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“Quanto accaduto alla Bertone è grave”

 

Come valutate l’esito del referendum della ex Bertone?

Ci siamo trovati indubbiamente davanti ad una situazione complessa. Lo stabilimento in questione la Bertone, da un lato ha visto tutto il mondo politico schierato con Marchionne, dall’altro i lavoratori della Bertone vengono da sei anni di cassa integrazione e sono fuori dalla fabbrica. È una situazione molto diversa da Pomigliano e Mirafiori. Anche in questo caso abbiamo fatto una battaglia per il No, ma nel caso della Bertone, diversamente che a Mirafiori, la Fiom stavolta ha detto di Si, mentre in precedenza avevamo fatto insieme a settori della Fiom la campagna per il no nei referendum-ricatto imposti da Marchionne. Quanto accaduto alla Bertone è grave, è una linea diversa rispetto a quella che la Fiom aveva adottato nelle altre fabbriche. C’è un cambio di strategia e i lavoratori vengono lasciati a se stessi. Questo ha un impatto micidiale. L’ipotesi che viene rafforzata è quella che sostiene il ministro Sacconi. Era difficile ovviamente dire ai lavoratori in cassa integrazione di dire no. Ma dire di si significa accettare il ricatto padronale. Quando l’azienda cerca di risparmiare sulle briciole – il costo del lavoro – con una continua rincorsa al ribasso, noi dobbiamo prepararci a combattere contro questa mostruosità.

 

In questi giorni 11 delegati Fiom della Sata-Fiat di Melfi hanno inviato una lettera affermando che l’accordo sulla nuova organizzazione del lavoro con il sistema Ergo Uas doveva essere firmato anche dalla Fiom. Quanto sta diventando difficile trovare una “quadra”, una posizione generale sulla quale affermare i diritti dei lavoratori di fronte ad un ricatto padronale che si fa sempre più pesante?

Abbiamo condiviso la battaglia per il no a Marchionne a Pomigliano e Mirafiori. Le conseguenze del modello Marchionne ormai le stiamo vedendo a livello nazionale. Alla Manuli, il più grande impianto industriale nelle Marche, vogliono fare una newco come per la Fiat. Come contrattare in queste situazione? Laddove siamo presenti cerchiamo di rappresentare un momento di resistenza al padronato e in parte condizioniamo anche gli altri sindacati. La scelta che abbiamo fatto è di esprimere solidarietà anche ai lavoratori delle aziende dove non siamo presenti, come nel caso della Bertone, perchè questa situazione non riguarda solo i lavoratori del Bertone.

La prima questione è che occorre puntare ad un rilancio qualitativo delle produzioni italiane con investimenti veri. Non possiamo sopravvivere all’interno di una competizione internazionale a ribasso cedendo i diritti in cambio dell’occupazione.

C’è poi una seconda questione. Ieri abbiamo presentato alla Corte di Cassazione la Legge di Iniziativa Popolare sulla rappresentanza sindacale. Marchionne riesce a fare queste porcherie anche perchè in Italia non c’è una legge sulla rappresentanza sindacale democratica. I lavoratori si trovano da una parte l’offensiva padronale dall’altra l’impossibilità di una rappresentanza democratica. Andare ai referendum in queste condizioni diventa impossibile. Occorre far approvare una nuova legge sulla rappresentanza, altrimenti i sindacati conflittuali saranno cancellati dalla storia del movimento operaio.

 

Come valutate lo sciopero generale della Cgil di domani?

La Fiom è riuscita a portare a casa uno sciopero generale da parte della Cgil. I lavoratori quando scioperano è sempre positivo. Ma nella piattaforma messa in campo dalla Cgil non c’è un rigo che parla della Confindutstria ma si parla solo delle responsabilità del governo. E’ un errore grave. La Confindustria non è assente dallo scenario, al contrario, il governo secondo Confindustria non è sufficientemente “di destra”, non ha fatto abbastanza danni con il collegato lavoro e lealtre misure antisociali.

Mi preoccupa che nella piattaforma di uno sciopero generale non si parli delle responsabilità della Confindustria. Mi preoccupa che la Cgil usi lo sciopero solo per rientrare nel gioco e guardi alla Confindustria come una sponda per ottenere questo rientro ai tavoli della concertazione.

La Camusso era a favore del si sull’accordo di Mirafiori. C’è una disponibilità a mettersi a disposizione del padronato intorno al tavolo sulla base di nuove regole che è molto preoccupante.

Noi abbiamo cercato di interagire non solo con il sindacalismo di base e di andare anche al di là, anche con la Fiom per cercare delle convergenze. Una unità di intenti del sindacalismo conflittuale sarebbe molto importante nella fase che stiamo attraversando.

 

 

Dopo il caso Bertone le contraddizioni della FIOM sono ormai ad un punto critico: a questo punto che senso ha chiamare allo sciopero del 6 maggio?

