Usb aderisce alla Federazione sindacale mondiale. In sala è presente e sta portando il suo saluto il presidente, il greco George Mavrikos, del Pame, protagonista della lunga serie di scioeri generali per contrastare la strategia di tagli imposti dalla Troika, e applicati prima dal “socialista” Papandreou e poi dal conservatore Samaras.
Prima di tutto, però, è stato rivolto un saluto alla memoria di Clemènt Meric, il giovanissimo compagno ucciso due giorni fa a Parigi da assassini neofascisti. E un messaggio di solidarietà piena e militante è stato indirizzato alla rivolta della popolazione turca contro il governo liberista-islamista di Tayyp Erdogan, tuttora in corso.
L’intervento di Francesco Rizzo, delegato Usb dell’Ilva di Taranto
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Iniziamo questo primo congresso di USB dopo tre anni dal congresso di fondazione del 2010 e la presenza di oltre 400 delegate e delegati provenienti da tutte le regioni italiane e da tutti i settori produttivi del paese, dimostra che l’obiettivo della costruzione di un sindacato di massa, indipendente e di classe è giusto e percorribile.
Non era scontato che ci ritrovassimo qui dopo tre anni con in mano risultati concreti, con obiettivi condivisi, con una serie di grandi problemi aperti ma con opzioni e proposte di soluzione che stiamo portando avanti, soprattutto registrando ampie aspettative di tantissimi lavoratori nei nostri confronti.
Salutiamo con piacere le delegate ed i delegati, gli ospiti internazionali provenienti da molte organizzazioni sindacali europee. Il segretario della Federazione Sindacale Mondiale George Mavrikos, il PAME (Grecia), il PEO (Cipro), LAB (Paesi Baschi), SOLIDAIRES (Francia), CGTP-IN e FNSTFPS (Portogallo); come anche salutiamo e ringraziamo i rappresentanti dello Snater, della Rete 28 Aprile, del Centro Studi Cestes, del Forum Diritti/Lavoro e tanti altri ospiti ed invitati.
Quando abbiamo terminato di scrivere il documento congressuale che è stato discusso ed approvato in migliaia di congressi aziendali, di categoria e territoriali, mentre eravamo certi di non sbagliare quando affermavamo di essere e di rimanere dentro una crisi di sistema le cui conseguenze per le popolazioni interessate non potevano che appesantirsi, giustamente avevamo previsto una certa indeterminatezza negli sviluppi della situazione politica nazionale, pensando, come molti, che l’esito delle elezioni avrebbe potuto consegnare varie opzioni. Così è stato.
Quasi 5.000 congressi in aziende private e negli enti pubblici, nelle province, nelle regioni e al livello nazionale, del privato, del pubblico impiego, di ASIA, dei pensionati e del confederale, hanno dimostrato la vitalità e il radicamento di un’organizzazione che cresce e si sviluppa, che diventa ogni giorno che passa sempre più punto di riferimento nelle categorie e nei territori.
La crisi strutturale e sistemica nella quale ci troviamo ha ormai sviluppato le sue radici non soltanto nei paesi europei cosiddetti PIIGS, ma sta espandendosi anche in Francia, dove è iniziata quella recessione che in Italia dura ormai da anni e sicuramente interesserà altri paesi europei, producendo conseguenze negative sull’intero continente, e non solo. Una crisi i cui effetti non si dispiegano però in modo uniforme in Europa e che anche nei singoli paesi non è uguale per tutti.
Una crisi sistemica dalla quale il capitalismo e la finanza internazionale cercano di uscire con politiche e strumenti drammaticamente sempre più dannosi per la stragrande maggioranza dell’umanità.
Non temiamo di apparire ideologici o massimalisti se ribadiamo con determinazione che la crisi è determinata da un sistema capitalistico che non riesce più a governarsi ed a governare processi che hanno prodotto miseria disastri ambientali e guerre nell’intero pianeta con un sempre più accentuato spostamento di risorse economiche e di ricchezze dalle tasche di molti a quelle di pochi.
Non quindi una crisi contingente o ciclica, ma una crisi strutturale che mette in discussione il sistema capitalistico nel suo complesso e che per quel che ci riguarda indica il suo superamento quale passaggio fondamentale per affrancarsi dalla stessa.
Ma una uscita da questo capitalismo oggettivamente non si traduce automaticamente in uscita dal capitalismo in grado di generare effetti positivi con l’apertura di nuovi spazi democratici e di un diverso modo di produrre: al contrario può anche tramutarsi in un sistema ancor più rigido e antidemocratico. In altre parole da questa crisi si può uscire “a sinistra”, se così possiamo dire, attraverso un cambiamento radicale di sistema o “a destra” con una nuova forma di capitalismo ancor più autoritario.
Ciò che in questo ambito ci preme di più sottolineare è che gli strumenti economici, sociali e politici che via via sono stati adottati per “correggere” e salvare un sistema a nostro avviso “incorreggibile”, stanno peggiorando le condizioni di vita di milioni di donne e uomini.
Evidenti sono le conseguenze dei tentativi di salvataggio dei templi della finanza, cioè delle banche, con l’assorbimento di ricchezze enormi, sottratte ai salari, al welfare, ai beni comuni.
