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Gaza, il governo per procura di Israele collassa insieme alle milizie

L’assassinio della scorsa settimana di Yasser Abu Shabab, il trentaduenne leader delle “Forze Popolari” sostenute da Israele, una milizia che opera nella zona di Rafah, nella parte meridionale della Striscia di Gaza, è più di un semplice omicidio di stampo mafioso. La sua uccisione per mano dei suoi stessi miliziani scontenti è una chiara rappresentazione di una politica che sta fallendo.

Per mesi Israele ha messo insieme una squallida alleanza di criminali condannati, ex affiliati dell’Isis e collaboratori opportunisti, presentandoli come l’embrione di un governo locale alternativo ad Hamas a Gaza, mentre li utilizzava per orchestrare la fame e compiere attacchi per conto di Israele. Ora, questo tentativo di coltivare una rete di bande criminali come subappaltatori della sua occupazione sta crollando in lotte intestine paranoiche e caos sanguinoso.

LO STESSO Abu Shabab era un trafficante di droga condannato con legami documentati con l’Isis nel Sinai. Condannato da un tribunale di Gaza nel 2015 a 25 anni di carcere, ne ha scontati otto prima di fuggire nel caos seguito al 7 ottobre. È poi riapparso a Gaza sotto la protezione dell’esercito israeliano per guidare una banda di 120 combattenti, parte di quella che il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha ammesso essere una strategia esplicita per armare i clan potenti di Gaza per contrastare Hamas.

Secondo il giornalista investigativo di Gaza Mohammed Othman, la morte di Abu Shabab è stata decisa quando l’esercito israeliano ha scoperto il mese scorso il cibo che aveva fornito alla sua banda all’interno di un tunnel di Hamas.

Israele ha imposto rapidamente delle restrizioni ai membri del gruppo, limitando i loro spostamenti a Rafah, riducendo le loro razioni alimentari e impedendo ai loro leader più fidati di entrare e uscire da Israele.

Le tensioni all’interno della banda sono esplose. Nel giro di pochi giorni, dopo un’indagine interna, il vice capo e leader de facto della banda Ghassan Duhaini ha arrestato Jum’aa Abu Sunaima, il cui fratello Mahmoud supervisionava la distribuzione di cibo alla banda di Abu Shabab e ad altre famiglie della zona, con l’accusa che Jum’aa stesse dirottando il cibo ai militanti di Hamas.

Mahmoud si è recato a casa di Abu Shabab per chiedere il rilascio di suo fratello, ma gli è stato detto che Jum’aa aveva tre opzioni: rimanere in detenzione, essere consegnato all’esercito israeliano o essere giustiziato.

Lo scontro si è inasprito, Mahmoud ha estratto un fucile automatico e ha aperto il fuoco. Abu Shabab è rimasto gravemente ferito ed è deceduto in seguito alle ferite riportate dopo essere stato trasportato all’ospedale Soroka nella città israeliana di Be’er Sheva, mentre sia Mahmoud che Jum’aa sono rimasti uccisi negli scontri.

All’uccisione di Abu Shabab è seguita una serie di violenze di rappresaglia. Secondo Othman e altre fonti locali, Duhaini, ferito alla gamba sinistra durante lo scontro, è stato curato in Israele ed è tornato per compiere una serie di esecuzioni, uccidendo le guardie del corpo di Abu Shabab per non essere intervenute, nonché l’uomo armato, suo fratello detenuto e diverse altre persone.

Ha anche lanciato attacchi contro le case del clan Abu Sunaima, ferendo diversi residenti, confiscando telefoni, aggredendo donne e mettendo le famiglie sotto sequestro. Il clan ha poi rilasciato una dichiarazione pubblica confermando la morte di Jum’aa e Mahmoud e suggerendo implicitamente che i due fossero responsabili della morte di Abu Shabab.

QUESTA IMPLOSIONE coglie una profonda verità sull’esperimento di proxy di Israele a Gaza: affidando l’occupazione di una popolazione assediata ai collaboratori più violenti e opportunisti, Israele non produrrà un’alternativa stabile al governo di Hamas. Al contrario, una tale strategia non fa altro che favorire una mini-economia da signori della guerra, preparando il terreno per cicli infiniti di violenza vendicativa.

