Le agenzie di rating americane – Fitch e Moody’s – hanno immediatamente reagito in modo negativo, avvertendo che “manterranno sotto osservazione” tutti i debiti sovrani dell’Unione europea, non solo dei Piigs. Una minaccia che riguarda in primo luogo la Francia, ma non lascia tranquilla neanche la stessa Germania.
La decisione ha preoccupato “gli operatori” sulle piazze continentali, sollevando anche perplessità. Se la Gran Bretagna è rimasta fuori, questa l’argomentazione, vuole dire che nell’accordo “c’è ciccia”, altrimenti non avrebbe scelto l’isolamento.
Ma la reazione negativa dei mercati ha risollevato il conflitto tra la Commissione (che vorrebbe atteggiarsi a “governo europeo”) e la Germania, capofila dei “rigoristi” a prescindere.
L’accordo del summit «non è abbastanza» – ha detto il presidente della Commissione Ue Josè Barroso alla plenaria di Strasburgo – perchè il problema della zona Euro «non è solo di conti pubblici ma anche finanziario, quindi serve rilanciare crescita e occupazione». «L’accordo dei leader sull’unione di bilancio è molto buono nella sostanza, ma non nella forma», ha insistito, spiegando di aver fatto ogni sforzo per avere un trattato a 27 ma «la Gran Bretagna ha presentato delle condizioni inaccettabili e non abbiamo avuto altra scelta se non procedere con un accordo a 26».
Il presidente del Consiglio Europeo, Herman Van Rompuy, ha spiegato invece che l’Eurozona dovrà percorrere «una lunga strada per ripristinare la fiducia», una strada che sarà «più lunga di quanto ci si potesse aspettare», sostenendo che «servirà tempo per correggere gli errori fatti a Maastricht».
Anche Benoit Coeurè, il candidato francese alla sostituzione di Lorenzo Bini Smaghi nell’esecutivo Bce, è intervenuto dicendo che «I mercati non hanno capito la portata delle misure decise venerdì scorso dal vertice dei leader europei». Secondo Coeurè la Banca centrale europea ha preso una decisione «molto forte» con i rifinanziamenti a tre anni, che permetteranno alle banche di avere la liquidità necessaria. Peccato che questi ultimi non la pensino nello stesso modo….
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Non è compito della Banca Centrale Europea risolvere la crisi dei debiti sovrani. Questo ha detto il presidente della Bundesbank, Jens Weidmann, in una intervista al Frankfurter Allgemeine, sottolineando che questa responsabilità spetta ai governi. L’accordo, messo a punto all’ultimo vertice Ue, rappresenta un «progresso», ma «il finanziamento dei debiti sovrani da parte della Banca centrale è proibito dai trattati» europei, ha spiegato Weidmann. Come si vede da queste dichiarazioni l’ipocrisia regna sovrana. La BCE infatti oggi acquista sul mercato secondario i titoli di stato, cosa anche questa che sarebbe proibita dai trattati. Noi ci chiediamo allora, perchè non farlo sul mercato primario bloccando la speculazione alla fonte? Caro signor Weidman, dica le cose come stanno e non si nasconda dietro ad una foglia di fico, alle banche che rappresenta la speculazione serve per fare profitto.
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Nuovo record per i depositi presso la Bce
Sono quasi 335 i miliardi di euro che le banche dell’Eurosistema hanno “parcheggiato” venerdì presso i forzieri della Bce per una notte. Si tratta di un record, certo (il precedente massimo, poco meno di 333 miliardi, era di un anno fa), che suona come un paradosso vista la sete delle banche di questi tempi e i crescenti timori di “credit crunch”. Ma dietro all’enorme ammontare di fondi che restano lì pressoché inutilizzati non si nasconde soltanto la sfiducia che aleggia sul sistema finanziario: esistono anche ragioni tecniche che non si possono ignorare.
Il quantitativo lasciato in deposito presso la Bce è infatti legato a doppio filo al ciclo delle riserve obbligatorie che le banche devono lasciare presso le banche centrali nazionali: parte da un livello relativamente basso e cresce giorno dopo giorno fino a raggiungere il massimo un giorno prima del termine del periodo di riserva (che questo mese si chiude proprio oggi). Ci sarà quindi da attendersi un brusco calo dei depositi “overnight” a partire dai dati relativi alla giornata di ieri (pubblicati questa mattina).
La Bce è ovviamente ben cosciente della questione. Prova ne sia che giovedì scorso, fra i vari provvedimenti adottati, ne ha inclusi alcuni che cercano proprio di risolvere il problema del denaro lasciato inerte presso la cosiddetta “deposit facility”. Oltre a ridurre il tasso a cui questo sarà remunerato (0,25%, ovvero 75 punti base in meno rispetto al costo del denaro ufficiale), Francoforte ha dimezzato (a partire da gennaio) dal 2% all’1% il coefficiente di riserva obbligatorio per le banche. Una mossa che, secondo gli analisti, potrà ridurre il quantitativo di fondi che gli istituti di credito stessi mantengono a scopo precauzionale e liberare denaro da rimettere in circolo per finanziare l’economia.