Ancor più evidente è l’ossessione della spending review imposta come un mantra su organi di stampa e televisioni e che sta rapidamente negando il valore sociale del welfare. La politica di austerità teorizzata da Monti e dalla BCE ed esportata in tutto il continente, insieme all’aumento dell’età pensionabile e della produttività, rappresenta la peggiore delle contraddizioni sociali.
La crisi, aggravata da politiche recessive e di austerità, ha generato una situazione sociale distruttiva, inimmaginabile soltanto alcuni anni fa, in Grecia, in Portogallo, in Irlanda e a Cipro e sta mettendo in ginocchio la Spagna e l’Italia. Ha prodotto una instabilità mondiale aggravata dai diversi equilibri economici, politici e militari, anche a seguito dell’enorme sviluppo di Paesi come la Cina, l’India e il Brasile e sta determinando un pericolosissimo clima di tensione internazionale che sempre più spesso porta a guerre, molte volte mascherate da operazioni di “polizia internazionale” o addirittura di “intervento umanitario”.
Proprio l’Unione Europea a cui è stato sorprendentemente attribuito il Nobel per la Pace, ha recentemente deciso l’invio di armi ai ribelli in Siria, nonostante sia ormai chiaro a tutti che non di rivolta siriana si tratta, che in un paese da sempre laico si sta giocando una partita anche per l’egemonia religiosa, che sono entrate in campo milizie vicine ad Al Queida, che la posta in gioco sono diventati i percorsi degli oleodotti e dei gasdotti. Anche la Turchia che da tempo cerca di ottenere il via libera all’ingresso nell’Unione Europea è oggi attraversata da un imponente movimento di lotta che sta mettendo in crisi il regime di Erdogan che risponde con una feroce repressione alle richieste di democrazia giustizia e laicità.
Ma la situazione internazionale ci racconta anche della ferocia del capitale che uccide in ogni angolo della terra in nome del profitto. Dalle donne costrette dai committenti delle grandi firme italiane a produrre in palazzi pericolanti che crollano seppellendo oltre duemila operaie in Bangladesh, ai disastri minerari in Cina, alle rivolte per migliori condizioni di vita e di lavoro in Sud Africa dove sul piano economico ancora comandano le multinazionali.
Un segnale importante di ripresa della capacità della classe di rovesciare il tavolo arriva però dall’America latina non solo attraverso l’ALBA (Alleanza Bolivariana per le Americhe) sul piano delle relazioni politico economiche tra gli stati più avanzati ma anche sul piano sindacale con la costruzione dell’ESNA Spazio Sindacale di Nuestra America, un esperimento di confronto e di dialogo costante fra organizzazioni sindacali del continente, siano esse appartenenti o meno alla Federazione Sindacale Mondiale. Un esperimento da studiare e che si potrebbe proporre anche in Europa alle organizzazioni conflittuali e di classe dentro e fuori la Federazione Sindacale Mondiale. Certo è che se vogliamo contribuire alla costruzione di un più forte sindacato internazionalista anche in Europa dobbiamo decidere di dedicarvi maggiori forze e maggiori disponibilità.
In Italia Monti ed il suo governo, appoggiato dalla stessa ampia maggioranza che oggi ritroviamo unita nel sostenere Letta e la sua strana compagine governativa, ha prodotto una situazione di crisi nella crisi, di ulteriore e il sostanziale peggioramento delle condizioni economiche e sociali di milioni di persone che a sua volta ha creato contraddizioni enormi nella società italiana.
La povertà è aumentata in modo esponenziale e milioni di famiglie non riescono più neanche a sostenere le spese sanitarie. L’inflazione, mascherata ma reale, sommandosi alla diminuzione generale dei redditi e in presenza di un numero sempre maggiore di licenziamenti, di cassa integrazione e mobilità, di contratti a tempo determinato non rinnovati, produce una forte contrazione del potere d’acquisto di salari e pensioni e l’impoverimento assoluto di chi perde il lavoro.
Di certo sono più che sufficienti i numeri, pochi ma significativi numeri, a rappresentare l’attuale situazione italiana.
In Italia da 7 trimestri, cioè dalla seconda metà del 2011, è in calo il Pil – cioè il prodotto interno lordo. Nel 1° trimestre del 2013 il calo rispetto allo stesso periodo del 2012 è del 2,3, record assoluto di sempre. Con questo dato, rispettando le politica di austerità imposte dalla BCE, è assolutamente impossibile pensare ad una qualsiasi tenuta dell’economia e difesa dell’occupazione.
Il numero dei disoccupati è infatti ormai stabilmente a due cifre ed oggi i 3 milioni senza lavoro sono pari all’11,5% della popolazione, mentre la disoccupazione giovanile ha superato il 40%.
In questo scenario, tenuto conto dell’inflazione, il potere di acquisto della famiglia media nel solo 2012 è diminuito del 4,8%.
Fra il 2007 e il 2010 il reddito dei 5 milioni di italiani che rappresentano il 10% più ricco della popolazione si è ridotto complessivamente del 3%, mentre per i 5 milioni di italiani che costituiscono il 10% dei più poveri, il calo del reddito è stato di quasi il 20%.