Il rapporto di Israele con le bande criminali di Gaza è iniziato quasi immediatamente dopo l’invasione di Rafah da parte dell’esercito nel maggio 2024. I membri delle bande hanno presto iniziato a saccheggiare i convogli di aiuti umanitari con quella che i testimoni hanno descritto come una protezione israeliana passiva e a volte attiva: i furti potevano avvenire a meno di 100 metri dai carri armati israeliani, con le truppe che sparavano solo quando la polizia locale o i volontari tentavano di intervenire.

L’accordo serviva agli obiettivi strategici di Israele, aggravando la fame a Gaza e scaricando la colpa sui gruppi locali, preservando al contempo una plausibile negabilità. Al culmine della crisi della scorsa estate, quasi il 90% dei convogli umanitari delle Nazioni unite è stato intercettato prima di raggiungere i centri di distribuzione.

Nel novembre 2024, una nota interna delle Nazioni Unite ha identificato le Forze Popolari di Abu Shabab come le principali responsabili. Il gruppo aveva costruito un complesso militare fortificato con magazzini e carrelli elevatori per immagazzinare gli aiuti rubati, che poi rivendevano sul mercato nero a prezzi esorbitanti.

Più tardi quello stesso mese, i militanti di Hamas hanno teso un’imboscata a un’unità di Abu Shabab all’ospedale europeo di Khan Younis, uccidendo circa 20 dei loro combattenti, tra cui il fratello del capo della banda e contabile, Fathi. Dopo l’attacco, l’esercito israeliano ha ampliato la sua collaborazione con Abu Shabab, che ora aveva motivi altamente personali per vendicarsi di Hamas.

Israele ha successivamente impiegato le Forze Popolari e altre bande per attività di spionaggio, raccolta di informazioni, rapimenti, omicidi e bonifica di aree pericolose prima dell’arrivo delle forze israeliane.

Un alto dirigente di Hamas a Doha mi ha recentemente riferito che quando le Brigate Al-Qassam di Hamas si sono scontrate con il clan Dogmoush in ottobre, i militanti hanno recuperato liste israeliane di persone da rapire, interrogare e assassinare, insieme a ingenti somme di denaro, armi e veicoli.

Nel maggio 2025, Israele ha ulteriormente formalizzato la sua collaborazione. L’esercito ha fornito ai membri delle bande uniformi con la bandiera palestinese per dare l’impressione di una forza di sicurezza legittima e ha incaricato loro di costruire un grande campo tendato nella parte orientale di Rafah, vicino al confine egiziano.

Due mesi dopo, il ministro della difesa israeliano Israel Katz ha parlato del suo piano di concentrare lì 600mila abitanti di Gaza, impedendo loro di tornare nella parte centrale e occidentale della Striscia, e Abu Shabab ha ribadito gli stessi obiettivi demografici in un editoriale pubblicato sul Wall Street Journal a suo nome.

BEN PRESTO è apparsa una pagina Facebook che promuoveva l’area «sicura» della banda sia in arabo che in inglese, offrendo persino stipendi mensili compresi tra mille e 1.500 dollari alle nuove reclute. Secondo un ex membro della banda che ha parlato con Mohammed Othman, i civili che si sono trasferiti lì sono stati effettivamente tenuti in ostaggio, gli è stato impedito di tornare a ovest o di contattare le loro famiglie.

Anche gli Emirati arabi hanno iniziato a sostenere Abu Shabab, cercando di creare rivali locali ad Hamas. Un diplomatico arabo mi ha detto che Abu Dhabi preferiva un «caos simile a quello del Sudan» a qualsiasi scenario in cui Hamas sopravvivesse alla guerra.

A giugno Duhaini è apparso in un video accanto a un veicolo con targa degli Emirati, con in mano un fucile serbo nuovo di zecca che, secondo una fonte del Wsj, si può trovare solo in due paesi del Medio Oriente: Israele e gli Emirati arabi.

Entro l’estate, tuttavia, Israele stava vivendo il rimorso dell’acquirente. Le fila di Abu Shabab non crescevano e pochi civili si trasferivano nel loro campo. La situazione è peggiorata ulteriormente dopo che il deputato dell’opposizione israeliana ed ex ministro della difesa Avigdor Liberman ha inavvertitamente violato la censura militare criticando Netanyahu per aver armato «l’equivalente dell’Isis a Gaza».

