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Fiat, un attacco a tutti i lavoratori del paese

Impressionante non tanto “il silenzio della politica”, che invece parla, come sempre, un po’ di tutto quel che passa per le prime pagine. Ma la “minimizzazione” che i partiti fanno di una cosa del genere. Esattamente come avevano fatto un anno e mezzo fa per Pomigliano, quando dicevano “è solo un’eccezione irripetibile, quella è una fabbrica ingovernabile e piena di assenteisti o camorristi”. Tra i peggiori, gli esponenti del Pd.

 

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«Questa decisione riguarda tutti»
Francesco Piccioni

«Subito assemblee in sciopero; pronti al referendum sull’art. 8 del decreto Sacconi»
ROMA
«Se un grande gruppo industriale, con il consenso di alcuni sindacati e del governo precedente, può farsi da solo un regolamento al posto del contratto nazionale, è difficile impedire che altre imprese possano decidere di fare altrettanto». La questione posta da Fiat con la disdetta di tutti i contratti e di tutti gli accordi («fin dal 1971», addirittura) è dunque di ordine politico, oltre che sindacale, perché investe alla radice le relazioni industriali in Italia. Non solo degli 82.000 sfortunati dipendenti del Lingotto, e nemmeno soltanto i circa due milioni di metalmeccanici, ma proprio tutti quelli che hanno un lavoro (con qualsiasi contratto) o lo avranno in futuro.
La sala della Fiom non ce la fa a contenere tutte le troupe e i giornalisti piovuti qui per sapere come risponderà il sindacato maggioritario dei metalmeccanici a una mossa dichiaratamente tesa – nero su bianco, nel «contratto Pomigliano» – a lasciarlo fuori dagli stabilimenti. Maurizio Landini, segretario generale, ha la faccia serena di chi deve fare una battaglia terribile con non molti alleati dalla sua parte, ma non può fare altro ed è determinato a farlo al meglio. «Noi non siamo sorpresi. Marchionne aveva detto che l’avrebbe fatto già quando ha annunciato la sua uscita da Confindustria. E una cosa che gli va riconosciuta è che fa quello che dice, se non si tratta di investimenti in Italia».
Basta leggere la lettera inviata il giorno prima a tutti i sindacati presenti nel gruppo, in cui si invoca la necessità di un «riassetto ed una armonizzazione delle discipline contrattuali collettive aziendali e territoriali che si sono succedute nel tempo». per Pomigliano avevano chiesto «un’eccezione». Ora l’eccezione diventa la regola per tutti gli stabilimenti.
In ballo però non c’è tanto la Fiom («abbiamo 110 anni, esisteremo ancora per molto»), quanto «la libertà delle persone di scegliersi il sindacato che li deve rappresentare, per tutelarsi e contrattare sia il salario che le condizioni di lavoro». Nel «modello Pomigliano» questo è escluso: solo le organizzazioni che hanno firmato quanto la Fiat ha messo loro sotto il naso, senza modificare nemmeno una virgola, potranno nominare dall’alto i propri «delegati». Ma la libertà, dice la Costituzione, non può fermarsi davanti al cancello di una fabbrica. Qualunque sia l’imprenditore che ha le chiavi. «Se passa questa cosa, si ritorna all’800, non nel futuro». Ai padroni delle ferriere e alla giungla delle regole.
Sul piano politico, però, le reazioni alla scelta non sono state fin qui molto ficcanti. Giorgio Airaudo, responsabile del settore auto, ride amaro: «stavolta non potranno cavarsela, come con il ‘referendum’ di Pomigliano, consigliando ai lavoratori come votare; ora devono dire e fare qualcosa». L’allusione a tante «teste fini» del Pd non potrebbe essere più esplicita. «Questa è l’applicazione dell’art. 8 del decreto Sacconi, che esiste solo perché Fiat lo ha chiesto; era stata condannata dal tribunale di Torino per comportamento antisindacale e non avrebbe potuto fare quello che oggi ha fatto». I «politici» – il governo – aboliranno o no l’art. 8? La Fiom, fin da subito, è pronta a raccogliere le firme per un referendum abrogativo.
Con il nuovo governo non c’è stato ancora nessun contatto. Oggi – al tavolo per Termini Imerese, stabilimento Fiat chiuso da oggi – potrebbe esserci un primo faccia a faccia su un punto specifico. Fiat e Finmeccanica sono due capitoli dolorosi non solo per i lavoratori, ma anche per la capacità del paese di mantenere produzioni strategiche. «Noi abbiamo proposto di discutere di un «piano nazionale della mobilità sostenibile’», ricorda Landini. «Abbiamo letto che i ministri vogliono girare solo su macchine italiane. Bene. Ricordiamo loro che possono scegliere solo la Punto, dal prossimo anno la Panda, oppure la Ferrari. Perché la nuova Thema la fanno in Canada».
Ma cosa farà la Fiom per impedire che il diktat Fiat si realizzi? Un «problema di carattere generale» richiede una risposta altrettanto generale, non limitata a un’azienda o una categoria. «Abbiamo già appuntamenti fissati con la Cgil nazionale; e il 29 si riunirà il Comitato centrale della Fiom per decidere quali iniziative prendere». Prima d’allora ci saranno due ore di «assemblea in sciopero», perché in molte fabbriche Cisl e Uil si rifiutano ci convocare assemblee e quindi «si rende necessario scioperare per poterle tenere».
«Distribuiremo a tutti i lavoratori il testo del modello Pomigliano», in modo da mettere a confronto «come lavorano oggi e come dovranno farlo domani». Con un «orario totalmente a disposizione dell’azienda, riduzione delle pause, niente retribuzione in caso di malattia, senza diritto di sciopero né di votare per scegliere i propri delegati». Infine, «a gennaio faremo votare ed eleggere i nostri delegati in tutti gli stabilimenti; se Fiat non li accetterà dimostrerà un ‘comportamento antisindacale’». Va da sé che il Cc si martedì prossimo potrà implementare – e molto – queste prime reazioni.

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