Nel 2007 il 10% di cittadini più ricchi guadagnava 8,7 volte di più del 10% più povero. Nel 2010 si è passati a 10,2 volte.
Il povero non perde di più solo in termini relativi, ma anche in termini assoluti. E non abbiamo dubbi che dal 2010 ad oggi la situazione è pesantemente peggiorata.
Se oggi i ricoveri e le mense della Caritas si riempiono anche di ex lavoratori, di pensionati e di lavoratori che con il loro salario non riescono ad arrivare al 15 del mese, se Emergency sta aprendo ambulatori non soltanto in Africa o in Afganistan, ma anche in Italia, ciò vuol dire che viviamo un peggioramento diffuso e progressivo delle condizioni economiche e di vita di milioni di cittadini che fa tornare alla mente il nostro dopoguerra.
Se il problema dell’abitare assume oggi una rilevanza sempre più ampia, se la gente si ammazza perché non riesce a pagare l’affitto o il mutuo senza levare il pane dalla bocca ai propri figli, se le occupazioni di case si susseguono senza sosta e coinvolgono fasce di popolazione sempre più vaste, questo significa che non esiste più quel “compromesso” sociale che, se pur ingiusto e squilibrato, rendeva possibile il mantenimento di quell’illusorio e diffuso livello di pace sociale che sopiva le contraddizioni e comprimeva il conflitto.
Le elezioni politiche di febbraio, mentre hanno cambiato radicalmente l’assetto parlamentare, paradossalmente non hanno prodotto alcun cambiamento rispetto al quadro governativo: le stesse forze che formavano la maggioranza di Monti oggi sostengono Letta. Queste elezioni ci hanno però mostrato con molta chiarezza lo stato di frammentazione sociale che pervade il nostro paese.
Una frammentazione certamente indotta dalle scelte politiche ed economiche portate aventi dai poteri forti interni e imposte dall’Europa ormai da 20 anni a questa parte che hanno accompagnato la riorganizzazione capitalistica e i suoi processi di ristrutturazione, scompaginando la vecchia composizione di classe.
Una classe media impoverita, gli stessi settori popolari, i lavoratori i giovani le donne i pensionati, quello insomma che una volta era il blocco storico della sinistra, che ne rappresentava il riferimento politico ed ideale, oggi non riescono a riconoscersi univocamente in alcuna espressione politica organizzata. Là dove gli effetti della crisi si sono acutizzati la sinistra tradizionale o radicale che dir si voglia ha mostrato tutti i suoi limiti nel rapportarsi con la nuova situazione,più attenta alla propria sopravvivenza e alle esigenze dell’apparato che a rappresentare una vera alternativa sociale. Una sinistra che avendo appaltato le politiche del lavoro alla Cgil, si è disintegrata in una corsa al “governismo” che ha progressivamente prosciugato quelle potenzialità di cambiamento che avrebbero dovuto essere alla base delle sue politiche.
Assistiamo così al crescere esponenziale dell’aerea dell’astensione o del rifugio in movimenti come il 5 Stelle che presentandosi come antisistema e alternativo alla casta ha raccolto milioni di consensi ma che oltre ad esprimere forti ambiguità e contraddizioni dal punto di vista sociale e sindacale, rischia di essere ininfluente.
In generale è fallito anche il progetto politico della Camusso, di Bonanni e di Angeletti di costruire un’alleanza “amica” intorno al polo MONTI/PD e quello della FIOM di andare alla costruzione del partito del lavoro.
Nuove esperienze e movimenti, si stanno affacciando nello scenario della sinistra con l’obiettivo di rappresentare prioritariamente il mondo del lavoro e del non lavoro che costituisce il fulcro di quel blocco sociale più sfruttato e meno rappresentato.
Rispetto a questi nuovi e ai vecchi movimenti e partiti USB deve mantenere la propria indipendenza pratica e di giudizio, senza però evitare il confronto che, al contrario, deve svilupparsi in modo ampio ed articolato.
La crisi dicevamo ha accentuato il dato dell’ingovernabilità, solo apparentemente ricomposta con il governo PD/PDL imposto come Monti dagli stessi sponsor internazionali politici ed economici, uguale ancora il garante istituzionale, cioè Napolitano.
Ma soprattutto uguale è il programma politico ed economico che rappresenta il programma delle banche e della finanza internazionale, della BCE, della Comunità europea e del Fondo Monetario Internazionale.
Mentre diventa sempre più evidente che i poteri reali non si trovano più nella dimensione nazionale ma travalicano l’Europa diventa tragica illusione credere di poter salvaguardare gli interessi e i bisogni della stragrande maggioranza della nostra società senza mettere in discussione il ruolo brutale dei tecnocrati e delle istituzioni di Bruxelles, le loro scelte economiche e politiche che disegnano un processo di costituzione di un nucleo forte dell’Unione Europea a scapito dei paesi più in difficoltà anche attraverso l’acquisizione di servizi pubblici a rete, di filiere industriali e di grandi istituiti bancari.
