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La Camusso ha già firmato

Michele Di Rocco

ROMA

Il Direttivo nazionale della Cgil stava ancora discutendo sulla base della relazione presentata dal segretario generale, Susanna Camusso, quando una nota del Lingotto ha fatto squillare la campanella: «La Fiat auspica che le trattative in corso tra Confindustria e sindacati possano portare ad un accordo che, garantendo un sistema di relazioni industriali più coerente con le esigenze della competizione mondiale, assicuri la piena operatività delle intese già raggiunte per gli stabilimenti di Pomigliano d’Arco, Mirafiori e Grugliasco».

La traduzione è semplice: sbrigatevi, vertice della Cgil, a firmare l’«avviso comune» che Confindustria, Cisl e Uil vi hanno proposto, così siamo certi che gli accordi capestro fin qui fatti ingoiare ai lavoratori sotto ricatto non possano essere annullati da una sentenza del tribunale di Torino; quella sul ricorso presentato dalla Fiom contro il «modello Pomigliano», a cominciare dalla truffa della newco. Una scortesia, a prima vista, Ma anche un modo di chiarire la posta politica in gioco: quell’«avviso» serve a far fuori i metalmeccanici della Cgil, ovvero la Fiom, dalle fabbriche.

Possibile che la Cgil si presti a questo gioco? Giudicate voi. Ieri pomeriggio la Camusso ha fatto una relazione in cui i contenuti dell’«avviso» sono rimasti ampiamente secretati. Una procedura che non ha precedenti, nella Cgil. In pratica ha chiesto un «mandato a chiudere la discussione e firmare l’accordo», non a proseguire una trattativa. Tutto sulla fiducia. Un’organizzazione di 5,7 milioni di iscritti costretta a dire sì oppure a mettere in discussione il segretario e gli equilibri interni. Scegliete voi l’analogia migliore, ma il «metodo» sembra clonato dai vertici del Lingotto.

La platea di dirigenti non aveva del resto bisogno di grandi informazioni supplementari per capire quale piatto era stato cucinato nelle stanze di via dell’Astronomia, venerdì scorso. Sono intervenuti gli oppositori noti – i membri dell’area «La Cgil che vogliamo» e naturalmente il segretario generale della Fiom, Maurizio Landini – per pronunciare il proprio secco «no» a un metodo, prima ancora che ad un contenuto «segreto». Così come hanno parlato, a favore, i fedelissimi del segretario. Hanno taciuto molti dei non schierati o dei critici, vuoi perché sorpresi dalla disinvoltura procedurale, oppure perché convinti che comunque possano sopravvivere spazi perché un simile «accordo» non abbia tutti gli effetti letali per cui è stato elaborato.

Difficile pensarlo davvero. Sacconi ha minacciato – o promesso, difficile dire – di riprendere immediatamente le linee generali dell’«avviso» per farne una legge che più bavaglio non si può.

Quel poco di «merito» che è trapelato non lascia dubbi. Sull’«esigibilità» dei contratti, dopo ogni firma, ci sarebbe «una tregua sugli scioperi proclamata dalle organizzazioni sindacali firmatarie», comprese ovviamente le «sanzioni» per coloro che «non rispettano tale tregua». Come aveva preteso Fiat per Pomigliano, Mirafiori e Grugliasco. Non è chiaro se le «sanzioni» siano previste solo per i sindacati oppure anche per i singoli lavoratori (sarebbe violata la Costituzione).

Tombale invece il punto sulla «validazione dei contratti» e sulla «rappresentanza sindacale» a livello aziendale. L’unica cosa certa è che – laddove sono presenti le Rsu (vedi riquadro sotto) – basterà il 50% più uno dei delegati per dare l’ok, senza consultare i lavoratori. Dove ci sono le Rsa, invece, in caso di dissenso voteranno i lavoratori. Cgil, Cisl e Uil si impegnano a trovare un «accordo interconfederale» per definire meglio le regole in materia. Ma alla Fiom non basterà nemmeno avere il 99% dei consensi in un’azienda per poter gestire in pace i rapporti con l’impresa. Basterà infatti anche un solo iscritto a Cisl o Uil perché questi possa rifiutare la Rsu e promuovere l’Rsa. Un modo per far «entrare» di forza i «complici» (li ha chiamati così Sacconi, ricordiamo sempre) anche nelle relazioni aziendali di stabilimenti in cui non hanno i numeri per contare un tubo. O meglio: per togliere qualunque strumento di contrasto «legale» a chi è contrario a un accordo negativo.

