Nelle carceri britanniche continua lo sciopero della fame di otto attivisti del gruppo Palestine Action, definito come la maggiore iniziativa del genere nel Regno Unito da oltre quarant’anni, ovvero dalla protesta di inizio anni Ottanta dei prigionieri politici irlandesi, tra cui Bobby Sanders, che sfidarono il governo Thatcher e in dieci furono lasciati a morire.
Oggi come allora, la posta in gioco è la vita dei detenuti e il riconoscimento politico delle loro azioni. Rinchiusi in cinque diversi penitenziari britannici, gli attivisti sono in custodia cautelare in attesa di processo. Due di loro hanno superato il 45° giorno di digiuno, iniziato il 2 novembre in coincidenza con l’anniversario della Dichiarazione Balfour, con cui la Corona diede legittimità al movimento coloniale sionista.
Il bilancio medico è allarmante. Gli avvocati dello studio Imran Khan & Partners hanno inviato lettere urgenti al Ministro della Giustizia, avvertendo che la morte dei detenuti non è più una remota possibilità, ma una probabilità crescente se continuerà il silenzio delle istituzioni.
Cinque scioperanti sono già stati ricoverati d’urgenza in ospedale. Tra i casi più gravi c’è quello di Qesser Zuhrah, 20 anni, che rifiuta il cibo da oltre sei settimane, ha perso conoscenza più volte, è stata preda di tremori incontrollabili, e ha passato un’intera notte a pregare di essere portata in ospedale, prima di esservi trasferita in ambulanza.
In ospedale Kamran Ahmed, 28 anni, ci è già finito due volte. Sua sorella, Shahmina Alam, ha raccontato ad Al Jazeera che parlare con lui è paradossalmente un po’ più facile quando è in prigione, “ma quando va in ospedale, la connessione si interrompe perché la prigione ci impedisce del tutto di comunicare“.
Le autorità stanno infatti portando avanti una politica chiaramente punitiva e lesiva dei diritti dei detenuti verso gli attivisti di Palestine Action (in 29 sono attualmente in carcere). Pratiche condotte con la scusante di “terrorismo”.
Infatti, il gruppo è accusato a vario titolo di aver pianificato o eseguito azioni di sabotaggio contro la Elbit Systems, il più grande produttore israeliano di armi, e i suoi partner. Le azioni contestate includono il danneggiamento di macchinari nella fabbrica di Filston nell’agosto 2024 e l’incursione nella base aerea RAF Brize Norton, dove avrebbero imbrattato con vernice rossa i motori di aerei cisterna diretti verso il Medio Oriente.
La stretta repressiva si è intensificata la scorsa estate, quando il governo ha deciso di designare Palestine Action come “organizzazione terroristica”. Da allora, oltre 2.350 persone sono state arrestate, anche solo per aver esposto cartelli di sostegno al gruppo e di condanna del genocidio dei palestinesi. Amnesty International UK è intervenuta duramente sulla questione, chiedendo ai pubblici ministeri di ritirare le accuse di terrorismo e sottolineando come l’uso di tali leggi per aggirare il giusto processo costituisca una minaccia ai diritti di espressione e riunione.
Gli scioperanti ne stanno subendo le conseguenze peggiori. I detenuti hanno dichiarato che non fermeranno la protesta finché il governo non accoglierà le loro richieste. Alcune riguardano le condizioni carcerarie: la fine della censura sulla posta e sulle comunicazioni con i legali, l’accesso ai libri e il rilascio immediato su cauzione (dato che molti dovrebbero attendere oltre un anno prima del processo).

Le richieste politiche sono però il cuore della protesta: gli attivisti esigono la revoca della messa al bando di Palestine Action, la divulgazione dei documenti sulle interferenze dello stato israeliano nei loro procedimenti giudiziari e, soprattutto, la fine delle operazioni di Elbit Systems nel Regno Unito. L’azienda produce l’85% dei droni utilizzati dall’esercito israeliano a Gaza.
Oltre 50 parlamentari britannici – tra cui Jeremy Corbyn – hanno lanciato un appello affinché il ministro della Giustizia, David Lammy, incontri i rappresentanti dei detenuti. Il membro del governo ha creato scalpore quando, avvicinato dalla sorella di uno dei detenuti durante un evento natalizio che chiedeva di fare qualcosa riguardo alla vicenda, ha risposto: “È davvero un peccato, non ne sapevo niente”, chiedendo persino se i fatti stessero avvenendo nel Regno Unito.
Una dichiarazione inaccettabile e ovviamente falsa. Il governo ha in sostanza confermato che vuole mandare a morire i detenuti con un utilizzo spregiudicato delle accuse di terrorismo, come varie organizzazioni per i diritti umani e la libertà di espressione hanno denunciato. È necessario mantenere alta l’attenzione a livello internazionale, e rafforzare la solidarietà con i detenuti in sciopero della fame.
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