Un processo che necessita di uno stretto controllo sui paesi più deboli dell’Euro, di una stretta autoritaria nei modelli politici ed istituzionali e su tutti gli aspetti della vita sociale, a cominciare dai diritti del lavoro e dalla democrazia sindacale come quello rappresentato dal vergognoso accordo sulla rappresentanza siglato da CGIL CISL UIL e Confindustria il 31 maggio scorso che non a caso diventa la premessa anche delle controriforme costituzionali con la prefigurazione del presidenzialismo.
Avevano il 33% ora si vogliono garantire il 100% di rappresentanza. Non è il caso qui di entrare in una disamina approfondita di quest’accordo, ma quello che possiamo dire è che contro di esso va condotta una campagna e una mobilitazione eccezionale.
All’autoritarismo in campo politico si accompagna quindi l’involuzione autoritaria in campo sindacale con cui si tenta di espungere il conflitto e quelle organizzazioni sindacali come la nostra che lo praticano ma soprattutto che rappresentano agli occhi dei lavoratori e delle lavoratrici, dei precari/e, dei senza casa, dei migranti, che si può fare, che non tutto è predeterminato e fissato, che se ci organizziamo, se smettiamo di affidarci a sindacati che ormai sono espressamente al servizio del padronato, se connettiamo le lotte, in una parola se ci riprendiamo la nostra dignità e solleviamo la testa, ce la possiamo fare.
Per questo però è necessaria una forte organizzazione, con una consolidata identità basata sul rifiuto di ogni logica di compatibilità, delle logiche del mercato, di ogni patto tra produttori, degli accordi del 28 Giugno 2012 che, badiamo bene, non hanno cancellato il CCNL, ma ne hanno fatto uno strumento di regolazione della frammentazione e della flessibilità delle condizioni salariali e normative, pronto a permettere qualunque esigenza produttiva.
Non è più tempo di limitarsi alla critica o a praticare il più uno rispetto a CGIL CISL UIL. Il ruolo di queste organizzazioni, complici del disastro sociale attuale, va smascherato con forza. Bisogna indicare con chiarezza ai lavoratori che la riaffermazione dei loro diritti parte dalla loro disgregazione, compresa la CGIL e la FIOM , il cui segretario generale è arrivato a giudicare positivo l’accordo sulla rappresentanza. Da tempo abbiamo dato un giudizio definitivo sull’irriformabilità anche della stessa CGIL .Da tempo abbiamo indicato la strada della costruzione del sindacato di classe, indipendente dai padroni e dai partiti come unica possibilità di raccogliere le forze necessarie a rovesciare il tavolo delle compatibilità. La presenza a questo congresso di oltre 400 militanti del conflitto sindacale e sociale, in rappresentanza di migliaia di luoghi di lavoro, di lavoratrici e lavoratori, disoccupati, precari, migranti, di chi lotta per il diritto alla casa e al reddito è la dimostrazione che questa strada è percorribile. Noi riteniamo che l’accordo sulla rappresentanza scriva la parola fine, anche per chi ancora milita nelle organizzazioni concertative, sulla illusione che sia possibile continuare la battaglia al loro interno. Il nostro congresso auspica l’apertura di una serrata discussione tra i compagni e le compagne che oggi ancora militano nelle organizzazioni concertative affinché maturi la convinzione della necessità della rottura politica con quell’idea di sindacato, rottura da praticare nelle forme e nei tempi possibili ma da praticare. Questa rappresenterebbe un vero e proprio fatto politico nel Paese e potrebbe dare nuovo slancio al rafforzamento del sindacato di classe in Italia.E’ l’assunzione di una grande responsabilità politica quella che chiediamo ma assicuriamo a questa ipotesi di lavoro tutto il nostro sostegno e il nostro impegno.
L’ultimo velo è caduto e oramai è chiaro a tutti che non hanno fatto un buon servizio ai lavoratori e alle lavoratrici coloro i quali in questi anni hanno spacciato la FIOM come il baluardo contro la Confindustria, la FIAT e le scelte antipopolari dei vari governi. Oggi la FIOM difende e apprezza un accordo che fa a pezzi la democrazia e che tenta di rendere immutabile il monopolio di Cgil, Cisl e Uil, ma che ci apprestiamo a combattere con tutte le nostre forze.
La realtà sta facendo giustizia di tante mistificazioni ma ciò non ci può bastare. C’è uno spazio da occupare e noi siamo pronti come abbiamo detto, a impegnarci per riempirlo insieme a quanti vorranno con noi seguire la strada dell’ indipendenza e dell’alternativa sindacale; c’è un lavoro anche culturale da intensificare valorizzando al contempo quanto quest’organizzazione, pur con tutti i suoi limiti, sa produrre sul piano delle analisi e delle lotte.
