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Mirafiori. Il primo sciopero “dopo Cristo”

 

Francesco Piccioni

Il primo sciopero «dopo Cristo». Alla Fiat e per giunta a Mirafiori. E addirittura spontaneo, per di più per il motivo più antico del mondo: troppa fatica, ritmi eccessivamenrte alti, pochi riposi. E qualche «capo» che rompe più del sopportabile. Robe per cui scioperavano anche gli schiavi addetti alla costruzione delle Piramidi, per dire della «modernità» marchionnesca…
Ieri mattina, al dunque, si sono fermate le ex Meccaniche di Mirafiori. All’improvviso, su richiesta dei lavoratori stessi. La Fiom l’ha ovviamente proclamato per dare copertura sindacale e sostenuto con i pochi mezzi di cui oggi, dentro lo stabilimento, dispone. Ma non è stata un’agitazione rientrante nel «pacchetto» di iniziative decise dalla Cgil in vista di un possibile sciopero generale sulla «riforma» del mercato del lavoro. È partito da solo, per motivi «interni».
Da tempo crescevano le tensioni legate ai carichi di lavoro sempre più intensi; nonché per l’aperta prepotenza di alcuni «capi», che probabilmente cercano di intensificare oltre ogni ragionevole limite la prestazione per acquisire punti (o «premi aziendali»). «Allo sciopero – spiega la Fiom – hanno aderito praticamente tutti i lavoratori del montaggio che poi sono quelli più esposti all’intensificazione della prestazione lavorativa».
Del resto, «quando si preme troppo sull’acceleratore e si pretende ciò che non si può pretendere, i lavoratori si tutelano scioperando giustamente contro l’azienda. Questo dovrebbe far riflettere, oltre che l’azienda, anche coloro che hanno condiviso un’impostazione che i lavoratori non approvano per il semplice motivo che è dannosa per la loro salute. Ovviamente condanniamo tutti quei comportamenti della gerarchia aziendale che non sono rispettosi dei lavoratori e che mirano ad ottenere consenso con metodi che lasciano più di qualche perplessità».
Autoritarismo e «spremitura», insomma; tutta qui l’innovazione introdotta con il «modello Pomigliano». E la situazione sta costringendo a riflettere persino alcuni dei sindacati «complici» che con tanto entusiasmo e supponenza avevano firmato il «sì» a quel modello. Una settimana fa la Fim Cisl ha fatto circolare tra i sui iscritti un volantino in cui si doleva del fatto che nelle elezioni per le Rsa «i lavoratori stanno fortemente esprimendo una netta preferenza per i sindacati o le associazioni di emanazione aziendale». Fismic e Assoquadri, praticamente una succursale dell’ufficio del personale Fiat.
Le «elezioni» sono state, a quanto si racconta, piuttosto discutibili. In alcuni seggi non è stato reso noto neppure il verbale; molte schede nulla e pochissimi votanti, ben oltre la platea delle simpatie storiche per la Fiom. Cisl e Uil sono quasi scomparse e ora, almeno la prima si interroga. «Forse è normale in una situazione difficile che i lavoratori aprioristicamente si dividano», non si sentano parte dell’azienda come «bene comune» (Marchionne è capace di licenziarli per aver dimenticato che è tutta privata!); e anche il sindacato dovrebbe avere «un’elaborazione propria, per non lasciare potere esclusivo al management».
È esattamente quello che è stato fatto con la firma sotto il «modello Pomigliano». A quei tempi, pressoché da soli, ci schierammo con l’«indipendenza sindacale» espressa dalla Fiom. Prevedendo, se ci è concesso ricordarlo, che ben presto la nuova realtà avrebbe preso il sopravvento: a che diavolo servono sei sigle sindacali se bisogna sempre dire «sì» all’azienda? Ne basta uno, in effetti. Quello di Marchionne. Sedotti e abbandonati.

 

da “il manifesto”

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