Netanyahu ha successivamente confermato alcuni elementi di questa versione, spingendo la famiglia Abu Shabab e il clan Tarabin a rinnegare pubblicamente Abu Shabab e a bollarlo come collaborazionista.

Anche il reclutamento da parte della banda del noto critico di Hamas, Momen Al-Natour, ha avuto un effetto contrario. Dopo che hanno pubblicato delle foto con lui, la sua famiglia lo ha denunciato e presto è fuggita da Gaza per sfuggire all’orbita della banda.

Dal cessate il fuoco di ottobre, Israele ha mantenuto il controllo delle aree spopolate oltre la cosiddetta «linea gialla», che ora rappresentano più della metà del territorio di Gaza. Qui, secondo diverse fonti locali, Israele ha rapidamente trovato un altro impiego per il gruppo di Abu Shabab e altre cinque bande proxy, che partecipano a operazioni mordi e fuggi e missioni di caccia ai tunnel per sradicare i militanti di Hamas a Rafah.

Prima di essere ucciso, Abu Shabab era anche coinvolto nei piani di Israele per costruire la “Nuova Rafah”, un villaggio Potemkin destinato a mascherare il rifiuto di Israele di consentire la ricostruzione nella parte occidentale di Gaza.

Secondo un giornalista europeo, poco prima della sua morte Abu Shabab stava discutendo con Duhaini un piano per formare un «governo di transizione di Gaza orientale», vagamente ispirato alle Forze di supporto rapido del Sudan. Alla fine di novembre, la banda ha anche pubblicato un filmato in cui si presentava come un braccio del Consiglio di pace e della Forza di stabilizzazione internazionale di Trump.

Israele ha promosso con insistenza la banda presso i decisori politici americani e i media israeliani hanno persino riferito che Abu Shabab ha incontrato Jared Kushner presso il Centro di coordinamento civile-militare dell’esercito americano nel sud di Israele, cosa che il Dipartimento di Stato americano ha negato.

Da allora la leadership delle Forze Popolari è passata a Duhaini, ex comandante di Jaysh Al-Islam a Rafah, una fazione radicale che ha giurato fedeltà all’Isis nel 2015 ed è stata responsabile del rapimento del giornalista della Bbc Alan Johnston nel 2007.

Fonti di Gaza affermano che Duhaini è stato arrestato due volte da Hamas prima della guerra e in precedenza ha prestato servizio nel settore della sicurezza dell’Autorità Palestinese. Suo fratello, militante della Jihad islamica, è morto in una prigione di Hamas.

Un altro comandante chiave della banda di Abu Shabab è Essam Nabahin, un agente dell’Isis che ha combattuto l’esercito egiziano nel Sinai alla fine degli anni 2010. Dopo essere riapparso a Gaza nel 2022, è stato arrestato per aver ucciso un agente di polizia, ma è fuggito dalla prigione il 7 ottobre. Altri membri delle Forze popolari hanno storie altrettanto violente o criminali, tra cui traffico di droga, omicidio e violenza sessuale.

La seconda banda più grande è guidata da Ashraf Al-Mansi, che opera da una scuola abbandonata a Beit Lahiya, nel nord di Gaza. Una fonte con sede a Gaza ha riferito che Al-Mansi proviene da una famiglia vicina ad Hamas: suo zio, imam di una moschea di Hamas, è stato ucciso da Fatah nel 2007 e suo padre è stato arrestato da Israele. Al-Mansi si è poi dedicato allo spaccio di droga e ha preso le distanze da Hamas.

UNO DEI SUOI luogotenenti più noti, Abu Anas Zeidan, è un ex jihadista salafita che faceva parte dell’Isis prima di unirsi al gruppo di Al-Mansi. Un’altra figura di spicco è Hussam Al-Astal, ex membro delle forze di sicurezza dell’Autorità Palestinese e forse il leader della banda più visibile dopo Abu Shabab, grazie alle sue apparizioni sui media israeliani e internazionali.

Hamas lo aveva precedentemente incarcerato per presunta partecipazione all’assassinio dell’ingegnere palestinese Fadi Al-Batsh in Malesia nel 2018, compiuto dal Mossad. Come molti altri, è fuggito dalla prigione dopo il 7 ottobre e ora guida una milizia di cento uomini tra Khan Younis e Rafah, nota come Counter-Terrorism Strike Force.