Per noi il tempo della faticosa ma entusiasmante costruzione del conflitto si è aperto da tempo: faticosa perché in un paese come il nostro dove, a differenza di tanti altri nella stessa area europea/mediterranea, l’effervescenza sociale non si è manifestata in termini generali, le nostre strutture hanno dimostrato una capacità critica e pratica di resistenza in molti nodi dell’attacco padronale: dal San Raffaele all’ILVA, dagli innumerevoli e sempre riusciti scioperi del TPL, a quelli del trasporto aereo, agli straordinari successi nelle elezioni delle RSU alle COOP e in molte altre aziende private, alle lotte dei migranti a Torino, alle occupazioni delle case a Roma ed in altre città, alle ormai quotidiane iniziative e lotte del P.I., dei Vigili del Fuoco. Veramente un elenco troppo lungo da richiamare. Si tratta semmai di attrezzarci per sostenerle sempre meglio, di aiutarle a entrare in connessione, nella costruzione territorio per territorio di reti di solidarietà attiva.
Dopo 3 anni USB c’è, si vede e si fa sentire. E’ diventato un punto di riferimento stabile e credibile per un numero sempre maggiore di lavoratrici e lavoratori e si propone come reale alternativa sindacale a Cgil, Cisl e Uil. Questa valutazione positiva deve spingerci ad un lavoro sempre più incisivo e concreto nelle aziende, nei territori, a livello generale e confederale, ma non deve impedire un bilancio reale, aperto e trasparente anche sulle cose che non hanno funzionato, su quelle che non siamo riusciti ancora a realizzare completamente o quelle che, pur se progettate e messe in pista, non sono ancora decollate del tutto.
Sinteticamente possiamo dire che non sono mancate le idee, le analisi ed i progetti, ma la scomposizione di classe, la solitudine che ancora circonda troppe lotte, la loro parzialità ci deve spingere a costruire un intervento sindacale confederale complessivo che abbia le caratteristiche della generalità e della continuità, ossia la capacità di coniugare gli aspetti che emergono dai territori e dalle categorie con percorso sindacale in grado di delineare un intervento generale sulle politiche nazionali e sui principali aspetti della vita economica e sociale a livello nazionale ed internazionale.
Questo Congresso deve rappresentare una svolta decisiva nella direzione della costruzione di una reale confederalità; un giro di boa nella ricerca della forma politica ed organizzativa più adeguata che ci permetta di superare il particolarismo che spesso contraddistingue l’attività delle nostre strutture e limita l’intervento di carattere generale dell’USB.
Altro elemento critico sul quale riflettere è rappresentato dalla necessità del rafforzamento dell’organizzazione, cioè di quegli strumenti indispensabili che, insieme alle risorse economiche, permettono all’attività sindacale vera e propria di dispiegare tutte le proprie potenzialità. Più volte abbiamo discusso e dibattuto sulla necessità, soprattutto in una fase difficile come l’attuale e in presenza di un attacco pesante portato al sindacalismo conflittuale e indipendente sul tema della democrazia e della rappresentanza, di rafforzare l’organizzazione sia in termini concreti e materiali, sia di identità e di consapevolezza collettiva sulle difficoltà e sugli obiettivi che incontriamo tutti i giorni nel perseguirli.
Anche su questo tema il documento congressuale indica una strada che è quella del progressivo miglioramento del livello organizzativo, sia in termini di risorse impiegate a livello confederale, sia nell’individuazione di specifiche capacità/responsabilità attraverso la costruzione dei Dipartimenti, a cominciare proprio da quelli che si occuperanno dell’organizzazione, della gestione delle risorse economiche e soprattutto della gestione delle relazioni tra livello nazionale confederale, le Federazioni regionali ed i territori provinciali.
La Confederalità Sociale deve essere vissuta ancora come sperimentazione in quanto, anche se in alcuni territori è ormai una realtà, non siamo ancora riusciti a realizzazione compiutamente un modello esportabile e ripetibile. Nonostante la convinzione comune sia che la Confederalità Sociale rappresenta la nuova frontiera dove il sindacato dovrà cimentarsi e contaminarsi con approcci e pratiche più legate al sociale, ai territori, al precariato e al non lavoro, le difficoltà sono evidenti e in questa fase non possiamo che confermare la sperimentalità di tale processo. Insieme a ciò dobbiamo però rendere più efficaci gli strumenti attraverso i quali affrontiamo questo campo di intervento. La maggiore diffusione e lo sviluppo di ASIA non soltanto nell’ambito del diritto alla casa e l’ipotesi di definizione del “delegato territoriale”, rappresentano l’espressa volontà dell’intera Confederazione di sviluppare l’intervento sociale e farlo convivere con l’attività sindacale classica.
Da sempre il capitale cerca di mettere in contrapposizione ed in competizione i lavoratori e le lavoratrici di paesi diversi. Come abbiamo già affermato nel documento congressuale “un sindacato di classe non può che essere internazionalista” e a tale scopo la nostra attività in ambito internazionale sta progressivamente assumendo dimensioni e qualità significative. L’adesione ed il lavoro all’interno dell’FSM si stanno rivelando per USB impegnative e faticose, ma sicuramente importanti per lo sviluppo dell’attività sindacale che in Europa ha ormai una valenza ed una prospettiva principalmente continentale e legata alla legislazione e alla regolamentazione comunitaria.
Il nostro lavoro internazionale dovrà quindi svilupparsi e conseguentemente dovrà impegnare un numero maggiore di compagne e compagni non solo in ambito confederale ma anche nelle categorie.
