“Cercasi personale, tecnico e non, per allestimento concerti e spettacoli in Friuli – Venezia – Giulia e in Veneto, per questo preferibilmente automuniti. Lavoro stagionale, continuativo o occasionale, anche prima esperienza. Richiesta motivazione e serietà”. E’ così che una azienda triestina richiede su un job center il personale avventizio necessario per allestire le strutture di un concerto. Non sappiamo se sia stato questo il modo con cui Francesco Pinna, che era indubbiamente serio e motivato, fosse stato “assunto” per costruire il palco del concerto di Jovanotti a Trieste,
Aveva 19 anni, era uno studente-lavoratore, e veniva pagato 5 euro l’ora. Francesco Pinna ieri pomeriggio ha perso la vita dopo il crollo del palco del concerto di Jovanotti nel palasport di Trieste. Insieme a lui sono rimasti coinvolti una ventina di operai e tecnici, una dozzina dei quali sono rimasti feriti in modo più o meno grave. Una vicenda che ripropone, una volta di più, il problema degli incidenti sul lavoro e sulla precarietà del lavoro anche nella brillante vetrina dell’industria degli eventi che ormai ovunque sta in piedi grazie al lavoro di giovani precari con stipendi molto bassi.
L’industria degli eventi è diventata un business crescente: festival del cinema, del teatro, della lettura, concerti o meglio ancora concertoni, serate benefit da mandare in diretta televisiva ma anche sagre. Tutte manifestazioni funzionali alla società di massa che dentro hanno una maledizione: la fretta. Vanno allestiti, consumati e smontati rapidamente, il più rapidamente possibile e spesso la coreagrafia deve stupire, sorprendere il consumatore di eventi. Le strutture dei grandi eventi infatti vanno montate e smontate rapidamente, sia perchè la location spesso è una piazza pubblica e prestigiosa di un centro storico sia perchè i concerti negli stadi di contendono lo spazio e il tempo con le partire e gli eventi sportivi.
Un evento è una struttura complessa in cui si mescolano professionalità tecniche e manualità. Molto raramente le società di service dispongono di attrezzature costose e sofisticate. Molto più spesso i “manovali” montano la struttura – appunto – manualmente e incalzati dal fatto che occorre fare presto, molto presto sia per montarla che – quando l’evento è finito – smontarla. Quando gli artisti sono ormai diretti in pizzeria, al pub o in hotel per celebrare la serata e il pubblico ha gettato l’ultima bottiglia di birra, i manovali cominciano a smontare dopo aver atteso che l’amplificazione e i macchinari siano stati ben stipati dentro i Tir in modo che non sbattano e si rompano durante il viaggio. Sistemare un service è una operazione complessa e di straordinaria fatica. Smontare una impalcatura nella notte lo è altrettanto, soprattutto quando l’attenzione e l’adrenalina cominciano a stemperarsi dopo una lunga, lunghissima giornata di lavoro già fatto.
Oggi su uno dei pochissimi giornali in edicola un buon articolo su quanto avvenuto al concerto di Trieste conteneva però una forzatura ideologica che lo ha completamente depotenziato. Secondo l’autore – Filippo Ciccarelli su il Manifesto – il processo lavorativo sopra descritto viene definito come esempio di “postfordismo”, una categoria che le suggestioni negriane appicciccano un po’ ovunque e spesso a sproposito. Nulla di più lontano dalla realtà, anche perché sempre ieri e sempre a Trieste tre operai sono rimasti feriti in un infortunio al Molo Bersaglieri, in un cantiere allestito davanti alla Stazione marittima. Un cantiere, appunto.
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