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Fiom. Passa la linea di Landini ma restano i contrasti interni.

Dopo otto ore di discussione alquanto animata, il documento del segretario generale sulla gestione della partita Fiat, ex Bertone compresa, e sul contratto nazionale è stato approvato con 106 voti a favore del documento di Landini, pari al 70,6%, mentre il documento di minoranza, presentato da Fausto Durante (in linea con la Camusso e la maggioranza della Cgil) ha ottenuto 29 voti. Sono stati 15 invece gli astenuti che fanno riferimento all’area, interna alla maggioranza della Fiom, di Giorgio Cremaschi. Da questa area e in particolare dal Sergio Bellavita, erano venute forti critiche alla gestione del referendum tra i lavoratori della Bertone, definendo un «arretramento» il sì dei delegati Fiom della Rsu dello stabilimento, posizione approvata (non senza qualche tentennamento) dal vertice nazionale della Fiom.

Per Landini questo è “un voto che “conferma e rafforza tutta la linea della Fiom”. “C’e’ stata una buona ed esplicita discussione” che parla del risultato come di “un elemento che rafforza le iniziative che la Fiom ha messo in campo sia per contrastare la pratiche della Fiat, sia per riconquistare il contratto nazionale di lavoro, vista la positività dei decreti dei tribunali”. Dalla discussione nella Fiom è emerso anche un giudizio molto positivo sullo sciopero generale del 6 maggio “per noi molto importante” ha affermato Landini che sulla base di questo ha chiesto alla Cgil di proseguire nella mobilitazione. “Tutta la confederazione – afferma il segretario Fiom – forte del risultato dello sciopero, decida le modalità e le forme per continuarla. Di questo si discuterà anche nel direttivo”. “Siamo disposti anche a mettere in campo azioni unitarie, se ci sono le condizioni; a partire dagli stabilimenti Fiat dove c’è meno cassa integrazione, come Melfi e Cassino, è necessario aprire, anticipandola, la vertenza sugli investimenti e sul futuro; di fronte all’attacco alle libertà sindacali, abbiamo intenzione di far diventare la questione nazionale” ha aggiunto Landini. “Per questo ci rivolgeremo ai partiti, alle forze politiche, chiederemo audizione e faremo un presidio in Parlamento”.

Nonostante il risultato, restano aperte le contraddizioni emerse sulla vicenda della ex Bertone. In tre situazioni Fiat il referendum ha infatti avuto un esito diverso. In tutte e tre le fabbriche ha vinto il si, ma le percentuali non sono state le stesse.
Pomigliano d’Arco è stato il primo dei siti su cui è caduto il ricatto della Fiat: se l’accordo non fosse passato la fabbrica sarebbe stata chiusa in quanto non vi sarebbero stati nuovi investimenti e nuovi modelli da produrre.
Alle carrozzerie di Mirafiori la Fiat fece un analogo ricatto, ossia la promessa di investimenti e di nuovi modelli se l’accordo fosse passato. In caso contrario avrebbe proceduto allo “spegnimento” progressivo dello stabilimento mano a mano che i modelli attualmente in produzione fossero andati fuori produzione. Analogo ricatto è stato posto ai lavoratori della ex Bertone che, a differenza degli altri due siti produttivi, vedeva la fabbrica ferma e i lavoratori in cassa integrazione da anni.
Se a Pomigliano il NO ha registrato percentuali altissime ed a Mirafiori il SI ha vinto di poco, alla Bertone (dove la Fioma ha la stragrande maggioranza di iscritti) l’accordo è invece passato con un ampio margine.
E’ quindi evidente che le posizioni Fiom, espresse in modo diverso nelle tre situazioni, hanno fortemente contribuito a determinare risultati diversi. Un atteggiamento che non è possibile scindere tra quello che dice la dirigenza nazionale e quello che fanno le proprie RSU.