La formazione e la comunicazione, lungi dall’essere temi tecnici o esclusivamente organizzativi, stanno assumendo un ruolo fondamentale in USB. Dobbiamo impegnare maggiori risorse ed utilizzare al meglio quelle di cui disponiamo, dobbiamo raggiungere e coinvolgere l’intero sindacato, dobbiamo esprimere e far emergere una identità che all’esterno sia visibile con chiarezza e continuità.
Dobbiamo imparare tutti ad utilizzare i nuovi strumenti di comunicazione della rete e al tempo stesso progredire nell’ambito della formazione attraverso l’utilizzo sempre più ampio del Centro Studi Cestes.
Questi due temi, comunicazione e formazione, sono essenziali per procedere all’individuazione e alla costruzione di nuovi quadri sindacali che siano poi alla base del rinnovamento dei gruppi dirigenti.
L’argomento che però più di tutti è al centro della discussione di questo Congresso e di tutte le fasi che portano a questa tre giorni di lavoro è costituito dal cambio di passo che dobbiamo effettuare sul crinale della democrazia, della rappresentanza e dell’approccio al conflitto sociale quale strumento di misurazione e di cambiamento dei rapporti sociali, cioè in sintesi ….. come ROVESCIARE IL TAVOLO!
In ambito sindacale ciò si traduce essenzialmente in due principali elementi di riflessione e di analisi.
Da una parte la pratica del conflitto deve rappresentare l’approccio che USB deve adottare in tutte le sue attività sindacali. Naturale è l’approccio conflittuale nelle lotte, nelle manifestazioni e nello sciopero; più difficile invece quando si è in trattativa, quando c’è e può ancora portare risultati positivi. E’ soprattutto quando si è al tavolo della trattativa che si deve concretizzare quel Rovesciare il Tavolo che non vuol dire rinunciare al confronto con le controparti, ma che deve riuscire a far emergere quella radicalità che ci contraddistingue e che enunciamo sempre ma molte volte esitiamo a praticare. Non può esserci esito positivo di una trattativa se questa non scaturisce da un percorso di lotta e di partecipazione dei lavoratori.
D’altra parte la crisi che blocca i contratti e chiude le aziende, il ruolo sempre più dannoso dei sindacati “collaborativi”, l’involuzione delle cosiddette “relazioni industriali” che si limitano ormai ad una verifica notarile di quanto deciso dalle aziende, rende il confronto classico tra le parti sociali un rituale quasi sempre inutile e spesso dannoso e rivaluta invece in modo significativo il conflitto quale strumento di riequilibrio nei rapporti di forza in termini negoziali e generali.
Tante altre sono certamente le criticità ed i lati in penombra che dobbiamo affrontare e risolvere. Molti sono stati discussi nei congressi di categoria ed in quelli territoriali confederali, altri saranno oggetto di questo Congresso, altri ancora si sono conclusi con la decisione di alcune compagne e compagni di lasciare USB. Tali defezioni, è bene sottolinearlo, sono state molto più che compensate dall’adesione di tante altre realtà di lavoro che hanno deciso di percorrere insieme a noi la strada dell’indipendenza e della costruzione di USB. Soprattutto è comunque necessario rappresentare con chiarezza che chi ha deciso di lasciare USB lo ha fatto perché il percorso unitario che abbiamo intrapreso e che è per se stesso garanzia di indipendenza, di conflittualità e soprattutto di solidarietà interna, evidentemente confliggeva con la loro visione di un sindacato aziendalista o chiuso nel proprio territorio o appendice politica di questo o quel movimento o partito politico.
Infine, l’iniziativa di USB nell’ambito del No Debito e del NO MONTI, a partire dalle grandi manifestazioni di Milano e di Roma, le uniche che abbiano avuto parole d’ordine il rifiuto del debito, la lotta contro i trattati europei, l’opposizione radicale ad un’Europa basata sulla dittatura dei mercati e delle banche e sull’ossessione monetarista, dimostrano la vitalità di questa organizzazione sindacale e la richiesta di un nuovo protagonismo che rafforzi l’attività sindacale e al tempo stesso delinei un intervento sociale sui territori e a livello nazionale. Iniziative che hanno prodotto effetti sicuramente positivi, comunicando all’esterno una immagine di USB positiva, radicale, forte e propositiva.
Si è creato tra l’altro un sistema di relazioni che ha coinvolto anche il lavoro del Forum Diritti/Lavoro e che ha permesso un positivo rapporto anche con le compagne ed i compagni della Rete28Aprile con i quali condividiamo molte iniziative sia a livello nazionale, sia territoriale.
Nel complesso quindi un bilancio positivo di questi primi tre anni di lavoro di USB. Sicuramente tre anni difficili nei quali mentre si costruiva un sindacato che vuole essere alternativa reale a Cgil, Cisl e Uil, si è intervenuti in migliaia di vertenze aziendali, territoriali e nazionali, contro accordi indicibili e leggi ancor più penalizzanti per i lavoratori.
