Alla fine hanno prevalso “i mercati” e i loro interpreti, gli economisti…
Quella banda di scervellati che si è riunita “ad oltranza” per trovare i soldi da destinare alla guerra in Ucraina – mentre la trattativa di pace li vede esclusi per propria scelta – è arrivata a capire, un attimo prima di finire nel baratro, che era decisamente meno traumatico “fare debito ulteriore” in capo ai diversi Stati della UE piuttosto che destabilizzare i meccanismo finanziari internazionali “rubando” gli asset russi depositati negli istituti europei.
Era da giorni che gli allarmi “tecnici” crescevano di volume e tono. Infrangere il diritto internazionale di proprietà e l’affidabilità di Euroclear (la piattaforma finanziario con sede in Belgio che detiene formalmente i fondi di Mosca) avrebbe rischiato di far fuggire i capitali di altri paesi stranieri (circa 90, molto diversi tra loro), compromesso la credibilità della UE come partner e tolto qualche pilastro sotto i piedi dell’euro.
Nella notte, dopo inutili tentativi che si infrangevano non solo contro i pareri contrari (Ungheria e Slovacchia apertamente, Belgio, Italia, Malta e Bulgaria con i mezzi toni, la Francia che non voleva farsi togliere neanche gli appena 18 miliardi russi depositati a Parigi, ecc), anche Merz e van der Leyen hanno preso atto che “la rapina del secolo” non poteva andare in porto.
Da lì in poi la parola è passata agli specialisti della comunicazione, perché disegnassero una diversa “narrativa” incentrata su parole magiche più tranquillizzanti (per “i mercati”): “buon senso“, “pragmatismo“, “stabilità finanziaria“.
Per la Germania e i suoi esponenti è una tramvata in faccia. Il “debito comune” è il loro terrore, non avendo mai voluto né condividere il rischio con gli altri paesi membri né adottare politiche di spesa interna che avrebbero concesso ai partner un mercato di sbocco più ampio (come voleva il “modello mercantilista” che ora anche la Confindustria locale giudica “finito”).
Ma chi voleva e vuole continuare a sostenere la junta di Kiev nella guerra deve farsi carico in qualche modo di pagare i costi di questa scelta suicida. Gli Stati Uniti, ormai è esplicito, se ne stanno tirando fuori, Kiev ha finito i soldi e sta esaurendo anche la “carne da cannone”, i magazzini di armi continentali sono ormai semivuoti… Ergo, o accetti di trattare la pace alle condizioni che la realtà sul campo ha disegnato, oppure metti mano al portafoglio…
L‘”Europa”, di fronte alla prospettiva di spaccarsi subito e far esplodere anche il caos finanziario, ha scelto il “male minore”: indebitarsi.
Il Consiglio Europeo ha dunque trovato una quadra salvaguardando anche il principio dell’unanimità, programmando di sostenere Kiev per il 2026 e 2027 con un prestito da 90 miliardi, attraverso debito comune.
Per tamponare alla meglio la figuraccia fatta ingranando la retromarcia al presidente Antonio Costa è stato affidato il compito di dichiarare che:
“Oggi abbiamo approvato una decisione per erogare 90 miliardi di euro all’Ucraina per i prossimi due anni. Con urgenza, erogheremo un prestito garantito dal bilancio dell’Unione Europea. Questo affronterà le urgenti esigenze finanziarie dell’Ucraina, e l’Ucraina rimborserà questo prestito solo dopo che la Russia avrà pagato le riparazioni. L’Unione si riserva il diritto di utilizzare i beni immobilizzati per rimborsare questo prestito”.
Ci proveremo ancora, insomma, non è che siamo del tutto rinsaviti…
Ma anche la soluzione del debito comune, garantito dal bilancio comunitario, presentava i suoi problemi prima della riunione. Ungheria e Slovacchia da mesi dicono apertamente di non voler spendere un altro soldo per Kiev e qualsiasi decisione in materia di bilancio richiedere l’unanimità, a prescindere dal “peso” economico e demografico di ogni paese.
Anche qui, insomma, si è dovuto trovare il compromesso: Slovacchia, Ungheria e Repubblica Ceca hanno votato a favore della decisione finale solo dopo aver ottenuto – nero su bianco – il diritto di non partecipare, eventualmente, alla spesa. Il loro “contributo” andrà quindi diviso tra gli altri 24 paesi.
Un prestito di 90 miliardi inciderà comunque sulle finanze pubbliche e quindi sulle politiche di spesa dei vari Stati, obbligandoli a tagliare i finanziamenti per welfare, sanità, istruzione, assistenza sociale, ecc. Anche perché altro debito mostruoso è stato già deciso per il riarmo europeo (800 miliardi, spalmati su più anni). E naturalmente, con il “patto di stabilità” in vigore, guai a chi sgarra di un centesimo nella gestione delle finanze pubbliche. A meno che non siano per le armi…
Perciò è stata elaborata una formula quasi ridicola – più verbale che reale – per non iscrivere immediatamente questi 90 miliardi tra i “debiti”. Ascoltate: “Tale prestito sarà rimborsato dall’Ucraina solo una volta ricevute le riparazioni. Fino ad allora, tali attività rimarranno immobilizzate e l’Unione si riserva il diritto di utilizzarle per rimborsare il prestito, nel pieno rispetto del diritto dell’UE e internazionale”.
In pratica si finge di credere che la Russia, di fatto vincitrice del conflitto armato (vedremo poi in che misura la trattativa con Washington formalizzerà le questioni territoriali e gli altri punti in sospeso), sia obbligabile a pagare “riparazioni di guerra” (cosa che da sempre tocca agli sconfitti); anche ricorrendo al furto di quegli asset che oggi non si possono toccare… secondo il diritto internazionale…
Mettendo dunque tutti gli elementi insieme si vede chiaramente che si tratta di un “accordo” abborracciato alla bell’e meglio, che esenzioni ad hoc, “garanzie” scritte sull’acqua, impegni reversibili, ecc. L’unica cosa certa sono i 90 miliardi di debito in più. E qualche ulteriore ostacolo messo sui binari del percorso verso una pace duratura…
La UE, in definitiva, ha rinviato ancora una volta la presa d’atto di una sconfitta strategica. Se avesse proceduto al sequestro dei beni russi avrebbe innescato diverse bombe potenti: caos finanziario, rotture interne, ritorsioni pesanti di Mosca sugli asset europei da quelle parti (soldi, fabbriche, filiali di banche, ecc).
Ha scelto di proseguire sulla stessa strada ma rallentando il passo. Come quando si scende da una montagna e si sbaglia sentiero. Ad un certo punto non puoi più scendere ancora (c’è un burrone) e sei troppo stanco per risalire. Ma sta arrivando la notte…
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