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Una giornataccia per tutte le borse e in particolare per Piazzaffari con il Mib che ha chiuso con un ribasso del 3,79 %, la peggiore performance europea, spinto all’ingiù dai titoli bancari. Sull’andamento delle borse hanno pesato notizie non buone provenienti dall’economia reale, ma anche l’annuncio di Moody’s che ha bocciato come deludenti le conclusioni del vertice europeo di Bruxelles della settimana scorsa e annunciato la revisione dei rating dei Paesi europei nel primo trimestre dell’anno prossimo. Per l’agenzia il vertice è stato incapace di prendere «decisioni politiche decisive» per superare la crisi. «L’assenza di misure per stabilizzare i mercati nel breve termine significa che l’area euro rimane esposta a nuovi shock». In serata si è aggiunto il giudizio negativo di Fitch secondo la quale nonostante alcuni elementi positivi, il vertice europeo «ha fatto poco per alleggerire la pressione sul debito sovrano dell’Eurozona» e una «soluzione complessiva» della crisi non è in vista.
Partiamo dalle notizie non proprio positive provenienti dall’economia reale. La prima è stata diffusa dall’Ocse: a ottobre il superindice ha registrato l’ottavo calo mensile consecutivo attestandosi a 100,1 da quota 100,4 di settembre. Usa, Canada e Cina proseguono nel trend di discesa, evidenziando però un rallentamento frazionale rispetto al mese precedente. Ben diverso è l’andamento dell’area euro (-0,7% mese su mese e -5,1% anno su anno). AncheRegno unito, India e Brasile accusano una flessione più sostenuta. Nello specifico, per quanto riguarda l’Eurozona, la Germania registra un -1,1% su base mensile e un -6,6% su base annua a 98,28 punti, l’Italia un -0,6% mensile e un -7% annuo a 96,55 punti. In contrazione dello 0,7% mensile e del 4,9% annuo anche la Francia. Su base congiunturale e tendenziale la peggiore performance è quella indiana rispettivamente con un -0,9% e un -8,7% a 93,1 punti. A proposito di India, in ottobre la produzione industriale è scesa del 5,1% su base annua, la prima flessione dopo oltre due anni. A titolo di confronto, basti dire che a ottobre dello scorso anno, la produzione industriale era aumentato dell’11,3%.
Tornando all’Ocse, l’Istituto parigini ha anche fatto sapere che l’Italia è uno dei paesi industrializzati con la maggiore disuguaglianza dei redditi, anche perché il divario tra ricchi e poveri è andato ampliandosi negli ultimi decenni. Scrive l’Ocse: la disuguaglianza è «aumentata drasticamente nei primi anni Novanta e da allora è rimasta a un livello elevato, nonostante un leggero calo verso la fine del primo decennio degli anni Duemila». In generale a fronte di aumento medio dei redditi tra il 1985 e la fine degli anni duemila dello 0,8% (media Ocse 1,7%), il 10% più povero della popolazione ha segnato un incremento limitato allo 0,2% (Ocse 2,3%), contro l’incremento dell’1,1% del 10% più ricco (Ocse +1,9%). Nel 2008, il reddito medio del 10% più ricco degli italiani era di 49.300 euro, dieci volte superiore al reddito medio del 10% più povero (4.877 euro), con un aumento della disuguaglianza rispetto al rapporto di 8 a 1 di metà degli anni 90. La proporzione di reddito detenuta dallo 0,1% della popolazione è aumentata dall’1,8% al 2,6% nel 2004. Allo stesso tempo, le aliquote marginali d’imposta sui redditi più alti si sono quasi dimezzate passando dal 72% nel 1981 al 43% nel 2010.
Ieri in Italia, dopo il «Btp day» di alcuni giorni fa, c’è stato il «Bot day», l’iniziativa promossa dall’Abi, insieme ad Aiaf, Assiom Forex e Assosim per agevolare i cittadini a investire in titoli di stato italiani, senza pagare la commissione dello 0,3%. La tensione sui titoli di Stato italiani si è leggermente allentata, almeno sul fronte della domanda: il Tesoro ha collocato tutti i sette miliardi di Bot a 12 mesi messi all’asta (rispetto a una domanda di 13,472 miliardi) con un rendimento in calo al 5,952% rispetto al tasso record del 6,087% registrato nell’ultima asta del mese scorso. Il rendimento, tuttavia, resta a livelli di guardia. L’11 ottobre la stessa asta Bot con 7 miliardi di titoli in offerta, aveva registrato una domanda per 13 miliardi, ma il tasso pagato si era fermato al 3,57%. E per questo continua a salire lo spread tra Btp e Bund 1: il differenziale di rendimento tra Italia e Germania sulla scadenza decennale è salito sui massimi di giornata toccando i 468 centesimi, in aumento di quasi 50 punti base rispetto a venerdì. In rialzo il rendimento sulla scadenza decennale, che oscilla intorno al 6,7%, mentre i titoli a due anni sono tornati sopra il 6%.
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