Tre anni nei quali si è imparato a lavorare positivamente anche tra chi proveniva da diverse esperienze.
Tanti sono gli ulteriori argomenti che meriterebbero uno spazio adeguato in questa relazione introduttiva, dalle politiche delle categorie del pubblico e del privato alle decisioni sullo sviluppo di particolari comparti e settori al loro interno, dalle vertenze significative ai positivi riscontri in tantissime elezioni RSU, dall’evoluzione e dalla maturazione dell’intervento nei territori all’impegnativo lavoro sui migranti, dalle questioni economiche al ruolo dei servizi che il sindacato fornisce ai lavoratori, a tante altre attività che quotidianamente svolgiamo come USB.
Non è nostra intenzione ripetere quanto già scritto all’interno del documento congressuale che, approvato dai nostri iscritti è e rimane lo strumento principale di lettura e di analisi della fase e che delinea gli obiettivi che ci vogliamo dare per i prossimi anni.
Ciò che invece intendiamo ribadire con forza è che con questo congresso dobbiamo dotarci di una linea programmatica unitaria, di una chiave di lettura comune, di obiettivi condivisi che costituiscano la base per riuscire a completare ciò che abbiamo iniziato a costruire tre anni fa: il sindacato che serve! Che serve alle lavoratrici ed ai lavoratori, a coloro che il lavoro lo hanno perso, ai pensionati che non arrivano a fine mese, ai precari che non hanno certezze e ai migranti che pagano la crisi più di altri, ai disoccupati e a tutti quei giovani che non riescono a vedere un futuro.
Lavorare quindi con entusiasmo e con determinazione per affrontare il quotidiano perché i bisogni sono tali e tanti da rendere necessario un intervento ora e subito. Ma lavorare anche con un respiro più ampio, traguardando il nostro impegno verso l’obiettivo più generale e complessivo di cambiamento di un sistema economico e sociale che comprime diritti e democrazia, che è sempre più iniquo e sbagliato e che rende sempre più poveri e sfruttati milioni di persone.
Dobbiamo mettere in discussione l’architettura del lavoro e del sistema economico e sociale italiano, attraverso l’adozione di un programma, quello che riportiamo nel documento congressuale, che per essere realizzato necessita di convinzione e condivisione. Un programma di lotta e di crescita di un’opzione avanzata di sindacato di classe che in parte già pratichiamo. Un programma che dobbiamo condividere, sviluppare, rendere credibile, e soprattutto praticare insieme a chi, nell’ambito sindacale, del lavoro e dell’intervento sociale, dimostra di avere i nostri stessi obbiettivi generali e la stessa pratica del conflitto.
- Lotta all’Unione Europea, ai diktat della BCE, al ricatto del debito. Per la cancellazione dei trattati europei, a partire dal Fiscal compact.
- No alle politiche e alle logiche basate sul mercato. Vogliamo un forte impegno dello stato nelle politiche economiche attraverso il ritorno ad un concreto ruolo pubblico e attivando processi di nazionalizzazione che coinvolgano i settori produttivi e i servizi strategici.
- Basta con le politiche sindacali difensive e di “riduzione del danno”. Sarebbe necessaria una riscrittura completa della legislazione sul lavoro, abolendo la precarietà, ripristinando il diritto al lavoro buono, di qualità, sicuro e adeguatamente retribuito, cancellando l’accordo sulla produttività. Prevedendo forti penalizzazioni per le aziende che delocalizzano la produzione. Ripristinando ed estendendo l’art.18. Sbloccando i contratti. Prevedendo aumenti salariali consistenti e in paga base, la riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario, la reintroduzione di una indicizzazione automatica dei salari, degli stipendi e delle Pensioni, il riassorbimento al lavoro per precari, lavoratori in mobilità e licenziati.
- Ci vuole democrazia sul lavoro che vuol dire maggiori diritti e più potere contrattuale dei lavoratori. Dobbiamo battere gli accordi di Cgil, Cisl, Uil e Confindustria e continuare ad indicare con determinazione la via di una legge su rappresentanza e rappresentatività sindacale che garantisca le libertà dei lavoratori sul posto di lavoro, la possibilità di poter scegliere da chi essere rappresentati, il pluralismo e la democrazia.
- Difendiamo e chiediamo un forte impulso della scuola e della ricerca pubblica. Rilanciamo la battaglia per un sistema di soccorso nazionale realmente pubblico affidato ai vigili del fuoco.
- Il salario non è più soltanto salario diretto. E’ necessario il ripristino del controllo pubblico sulle tariffe dei servizi e dei beni di prima necessità e l’istituzione del reddito minimo garantito. Ma anche il diritto all’abitare per tutti, la cancellazione delle tasse sulla casa di abitazione, il riuso del patrimonio sfitto, il rilancio della funzione calmieratrice del mercato immobiliare degli enti previdenziali, lo stop agli sfratti e alle vendite, il riconoscimento del diritto alla casa per tutti gli occupanti.
- Ribadiamo il nostro No deciso alle privatizzazioni e alle esternalizzazioni che stanno distruggendo le attività produttive e le condizioni di lavoro. E’ indispensabile la reinternalizzazione di tutti i servizi pubblici, un forte ed esclusivo finanziamento della sanità, del sistema scolastico, dei trasporti pubblici, la difesa dei beni comuni dai continui tentativi di privatizzazione.
