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La Fiom sulle ali della giustizia

La furbate sono spesso dimostrazione di poca intelligenza. Anche quando a metterle in atto sono soggetti «forti». È quanto emerge dalla prime nove sentenze – sette a Modena, due a Torino – che danno ragione alla Fiom e torto alle imprese che hanno applicato ai propri dipendenti il «contratto separato» del 2009 in luogo di quello unitario del 2008. Sentenze che pongono problemi molto seri a queste aziende (tra cui Ferrari, Maserati e New Holland, tre star del gruppo Fiat) e ai sindacati «complici». Le prime saranno obbligate a differenziare il trattamento normativo tra dipendenti iscritti alla Fiom oppure a nessun sindacato e quelli iscritti a Fim, Uilm o Fismic. Ma al tempo stesso dovranno continuare a corrispondere i piccoli aggiornamenti salariali del contratto «spurio», perché Statuto dei lavoratori e Costituzione vietano discriminazioni tra lavoratori: sia rispetto al sindacato cui sono iscritti, sia rispetto al salario. I sindacati firmatari dovrebbero a questo punto restituire circa 30 euro a ogni lavoratore che non risulti tra i loro iscritti, ricevuti a suo tempo a titolo di una tantum per aver loro «regalato» un contratto peggiorativo.

Un pasticcio che rafforza enormemente la Fiom, l’unica a non aver disdettato il contratto metalmeccanico «unitario» del 2008. Perché proprio questo hanno riconosciuto i giudici: se il contratto di lavoro è tra «parti private», ancorché con effetti validi erga omnes, allora può esser sciolto solo con il consenso di tutti i contraenti. E la Fiom non l’ha mai dato.
Con questa forza ulteriore – che si somma alla riuscita dello sciopero generale del 28 gennaio e all’aumento degli iscritti – il segretario generale, Maurizio Landini, ha lanciato ieri la sua proposta a Federmeccanica e, di conseguenza, anche ai sindacati «pronta firma»: «sospendiamo la presentazione di altri ricorsi, e chiediamo esplicitamente a Fim, Uilm e Federmeccanica di aprire un tavolo di trattativa perché vogliamo che nel nostro settore siano definite, attraverso un accordo sottoscritto anche dalle controparti, regole sulla rappresentanza e sulla democrazia che impediscano la pratica degli accordi separati».
Dopo la rottura totale dell’unità sindacale – architrave su cui si era retta per 60 anni la contrattazione collettiva, in assenza di leggi – e i tentativi espliciti (Marchionne, Brunetta, ecc) di fare accordi soltanto con i sindacati «complici», anche quando minoritari, il punto di partenza non può che essere la definizione di un sistema di regole per decidere chi rappresenta i lavoratori; e soprattutto in quale misura. Ma anche: come si fa a stabilire che un accordo è valido («perché non è che se un referendum lo chiede la Fiat, allora si può fare, mentre, se lo chiedono i lavoratori, no»). Non è una proposta nuova, ma torna in campo dopo una serie di rovesci per le industrie che avevano dato retta a Federmeccanica, secondo cui «il contratto 2009 sostituiva in tutto e per tutto quello precedente».
L’alternativa alla trattativa è uno stillicidio di vertenze giudiziarie dall’esito ormai segnato, attacchi di panico negli uffici contabili di migliaia di aziende, conflittualità continua. Landini è pacato, ma come sempre molto determinato. Si aspetta che la Giunta di Federmeccanica decida, nei prossimi giorni, se accogliere o meno questo invito.
Le prime reazioni, soprattutto in Fim e Uilm, non sono confortanti. Ma qui tutti pensano che il parere decisivo è quello delle imprese: le comparse si adegueranno. La questione è «come evitare altri accordi separati», che «fanno male ai lavoratori ma, a questo punto, anche alle imprese». Le proposte Fiom sulle «regole» sono note, ma vengono ripetute: «Rsu elette senza quote garantite, ogni lavoratore vota chi vuole e la rappresentatività si misura sulla base di voti ricevuti e iscritti certificati (non, come ora, semplicemente ‘dichiarati’, ndr); referendum in caso di diversità di opinioni tra i sindacati (ma per la Fiom sarebbe meglio sempre, ndr)». Con la necessaria premessa che «un referendum è democratico quando si può dire sì o no in piena libertà» (sul «modello Fiat», com’è noto, si votava invece «sì oppure me ne vado»; ossia un ricatto in piena regola).
L’obiettivo è quello di «riconquistare un contratto nazionale unitario e condiviso, ma soprattutto senza deroghe». Chi pensa di andare avanti come prima deve sapere che la Fiom «presenterà una piattaforma per rinnovare il contratto e lo sottoporrà al giudizio dei lavoratori»; garantendo così un anno di «ultrattività» al contratto del 2008. Davvero le aziende vogliono continuare questa guerriglia che le logora solo per sostenere il tipo di conflitto che la Fiat – e non loro – ha aperto?
* da “il manifesto” del 28 aprile 2011

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