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I diritti dei lavoratori nell’epoca del governo Monti

La lettera della Bce, i contenuti delle manovre estive di Giulio Tremonti, della lettera dell’Italia alle istituzioni europee e del pacchetto sviluppo sono parte integrante del programma del nuovo governo. Questo è almeno quanto è emerso ieri al primo appuntamento parlamentare da presidente del Consiglio, la fiducia al Senato, ottenuta con 281 sì e appena 25 no.
Sulle pensioni, Monti ha dovuto riconoscere che “il sistema previdenziale italiano è tra i più sostenibili in Europa e tra i più capaci ad assorbire eventuali shock”, anche grazie agli aumenti dell’età della vecchiaia, decisi dal precedente esecutivo, che sono – ha spiegato – più rigorosi di quelli della Germania e delle Francia. Però “permangono ampie disparità di trattamento tra generazioni e categorie di lavori e aree ingiustificate di privilegio”, sulle quali il governo interverrà. Il riferimento va esplicitamente contro le pensioni calcolate ancora con il metodo retributivo. L’attuale ministro del Welfare, l’arcigna e sacconiana Elsa Fornero, vuole abolirne i residui rimasti dopo la terapia shock di Dini nel 1996, portare l’età di uscita tra i 63 e i 70 anni e applicare il più penalizzante sistema contributivo per tutti, a partire dall’entrata in vigore della riforma.
Sulla flessibilità invece Monti non nomina mai lo Statuto dei Lavoratori. Secondo il giuslavorista Pd Pietro Ichino, Monti sorvola la questione perchè “Ha eliminato elementi ansiogeni” dalla riforma del lavoro. Ma la sostanza non è tanto diversa dalle politiche di Maurizio Sacconi. «Con il consenso delle parti sociali dovranno essere riformate le istituzioni del mercato del lavoro» perché in Italia «alcuni sono eccessivamente tutelati ed altri privi di tutele e assicurazioni». Il nuovo quadro normativo «verrà applicato ai nuovi rapporti di lavoro» non a quelli in essere. Parole che fanno pensare al progetto Ichino di un contratto unico con tutele crescenti, ma solo a valere solo dai nuovi contratti. Il riferimento alle parti sociali fa invece pensare a un ritorno alla concertazione anni Novanta.
In materia fiscale, a breve termine si potrà ridurre il “peso delle imposte e dei contributi che gravano sull’attività produttiva finanziata da un aumento del prelievo sui consumi e sulla proprietà”. In sostanza, ci saranno aumenti dell’Iva e reintroduzione dell’Ici, per defiscalizzare il lavoro. E questo si potrà fare già con l’attuazione della delega fiscale di Tremonti. Dal ragionamento sembra mancare un dettaglio fodamentale: il cuneo fiscale introdotto dal governo Prodi che doveva idurre per 2/3 il carico fiscale a danno delle imprese e di 1/3 a carico dei lavoratori, si è tradotto in una riduzione di 3/3 solo a vantaggio delle imprese e in un nulla a vantaggio dei salari dei lavoratori.

In tale contesto l’art.8 introdotto dal governo Berlusconi verrà, come si dice, superato e metabolizzato dentro l’attuazione dell’accordo del 28 giugno firmato anche dalla Cgil, oggi assai più disponibile a concertare che con il governo Berlusconi.

Di questo si discuterà oggi a Roma nell’incontro organizzato dal Forum Diritti Lavoro, sorto durante lo scontro in corso alla Fiat, che metterà a confronto sindacalisti della Usb, della Fiom e dei sindacati conflittuali insieme a giuristi ed esperti di diritto del lavoro. L’appuntamento è alle 15.30 alla sala della Provincia. Il tema è “Il diritto nella crisi e la democrazia in deroga”. L’obiettivo? Creare un fronte di resistenza contro l’attacco frontale ai diritti dei lavoratori e al diritto del lavoro che Monti ha già indicato nel suo programma di governo.

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