Comunicato dell’Unione Sindacale di Base

Il voto dei lavoratori della Officine Automobilistiche Grugnasco, alla vigilia dello sciopero indetto dalla Cgil per il 6 maggio, pone un problema politico di sostanza in una fabbrica in cui la maggioranza dei lavoratori è iscritto alla Fiom.
Non ci sorprende che l’88% dei lavoratori della Bertone abbia votato si, visto che tutti i sindacati presenti in quella fabbrica hanno dato la stessa indicazione di voto, semmai quello che può sorprendere è che l’unanimismo del voto chiesto ai lavoratori è stato rotto dai tanti no che comunque ci sono stati.
Un voto il cui esito sindacalmente negativo ed in contrasto con l’opposizione degli operai che in varie forme si è prodotta a Mirafiori ed a Pomigliano, non può essere imputato prioritariamente ai lavoratori che dopo anni di cassa integrazione, con una azienda fallita e sottoposta al ricatto della Fiat, si sono trovati anche senza una indicazione alternativa.
Un risultato però di cui non è possibile sottovalutare la portata per gli effetti che potrebbe produrre in altri luoghi di lavoro e perché evidenzia che anche la Fiom, complessivamente, sta assumendo un atteggiamento fortemente contraddittorio e che, in definitiva, per molti versi potrebbe essere considerato simile a quello di Fim e Uilm da una parte e della propria confederazione, la Cgil, dall’altra.
In tre situazioni Fiat sostanzialmente simili il referendum ha avuto un esito diverso. In tutte e tre le fabbriche ha vinto il si, ma le percentuali non sono state le stesse.
Pomigliano d’Arco è stato il primo dei siti su cui è caduto il ricatto della Fiat: se l’accordo non fosse passato la fabbrica sarebbe stata chiusa in quanto non vi sarebbero stati nuovi investimenti e nuovi modelli da produrre.
Alle carrozzerie di Mirafiori la Fiat fece un analogo ricatto, ossia la promessa di investimenti e di nuovi modelli se l’accordo fosse passato. In caso contrario avrebbe proceduto allo “spegnimento” progressivo dello stabilimento mano a mano che i modelli attualmente in produzione fossero andati fuori produzione.
Analogo ricatto è stato posto ai lavoratori della ex Bertone.   
Se a Pomigliano il NO ha registrato percentuali altissime ed a Mirafiori il SI ha vinto di poco, alla Bertone l’accordo è passato con un ampio margine.
E’ quindi evidente che le posizioni Fiom, espresse in modo diverso nelle tre situazioni, hanno fortemente contribuito a determinare risultati diversi. Un atteggiamento che non è possibile scindere tra quello che dice la dirigenza nazionale e quello che fanno le proprie RSU.  In tutti gli stabilimenti la Fiom ha detto di non riconoscere la validità del referendum, in quanto ricattatorio ed imposto da Marchionne, tanto che sia a Pomigliano che a Mirafiori non dette indicazione di voto, anzi, a Pomigliano decise di non partecipare alla commissione elettorale mentre a Mirafiori vi partecipò in qualità di osservatore. Vi è stata quindi una profonda differenza con quanto accaduto alla Bertone, dove se la Fiom nazionale formalmente ha mantenuto una posizione critica, dall’altra i propri Rsu hanno fatto campagna elettorale per il Si.
Non è poi marginale anche il fatto che alla ex Bertone non è presente il sindacato di base e conflittuale, che sia a Pomigliano che a Mirafiori ha svolto invece un importante ruolo di opposizione ed una battaglia limpida ed ufficiale per il No.
A Mirafiori il comitato per il NO non si costituì spontaneamente, come fu riportato da alcuni organi di stampa, ma venne costituito ufficialmente dall’USB e dai COBAS.
A Pomigliano furono USB e Slai Cobas che  decisero di accettare apertamente lo scontro ed entrarono anche nella commissione elettorale.
A questo punto è lecito domandarsi quali saranno adesso le conseguenze a livello nazionale per le fabbriche in crisi, quali saranno i comportamenti del padronato, dei sindacati “collaborazionisti” e del governo che vedono nell’esito di questo referendum la conferma della giustezza della loro linea politica.
Questa situazione non può ripetersi. E’ aberrante che il padronato possa scegliere con chi trattare e fare accordi, oppure che possa decidere di far votare i lavoratori su quesiti che, in caso di bocciatura dei ricatti padronali, prevedono il licenziamento dei lavoratori o la chiusura delle fabbriche.
Un nuovo protagonismo dei lavoratori ed il rafforzamento del sindacalismo conflittuale sono gli elementi che potranno impedire che queste situazioni si ripetano, così come è necessaria una nuova legge sui diritti dei lavoratori, sulla democrazia e sulla rappresentanza sindacale.  
Su questi elementi continueremo a lavorare, nella convinzione che la partita con il padronato e con Marchionne non è chiusa ma che sia ancora tutta da giocare.

Ma resta un altro aspetto veramente contraddittorio alla luce della vicenda Bertone ed è rappresentato dal prossimo sciopero generale del 6 maggio indetto dalla Cgil.
Come si può chiamare allo sciopero generale se si rinuncia preventivamente al conflitto, pur essendo il più grande sindacato italiano e in una realtà lavorativa come la Bertone, dove addirittura si è ampiamente maggioritari. Si ha paura di perdere o di vincere?
Lo sciopero del 6 maggio, che è stato alimentato soprattutto attraverso un utilizzo strumentale della legittima richiesta di conflitto e di opposizione alle politiche padronali e del governo che sale tra i lavoratori, si rivela oggi per quello che è realmente: uno sciopero politico che ha risposto esclusivamente alla necessità dettate dal mantenimento di instabili equilibri interni. Uno sciopero per il quale non si spende una parola contro Marchionne e la Confindustria, che invece è tutto mirato contro il governo e che essendo collocato a pochi giorni dalle elezioni, assume evidentemente una forte valenza “pre-elettorale”.
Uno sciopero “sfogatoio” che preparerà la strada, entro pochissime settimane, alla ripresa ufficiale della collaborazione con Cisl e Uil per la costruzione, insieme a Governo e Confindustria, di un nuovo Patto Sociale, obiettivo che la Cgil della Camusso non ha mai abbandonato.

Che farà a quel punto la Fiom? Se dovessimo rispondere in base a ciò che sta accadendo in questi giorni nell’ambito della vicenda Fiat, verrebbe spontaneo pensare ad un ritorno, magari parziale e lento, verso le politiche ufficiali della Cgil.

USB Unione Sindacale di Base

 

L’audio dell’intervista realizzata da Radio Città Aperta:


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