 

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gli articoli da “il manifesto” di oggi sul Comitato  Centrale della Fiom

 

Dopo lo sciopero due strade per la Cgil

 

Loris Campetti
Passata la festa gabbato lo santo? In altre parole: come si muoverà la Cgil dopo lo sciopero generale del 6 maggio? CONTINUA|PAGINA3 Si aprirà una fase nuova, di responsabilità verso un paese in ginocchio, e dunque di conflitto; o, al contrario, lo sciopero segnerà la fine di una stagione che ha visto il maggior sindacato come unica solida sponda contro il pensiero unico, oggi pronto a ripartire all’inseguimento di un sogno concertativo con Cisl, Uil e padronato?
La riuscita della protesta è andata oltre le aspettive, e forse addirittura oltre l’investimento dell’organizzazione, sostiene malignamente chi più ci aveva puntato: la maggioranza dei lavoratori dipendenti ha incrociato le braccia e le oltre cento piazze in cui si è manifestato si sono riempite di operai, impiegati, tecnici, ricercatori, insegnanti, ma anche studenti, tantissimi giovani – cioè precari senza prospettive né rappresentanza sindacale. Del resto, quella politica chi ce l’ha? Nelle piazze la protesta si è naturalmente estesa dal governo, l’obiettivo scelto da chi ha promosso lo sciopero, alla Confindustria. E l’organizzazione padronale non ha neanche aspettato 24 ore a dar ragione, da Bergamo, ai suoi detrattori. Sarà sempre più difficile, con la linea scelta da Emma Marcegaglia, sostenere l’obiettivo del blocco sociale antiberlusconiano che dovrebbe mettere sulla stessa barca gli operai e i loro padroni, in nome di uno sviluppo deciso solo da chi sta al timone della barca e che, come dimostra Marchionne, non è disposto a rispettare neanche le regole del mare. Fuor di metafora, non tollera alcuna regola che non si fondi sulla sacralità del profitto e della rendita, in un mercato globale darwiniano senza vincoli sociali e ambientali. Vogliamo dimenticare gli applausi confindustriali di Bergamo al capo della ThyssenKrupp?
Ieri si è tenuto il Comitato centrale della Fiom, la categoria Cgil più esposta agli strali di Marchionne e dell’intero padronato che, come sempre, si aspetta dalla Fiat il là per ribaltare i rapporti di forza. Sogna la vendetta di classe ed è impegnato a costruirla, con l’aiuto del governo, dividendo i sindacati e arruolando i più disponibili con la complicità dell’opposizione parlamentare. La Cgil vive la Fiom come una risorsa o come un problema? Il rapporto tra Corso d’Italia e i suoi metalmeccanici è sempre stato vivace e talvolta si ha l’impressione, dall’esterno, che ci sia qualcuno alla ricerca del regolamento dei conti. Il fatto che intorno alla generosa lotta della Fiom in difesa del contratto nazionale e dei diritti individuali e collettivi sia cresciuta la solidarietà di chi, nel movimento degli studenti, dei precari, nell’associazionismo legato alla tutela del territorio e dei beni comuni, si batte contro il modello sociale dominante, può addirittura produrre richiami all’ordine. Come se la Cgil fosse un partito terzinternazionalista e non una casa comune, libera, aperta ai nuovi fermenti sociali.
Oggi si riunisce il direttivo nazionale della Cgil, le diverse linee si confronteranno e, sperabilmente, troveranno un punto di unità. Che difficilmente segnerà una svolta definitiva in un senso o nell’altro. Certo non potrà essere contraddetto il principio di una ragionevole autonomia delle categorie rispetto alla confederazione, così come esiste l’autonomia reciproca tra le Rsu e l’organizzazione sindacale, come ieri ha ribadito Maurizio Landini in relazione alle polemiche esplose dopo le decisione dei delegati Bertone di votare sì a un referendum di cui pure non riconoscono la legittimità. E al tempo stesso, di chiedere alla Fiom di non cambiare il suo orientamento e dunque di non votare il testo-truffa imposto da Marchionne. Questa dicotomia si spiega – oltre che con l’autonomia delle Rsu – con il fatto che la vittoria del no avrebbe consentito alla Fiat di riconsegnare l’azienda al procedimento fallimentare.
Dentro la Cgil non è in atto un conflitto tra due monoliti ma un confronto aperto, con posizioni articolate delle varie categorie dell’industria, dei servizi, della conoscenza e dei pensionati e delle camere del lavoro. Esistono poi una maggioranza che fa capo alla segreteria nazionale e una minoranza congressuale, «la Cgil che vogliamo», che è maggioranza tra i metalmeccanici, dove del resto esiste un’articolazione uguale e contraria. È una forma di democrazia, normale e feconda, nel maggiore dei sindacati italiani, sostenuto da quasi sei milioni di iscritti e capace di mobilitare la maggioranza dei lavoratori. Un valore da proteggere, e di cui andare fieri. Chiedere alla Fiom firme tecniche in calce a (non)accordi truffa, oppure al contrario di sanzionare le Rsu che sono state spinte dalla loro condizione a prendere una decisione diversa, è legittimo naturalmente, ma non fa fare passi avanti sul terreno della democrazia. Piuttosto che di critiche, il gruppo dirigente della Fiom avrebbe bisogno di solidarietà – quella dei lavoratori, degli studenti e dei precari ce l’ha già: la battaglia in difesa dei diritti, dei contratti e della democrazia meriterebbe di diventare una battaglia generale.
La discussione che si apre oggi nel gruppo dirigente della Cgil è incoraggiata dall’esito positivo dello sciopero. È un confronto a cui in molti dovrebbero prestare attenzione.