Nonostante la sua notorietà mediatica, Al-Astal è estraniato dalla sua famiglia. Suo fratello Nidal è un alto comandante delle Brigate Al-Qassam ed è anche imparentato con l’importante leader di Hamas, Yunis Al-Astal.

Un ex vicino di Al-Astal mi ha informato che Israele ha ucciso sua figlia in un attacco a una tenda durante la guerra e che suo genero è stato ucciso mentre cercava aiuto dalla Gaza Humanitarian Foundation. La moglie e i figli sopravvissuti di Al-Astal si sono rifiutati di raggiungerlo a Khan Younis e la famiglia allargata di Al-Astal lo ha formalmente ripudiato.

Nella parte orientale della città di Gaza, Rami Heles, un altro ex ufficiale di sicurezza dell’Autorità Palestinese, guida un gruppo più piccolo. Una quinta banda, nella parte orientale di Khan Younis, è guidata da Shawqi Abu Nusaira, un funzionario in pensione dell’Autorità Palestinese che ha trascorso oltre un decennio nelle prigioni israeliane e che, secondo quanto riferito, sarebbe responsabile della recente esecuzione di un presunto membro di Hamas.

Sebbene Abu Nusaira abbia formato la milizia alla fine di novembre, fonti di sicurezza a Gaza affermano che si aspettano che sciolga il suo gruppo e chieda clemenza sulla scia della morte di Abu Shabab, data l’assenza di qualsiasi vendetta personale contro Hamas.

Una sesta fazione, molto più piccola, è emersa nella parte orientale di Rafah dopo la morte di Abu Shabab. Il gruppo, che si autodefinisce “Forza di difesa popolare”, ha pubblicato un unico video in cui minaccia Hamas, ma la sua leadership rimane sconosciuta.

L’uccisione di Abu Shabab ha inferto un duro colpo alla strategia di governo per procura di Israele a Gaza, per almeno tre motivi. In primo luogo, Abu Shabab era il volto della campagna propagandistica israeliana che rivendicava il successo nella deradicalizzazione di alcuni abitanti di Gaza e nella creazione di «comunità alternative sicure» per loro nella parte orientale di Gaza, una narrativa che Israele usa per giustificare l’imprigionamento e il continuo bersagliamento di circa due milioni di persone nelle rovine della metà occidentale dell’enclave.

In secondo luogo, oltre a promettere potere, denaro e cibo, Israele ha attirato queste bande offrendo loro protezione da Hamas, intervenendo militarmente in diverse occasioni per difenderle dagli attacchi. Ma quella promessa è ormai priva di significato, ora che la minaccia di violenza è emersa dalle file delle bande stesse.

Non esiste alcuna ideologia o causa che unisca i membri della banda se non il guadagno materiale immediato, il che significa che qualsiasi disputa tra i membri della banda può avere esiti fatali. Infatti, nel caos seguito alla morte di Abu Shabab, diversi membri della banda sono fuggiti nella parte occidentale di Gaza e si sono consegnati alle forze di sicurezza di Hamas in cambio di clemenza e si prevede che altri si uniranno a loro presto.

In terzo luogo, la morte di Abu Shabab ha scatenato una lotta di potere tra Duhaini, che guida l’ala militare della banda, e Humaid Al-Sufi, capo dell’ala civile. La fazione di quest’ultimo ha diffuso voci secondo cui Duhaini sarebbe responsabile della morte di Abu Shabab. La famiglia Al-Duhaini è la più piccola della tribù Tarabin, largamente superata in numero dalla famiglia Al-Sufi, il che rende difficile per gli altri accettare l’ascesa al trono di Duhaini.

La fuga paranoica dei membri della banda verso Hamas in cerca di clemenza, le nascenti guerre di successione, il tradimento viscerale all’interno dei ranghi di Abu Shabab: questi segnali non indicano solo il crollo di una forza proxy, ma il fallimento dell’intera premessa cinica.

Rifiutando sia il governo di Hamas che il ritorno dell’Autorità Palestinese, Israele è stato costretto a negoziare con i reietti di Gaza, uomini la cui unica causa comune con Israele (e Netanyahu in particolare) era la disperazione condivisa di sfuggire al giorno della resa dei conti. Con la morte di Abu Shabab, il modello delle bande si rivela una strategia priva di visione e di principi, una testimonianza schiacciante del fallimento della visione di Israele per il futuro di Gaza.

 * dalla rivista israeliana-palestinese+972mag

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