatura, perché da sempre – e di nuovo in queste ore – Mosca ripete di non essere interessata ad un “cessate il fuoco” temporaneo che servirebbe solo a riarmare e riorganizzare l’esercito di Kiev, ma pretende di arrivare ad una “pace vera”, ossia con garanzie formali e sostanziali reciproche. Non unilaterali…
Non a caso, la lunga e contorta dichiarazione finale, firmata dai soli paesi europei più Londra, si dilunga sul fatto che “gli Stati Uniti” si sarebbero “impegnati” insieme ai leader europei a garantire la futura sicurezza dell’Ucraina e a favorirne la ripresa economica. Ciò includerebbe impegni a sostenere l’esercito ucraino per mantenere una forza “in tempo di pace” di 800.000 unità per poter “dissuadere” e “difendere“.
Un esercito di queste dimensioni per un paese ormai desertificato demograficamente – tra russofoni fuggiti ad est, ucraini fuggiti in Occidente, morti, feriti e invalidi – e con una economia ridotta alla pura sussistenza è assolutamente insostenibile, sia sul piano finanziario che della disponibilità di “forza lavoro”.
E qui si va provocatoriamente ad inserire l’idea di “far rispettare la pace” da una “forza multinazionale Ucraina” guidata dall’Europa, composta da contributi di nazioni disponibili e “supportata dagli Stati Uniti“. Questa forza proteggerebbe i cieli dell’Ucraina, supporterebbe la sicurezza in mare e rafforzerebbe le forze armate ucraine, “anche operando in Ucraina“.
Separatamente, gli Stati Uniti sarebbero responsabili di un meccanismo per monitorare il cessate il fuoco e fornire un preavviso di eventuali futuri attacchi. Ci sarebbe anche un impegno legalmente vincolante a prendere misure per ristabilire la pace se la Russia attaccasse di nuovo, potenzialmente incluso “l’uso della forza armata, assistenza intelligence e logistica“.
Di fatto, questa proposta significa l’ingresso degli eserciti occidentali in Ucraina, in contrapposizione diretta con l’esercito russo. Ovvero proprio la condizione per evitare la quale è scoppiata la guerra. Pensare che Mosca possa accettarlo è ridicolo; proporlo vuol dire cercare di far saltare la trattativa dandone poi la colpa a Mosca.
Sulla questione della cessione di territori, i farneticanti leader europei hanno detto che spetterebbe a Zelenskyy decidere — se necessario consultando il popolo ucraino con un referendum (per effettuare il quale Zelenskij chiederebbe un cessate il fuoco “garantito dalla Nato”, riaprendo così le questioni che si dovrebbero invece chiudere).
Pesa molto l’approssimazione e la fretta con cui Trump e la sua “squadra” di inviati vogliono procedere. Due difetti che sembrano fatti proprio per seminare il terreno di ambiguità, punti irrisolti, interpretazioni innumerevoli e dunque nuove potenziali occasioni di riapertura del conflitto.
Basti pensare a come descrivono la “trovate” del simil-art.5: “La base di quell’accordo è fondamentalmente avere garanzie davvero forti, simili all’Articolo 5“, ha detto un alto funzionario americano. “Quelle garanzie non saranno sul tavolo per sempre. Quelle garanzie sono sul tavolo proprio ora se si raggiunge una conclusione in modo positivo.”
Tradotto: “le stiamo proponendo adesso, ma se qualcuno la tira a lungo potremmo ritirarle…”
Da parte europea, fuori dalle comunque provocatorie dichiarazioni ufficiali, emerge nei “retroscena” una forte ostilità innanzitutto verso l’amministrazione Trump, come se fosse questo – e non la guerra – il problema principale.
“Dov’è la credibilità?” avrebbe chiesto un diplomatico europeo. “L’Articolo 5 senza l’adesione incoraggerà semplicemente la Russia a provare a metterlo alla prova.” Chiediamo noi: un funzionario che non ha ancora capito perché è cominciata la guerra può seriamente lavorare per farla finire?
Un altro funzionario che ha voluto restare anonimo ha spiegato a POLITICO – con parole un po’ più esplicite di quelle pronunciate ieri da Mattarella – “C’è una guerra di disinformazione qui. La cosa terribile è che non viene solo dai russi, dai cinesi o dagli iraniani. Viene anche dagli Stati Uniti.” Tutto, insomma, pur di non prendere atto che una strategia – decisa dagli Usa in versione “dem” – è fallita ed ora bisognerebbe inventarsene un’altra, invece di continuare con la vecchia in condizioni molto più precarie.
Gli Stati Uniti in versione Trump si stanno infatti sfilando, e agli europei lasciano il conto da pagare. Nella loro follia unilaterale questi ultimi si sono oltretutto incartati nell’idea di appropriarsi degli asset russi depositati nelle banche europee, soprattutto in Belgio. Ma su questo sarà il caso di occuparsene a parte…
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