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Bufera Bertone, Landini esce indenne
Comitato centrale favorevole al segretario Fiom: la sua linea continua a piacere a 7 su 10. «Proseguire la lotta dentro Fiat» Le aree di Durante e Cremaschi perdono pezzi. I «moderati» crollano dal 27% del Congresso al 19%

 

ROMA
Comitato centrale molto teso, ieri alla Fiom, dopo la vittoria del sì al referendum ex Bertone. Ma al di là delle aspettative la linea della maggioranza guidata da Maurizio Landini esce confermata. Anche più chiara e compatta, in qualche modo. Lo dicono i numeri: ieri, al momento del voto, Landini ha ottenuto il 70,6% dei consensi (106 sì), contro poco più del 72% ottenuto al Congresso del 2010. Ma ai tempi del Congresso, dentro la maggioranza Fiom erano anche inclusi i “cremaschiani” (più radicali), mentre aveva votato contro un 27% riferibile ai “moderati” di Fausto Durante e ad altri casi isolati. Ieri invece i cremaschiani si sono astenuti, ma non tutti: l’area radical ha perso pezzi a favore della maggioranza e si è ridotta a 15 astenuti; ma perde consensi anche Durante: dai 44 «no» del Congresso, ieri è sceso a soli 29 (e al 19%). Insomma, 7 su 10 restano con Landini, nonostante le varie defezioni incrociate.
Il dibattito si è giocato tutto sul rapporto tra le Rsu e i dirigenti nazionali del sindacato: se queste ultime possano restare rappresentative della “linea” scelta per tutti i metalmeccanici italiani anche quando, magari per le pressioni reali che ricevono sul territorio, siano costrette a sconfessarla. Gli interventi dei sostenitori di Landini hanno ribadito che non c’è mai stato contrasto con le Rsu ex Bertone, e che anzi la scelta di dare indicazione per il sì, le successive dimissioni e la conferma di dire no alla Fiat sul piano nazionale sono frutto di una strategia studiata a tavolino, per quanto pressati dai fatti, dalla segreteria Fiom insieme ai delegati e ai lavoratori.
Su una presunta «frattura» tra i principi nazionali Fiom e l’azione dei delegati hanno invece giocato sia i radicali che i moderati: per i “cremaschiani” non si doveva permettere a un territorio di sconfessare i principi portati avanti dal sindacato, mentre per i «durantiani» le Rsu hanno fatto benissimo a votare sì ed è arrivato il momento che anche la Fiom nazionale si “evolva” e si apra a un atteggiamento più conciliativo e meno conflittuale.
Il risultato, per entrambe le aree, è stato quello di non dire sì alla verifica chiesta da Landini, ma con due declinazioni differenti: i “cremaschiani”, astenendosi, fanno capire che vogliono continuare ad avere Landini alla guida della Fiom, seppure dopo quello che ritengono un «errore di strategia» in Bertone. Durante vota no perché già votò no al Congresso: la guida di Landini e i principi espressi dalla sua linea non sono quelli che piacciono al suo gruppo, e ne vorrebbe diversi.
