Il problema c’è ed è grosso come una casa, i dati diffusi dalla provincia sulla disocupazione bolognese a gli occhi felsinei, che non sono abituati a cifre simili, sono agghiaccianti.
Se analizziamo i dati sappiamo che in città e provincia il tasso di attività totale arriva al 72,7%, in aumento dello 0,1% rispetto al 2009 e invertendo così la tendenza dello scorso anno. Nonostante la crisi, il dato bolognese rimane migliore di quello regionale (71,6%) e ben al di sopra della media nazionale (62,2%). In particolare, cresce il tasso di attività maschile (dal 77,9% al 78,7%) mentre cala quello femminile (dal 67,4% al 66,9%).
Record storico sotto le Due torri: Bologna non è più la prima provincia italiana con il minor tasso di disoccupazione. il capoluogo emiliano scivola al terzo posto nella graduatoria nazionale, dietro a Verona e Firenze grazie al 5% di persone senza lavoro registrato nel 2010 . E a farne le spese sono,come al solito, le donne, sempre più espulse dall’attività lavorativa.
A piangere è in generale l’Emilia-Romagna, che nel 2010 ha perso un’altra posizione nella graduatoria nazionale del tasso di disoccupazione (ora è quarta). Rispetto al 2009, il numero di persone senza lavoro è salito dal 4,8% al 5,7% (in Italia la media è all’8,4%, nei Paesi della Ue al 9,6%).
la giunta di Vasco Errani ha stanziato 60 milioni per lo sviluppo e l´occupazione giovanile, di cui almeno 20 milioni saranno destinati alla stabilizzazione di una parte dei precari che lavorano nelle aziende emiliano romagnole. Soldi che dovrebbero portare a 3-4mila contratti d´assunzione da distribuire tra le diverse province della regione (mille solo a Bologna).
Il settore dei servizi, nonostante il calo di 3.000 occupati rispetto al 2009, rappresenta la fonte di lavoro principale a Bologna: 297.000 persone, ovvero il 67,2% dell’occupazione provinciale, di cui il 72% dipendenti. Nel settore dell’industria lavora il 29,4% degli occupati bolognesi (130.000 persone, 6.000 in meno rispetto al 2009), mentre l’agricoltura dà lavoro al 3,2% degli addetti, al 78% autonomi.
Autonomi che almeno a Bologna non significa, a quanto sembra, sinonimo di sicurezza lavorativa e contributiva ma anzi pur essendo competenti, qualificati, motivati, sottopagati e soli, prendono – quando va bene – 1000 euro al mese, non hanno diritto alle ferie pagate, alla malattia, né tanto meno alla maternità in pratica sono dipendenti come gli altri, e come gli altri si avviano sulla strada del meno diritti per tutti.
Oggi la partita Iva dilaga in tutti i campi: dall´architettura, all´ingegneria, passando per l´editoria, l´archeologia e gli studi legali.
Bologna, con la sua Università-laurificio, sta diventando una vera e propria capitale di questa nuova forma di precariato.
Le aziende ingrassano pagano meno tasse e non hanno vincoli: nei loro confronti possono interrompere la collaborazione in qualsiasi momento con buona pace dell’articolo 18. La deregulation è totale: non esiste tariffa minima, non esistono tutele, non esistono diritti da accampare, lavorare zitti e chini.
Queste figure professionali di lavoratori sono praticamente fantasmi per i sindacati che non riescono ad intercettarli data la loro forma carsica e scollegata di lavoro.
Ad esempio l’associazione più grande delle finte partite I.V.A è quella degli archeologi che vorrebbero avere un loro ordine professionale, che a nostro avviso non risolverebbe la questione visto che neo-ingegneri, architetti , che l´ordine ce l´hanno, non stanno meglio di sicuro.
Per gli avvocati va ancora peggio, perché la legge professionale forense del 1933 gli vieta di sottoscrivere contratti di lavoro dipendente: per loro la partita Iva è obbligatoria, anche se non è più vera delle altre. A Roma o Milano ci sono grandi studi internazionali, dov´è possibile far carriera e diventare soci. A Bologna invece gli studi associati sono pochissimi. E nel frattempo ci si rassegna a fatture che arrivano anche a 500 euro lordi al mese. Una situazione che rischia di peggiorare da gennaio, quando entrerà in vigore il nuovo sistema dei minimi previsto dalla finanziaria e molti finti autonomi saranno costretti a dire addio al regime agevolato.
Come intende l’amministrazione del Sindaco Merola,insieme alle forze industriali e sociali della città,risolvere la questione disoccupazione non è dato ancora sapere, visto che si sono pronuciati solo il consiglio direttivo di Unidustria Bologna che ha elaborato un documento che verrà sottoposto ora ai sindacati in cui le imprese fanno” giurin giuretta “di ridurre il ricorso alla precarietà a fronte di una maggiore competitività(ci crediamo?).
Il Presidente della Regione Vasco Errani ha affrontato il tema nei giorni scorsi con il sindaco Virginio Merola. Del fondo anti-precarietà si discuterà anche al tavolo del piano strategico metropolitano, dove gli imprenditori chiedono a Palazzo d´Accursio di capire l´ammontare dei finanziamenti che verranno dirottati sulla città. Perché oltre al tema dei disoccupati, l´altro aspetto del problema è che tra le nuove assunzioni il peso dei contratti a scadenza è cresciuto in modo esponenziale.
Ma dalla Giunta al momento su fronte delle proposte zero assoluto, certo il personaggio non ha sicuramente la stoffa di Zanardi (il sindaco socialista ricordato come “il sindaco del pane” nel dopo guerra della prima guerra mondiale) ma qualcosa dovra proporre, non vorremo che passasse alla storia come il “sindaco dei taralucci e vino”, sopratutto vino.
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