indicando una realtà non più nascondibile: questo modo di produzione non è in grado di dare lavoro alla massa di persone che lo chiede. E poiché sulla faccia della Terra sono ormai pochissimi i luoghi in cui le necessità della sopravvivenza non passato per l’asservimento a qualche “imprenditore”, si può ormai dire con una notevole certezza che questo sistema produce fame per molti nel mentre assicura profitti per pochi.
Vediamo i dati, dunque.
La crisi iniziata nel 2007 è ben lungi dal lasciare intravedere una conclusione. I piccoli scostamenti dei dati da un anno all’altro, dopo il gran botto del 2008-2009, stanno a indicare una sostanziale stagnazione con seri rischi di nuova precipitazione. Ne consegue che l’occupazione paga dazio. Anche nel 2012, dopo i lievi segnali di miglioramento registrati nel 2011, la recessione ha provocato un nuovo peggioramento delle condizioni del mercato del lavoro nel mondo. Il bilancio globale torna così a 28 milioni di posti di lavoro persi; la metà circa riguarda le economie avanzate, ma il numero totale dei senza lavoro è salito a 197 milioni di persone, con altre 39 ormai uscite dal mercato del lavoro e senza più speranza di trovare un impiego.
Solo nel 2012 sono stati persi altri 4 milioni di posti di lavoro, di cui un quarto nelle economie avanzate e il resto nei paesi emergenti. Per il prossimo futuro le aspettative parlano di un ulteriore inasprimento della crisi occupazionale.
L’Ilo prrevede la perdita di altri 5,1 milioni di posti nel 2013, arrivando così a un totale di 202 milioni, e di altri 3 milioni nel 2014. Ma anche se le economie torneranno a tassi positivi di crescita, l’Ilo prevede che il numero dei senza lavoro aumenterà ancora, fino a quota 210,6 milioni. La causa? Le misure di austerità, che hanno avuto effetto “pro ciclico”, aggravando la crisi in atto con un impatto negativo sui consumi dei privati e gli investimenti delle aziende.
«Indebolito dal calo aggregato della domanda – recita il rapporto Ilo – il mondo del lavoro é stato ulteriormente penalizzato dai programmi di austerità fiscale varati in molti paesi che spesso hanno comportato tagli diretti all’occupazione e agli stipendi, con un impatto diretto sul mercato occupazionale. Ben lungi dall’avere gli effetti anticiclici delle misure varate nel 2009 e 2010, le ultime politiche hanno spesso avuto effetti pro ciclici contribuendo a determinare la ricaduta dell’occupazione rilevata in questo rapporto».
In economia, le politiche che hanno effetti pro ciclici sono semplicemente sbagliate; ma a qualcuno convengono, mentre per altri sono un disastro.
Perfino l’Ilo, su questo punto, rileva una totale «incoerenza tra le politiche monetarie (accomodanti) e le politiche fiscali (restrittive) adottate in vari paesi e un approccio disorganico alla risoluzione dei problemi dei settore finanziario e del debito sovrano, specie in Europa, hanno contribuito ad aumentare l’incertezza dell’outlook globale».
Di conseguenza, le politiche nazionali sono rimaste spesso a metà del guado, seminando incertezza tra gli operatori economici, che hanno così preferito “mantenere la liquidità” e rinviare le scelte di investimento, contribuendo così a strozzare le possibilità occupazionali.
L’aumento medio dei tempi di disoccupazione sta inoltre comportando un serio problema di asimmetria tra la formazione attuale dei lavoratori rimasti senza impiego e i requisiti richiesti dai nuovi impieghi. «I nuovi lavori che diventano disponibili spesso richiedono competenze che i disoccupati non hanno. Tali asimmetrie di capacità renderanno più lenta la reazione del mercato del lavoro a ogni accelerazione delle attività nel medio termine, a meno che non vengano introdotte misure di supporto per aiutare i lavoratori ad aggiornarsi professionalmente».
Al contrario di quanto dicono ossessivamente le iene al governo – non solo in Italia – sono i giovani a venire travolti per primi da questa situazione. «I giovani restano particolarmente colpiti dalla crisi e al momento ben 73,8 milioni di giovani a livello globale sono senza occupazione e il rallentamento nelle attività economiche ne spingerà un altro mezzo milioni fra le fila dei disoccupati entro il 2014. Il tasso di disoccupazione giovanile, che nel 2012 é già salito al 12,6%, arriverà al 12,9% entro il 2017». «Al momento – spiega l’Ilo – circa il 35% di tutti i giovani disoccupati nelle economie avanzate sono senza impiego da almeno sei mesi contro il 28,5% del 2007. Di conseguenza un numero crescente di giovani ha perso la speranza e ha lasciato il mercato del lavoro».
Quersto comporta in prodursi di un bacino di popolazione tendenzialmente esplosivo: in Europa circa il 12,7% di tutti i giovani non sono più studenti ma riescono a diventare lavoratori; quasi il 2% in più rispetto a prima della crisi. «Periodi così lunghi di disoccupazione e di scoramento nelle fasi iniziali della carriera di un lavoratore possono danneggiarne le prospettive di lungo periodo perché le capacità professionali e quelle di integrazione sociale diminuiscono e non viene aggiunta l’esperienza acquisita sul lavoro». Contemporaneamente, di qualcosa devono pur vivere e si manifesta anche per questo una diffusa tendenza alle piccole e grandi illegalità di massa.
Ma i suggerimenti dell’Ilo non puntano davvero a risolvere il problema “disturbando” le imprese. Al massimo arriva a consigliare un uso più largo dell’apprendistato. Già fatto. Non sembra un gran consiglio…
Il rapporto completo dell’Ilo (in inglese):
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