«Il voto conferma e rafforza tutta la linea della Fiom – ha commentato Landini – Ora andiamo avanti nella lotta in Fiat, aspettiamo l’esito delle cause in tribunale e non escludiamo un ricordo per la questione Bertone». Nel suo intervento, prima del voto, era stato chiaro: «La decisione delle Rsu di firmare e poi dimettersi è stata presa insieme. Me ne assumo ogni responsabilità perché non mette in discussione nulla della linea decisa dal comitato centrale. Le Rsu, però mai in nessun luogo possono sostituire la Fiom nazionale. Non esistono firme a titolo personale. Se un componente Rsu firma, firma per quella Rsu, ma non può rappresentare la struttura nazionale Fiom. Io non cambio idea: queste sono le condizioni e chiedo il voto perché non ho nessuna intenzione nè di firmare e dimettermi nè di dimettermi».
Sì, perché prima dell’esito della verifica, i giornalisti non avevano fatto altro che chiedere, a chiunque uscisse dalla sala del comitato, se il voto fosse una sorta di referendum per la permanenza o meno di Landini alla guida della Fiom. Sergio Bellavita, esponente dell’area Cremaschi, così aveva sottolineato: «Nessuno chiede le dimissioni di Landini: ha la mia fiducia e continua ad averla, ma penso che sulla ex Bertone abbiamo toppato. Le Rsu non hanno titolarità a firmare intese che cancellino il contratto nazionale». «Avevamo chiesto che l’accordo su ex Bertone venisse trattato come quelli di Pomigliano e Mirafiori, impegnandoci a contrattarlo, a renderlo inapplicabile e a portare la Fiat in tribunale».
Prima del voto, Bellavita era stato esplicito: «Se le conclusioni di Landini sono come l’apertura il comitato non si può concludere unitariamente», ammoniva, ricordando come l’intervento del leader Fiom fosse stato «a titolo personale, perché non c’è stato un accordo in segreteria e le parole del segretario dunque rischiano di chiudere più che di aprire una discussione».
Per Fausto Durante, «la maggioranza Fiom ora è più debole, perché il 30% non ha votato con Landini» rispetto al 27% del Congresso. «Alla ex Bertone – continua – si è deciso per una “firma tecnica” che si può usare anche a Melfi. Noi speriamo in soluzioni analoghe a Pomigliano e Mirafiori: Fiat tolga però dal tavolo la clausola di responsabilità e le norme sulla malattia». Sulla stessa linea il segretario Cgil Vincenzo Scudiere, che plaude al sì dei delegati ex Bertone e spiega alla Fiom che «si deve anche far tesoro degli errori».
Su Melfi replica Emanuele De Nicola (Fiom Basilicata): «Il 12 faremo una riunione con Landini, un esponente Cgil e i delegati: ma si sappia che il voto del comitato centrale è una conferma che non esistono “firme tecniche” e che noi a Melfi non firmiamo il taglio delle pause. La Fiom ha già ritirato la sua sigla, dopo che la Fiat ha di fatto confermato che il taglio delle pause e l’applicazione dell’ErgoUas saranno automatici a partire dal 2012. Noi non firmeremo, perché come abbiamo fatto nei 21 giorni del 2004, abbiamo chiesto un voto all’assemblea degli operai e loro hanno optato per un no». I DIPENDENTI delle Presse di Mirafiori per i quali ieri è stata confermata la cassa integrazione straordinaria per un anno (a partire dal 16 maggio). Giovedì le parti sono state convocate in Regione per sottoscrivere la richiesta al governo.

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