 

Tommaso De Berlanga

Ma – nel merito – di cosa hanno discusso Cgil, Cisl e Uil con Confindustria? I temi sul tappeto sono stati nominati parecchie volte, ma sempre con formule abbastanza fumose da nascondere il contenuto. Vediamole quindi una per una.

«Avviso comune»

Indica semplicemente un accordo tra «parti sociali» (imprese e sindacati)su alcuni princìpi di regolazione di qualsiasi materia sindacale. Nel caso specifico, ma non per quanto riguarda le regole della rappresentanza, il ministro Maurizio Sacconi si è dichiarato pronto a recepire ì’eventuale «avviso comune» in una legge per rendere cogenti norme altrimenti esposte a una certa variabilità nei fatti.

Esigibilità dei contratti

E’ la formula più criptica. In realtà tutti i contratti sono già esigibili (da entrambe le parti) una volta che siano stati firmati. Accade però che le aziende, specie manifatturiere, nella quotidianità vadano oltre i termini contrattuali (aumento dei ritmi, velocità della catena, straordinari comandati in supero, turni, ecc) e anche oltre i limiti della fatica individuale. La stragrande maggioranza degli scioperi sono fermate di autodifesa contro il sovraccarico di lavoro. Sulle orme di Marchionne e del “modello Pomigliano” le imprese vogliono vietare proprio questi scioperi, che contrastano con l’ansia di intensificare a tutti i costi la produzione.

Rappresentanza sindacale

Con gli accordi del ’93 venne in qualche misura disciplinata la presenza delle Rsu (rappresentanze sindacali unitarie), elette a scrutinio segreto dai lavoratori, ma con il 33% di delegati assegnato preliminarmente a Cgil, Cisl e Uil, individuati come «sindacati maggiormente rappresentativi» in quanto «firmatari di contratti» (in realtà, anche altri sindacati sottoscrivonocontratti a vari livelli). Quell’accordo è stato disdettato pochi giorni fa dalla Uil. Quindi bisognerebbe ora scegliere tra allargamento del diritto di eleggere con proporzionale puro oppure tornare al regime delle Rsa (rappresentanze sindacali aziendali), i cui i delegati vengono «nominati» dai sindacati, non scelti dai lavoratori. Un po’ come i parlamentari con questa «porcata» di legge elettorale. È evidente, infatti, che questo tipo di delegati ricevono una legittimità «dall’alto» e quindi obbediscono a questi input, non a quelli dei compagni di lavoro. Diventano insomma dei «privilegiati» con un certo potere e qualche giorno di presenza in meno sul lavoro. Il modello delle Rsa, di fatto, espropria ogni lavoratore del diritto di pronunciarsi su accordi che decidono delle sue condizioni di lavoro, salariali, disciplinari, ecc.

«Deroghe contrattuali»

Sono state chieste da Confindustria per «flessibilizzare» la cogenza dei contratti (l’«esigibilità» da parte dei lavoratori, insomma) a seconda delle esigenze di ogni impresa. Una scorciatoia che porta in breve ai…

Contratti aziendali «sostitutivi» dei nazionali

In pratica ogni azienda fa come preferisce. Può chiedere l’applicazione di un accordo aziendale in luogo di quello nazionale. Bisogna sapere che oltre il 90% delle imprese italiane è così piccola da non avere un contratto aziendale, e quasi sempre neppure la presenza ufficiale di un sindacato. E infatti il livello «nazionale» della contrattazione serve a unificare le condizioni di lavoro e salariali là dove altrimenti varrebbe solo la legge della jungla. Che è poi l’obiettivo non dichiarato di questa tornata di «trattative».

 

da “il manifesto” del 28 giugno 2011

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