- Vogliamo difendere e rilanciare la previdenza pubblica per ottenere pensioni eque e sufficienti che rispettino il diritto ad una vecchiaia dignitosa. No alla controriforma sulle pensioni che costringe al lavoro fino a 70 anni. Ribadiamo il no ai fondi pensione, prevedendo la possibilità di rinuncia per chi vi ha aderito.
- Rivendichiamo la cancellazione della legge Bossi Fini, diritti uguali per i migranti e la chiusura dei CIE, il diritto all’asilo per i rifugiati e profughi insieme a quello della cittadinanza di residenza per i bambini nati in Italia.
- Per un internazionalismo concreto. Basta spese per armamenti e missioni di guerra.
- Ambiente e salute sono punti fondamentali che non possono soltanto essere evocati, ma vanno affrontati anche a costo di rischiare la contraddizione tra lavoro e salute come sta avvenendo all’Ilva di Taranto e in tante altre fabbriche italiane. Lotta senza quartiere, quindi, alla devastazione dell’ambiente e forte sostegno e partecipazione alle lotte per impedire grandi opere costose, inutili e a grave impatto ambientale.
Questi in sintesi i punti del programma contenuto nel documento congressuale approvato. Da questo congresso vogliamo e dobbiamo però uscire non soltanto con analisi generali corrette e con un programma di lavoro di tendenza.
Al contrario vogliamo far emergere alcuni temi prioritari che proponiamo alla discussione di questa tre giorni a Montesilvano e che, se approvati, dovranno caratterizzare la nostra attività sin dal 10 giugno.
Per questo abbiamo individuato e proponiamo schematicamente 5 principali campagne che dovranno poi essere meglio articolate ed argomentate, sostenute da mobilitazioni specifiche, da petizioni e iniziative pubbliche.
Occupazione – Lo Stato e le sue articolazioni territoriali devono tornare ad avere una funzione di rilancio dell’occupazione attraverso lo sviluppo del welfare, dei beni culturali, della cura e della messa in sicurezza del territorio, della difesa dell’ambiente, dello sviluppo del turismo, della valorizzazione dei beni comuni, della lotta all’abusivismo e all’evasione ecc.- e utilizzando anche lo strumento della nazionalizzazione per garantire il mantenimento dei livelli produttivi e occupazionali e l’intervento economico diretto in aziende e settori strategici quasi tutti.
Pensiamo ad una vasta campagna intorno a una piattaforma che potrà prevedere anche una partecipazione attiva attraverso una proposta di Legge di iniziativa popolare o una petizione e che preveda la costruzione di comitati di sostegno di lavoratori, di disoccupati, precari e studenti. Per intenderci una legge 285/75 in salsa XXI secolo.
Orario di lavoro e contratti – Una campagna che rilanci in primo luogo la parola d’ordine della riduzione dell’orario di lavoro: 32 ore per tutti pagate 40 visto lo sviluppo dell’automazione e delle tecnologie che invece di ridurre il tempo di lavoro hanno prodotto riduzione di addetti; forte recupero salariale cominciando a rinnovare i contratti scaduti e predisponendo piattaforme contrattuali di categoria e una piattaforma generale sul salario.
Casa e reddito – Una campagna sul diritto all’abitare che, grazie all’attività di ASIA, è già avanti nella sua costruzione. Stop alla cementificazione, riuso dello sfitto, requisizioni, politica degli affitti. Sul reddito dobbiamo costruire una proposta che preveda un concreto sostegno al reddito con integrazione/sostituzione del salario, tariffazione sociale, ecc..
Pensioni – il primo provvedimento assunto da Hollande appena eletto è stato quello di riportare a 60 anni per tutti l’età per andare in pensione. Questo deve essere il principale obbiettivo di questa campagna insieme alla garanzia per tutti gli esodati presenti e futuri.
Libertà e democrazia per le lavoratrici e i lavoratori nei luoghi di lavoro – Campagna informativa e di mobilitazione contro gli accordi che Cgil, Cisl, Uil e Confindustria, sostenuti dal governo e dalla maggioranza delle forze politiche hanno predisposto, a cominciare dall’accordo del 31 maggio scorso che è in perfetta sintonia con quello del 28 giugno 2011, per ridurre le libertà di lavoratrici e lavoratori e permettere alle aziende di imporre una rappresentanza sindacale precostituita in modo non democratico.
Dobbiamo costruire informazione e mobilitazioni in ogni città e in ogni azienda sul tema della democrazia e delle libertà sui posti di lavoro. Dobbiamo costruire un fronte il più ampio possibile e a questo scopo proponiamo la costituzione di Comitati a difesa della democrazia e della libertà sui posti di lavoro. Dobbiamo spingere per una legge sulla rappresentanza e la democrazia sui posti di lavoro, ritornare a raccogliere le firme sulla nostra proposta di legge e portare avanti un’offensiva nei confronti del Parlamento e delle forze politiche. Dobbiamo sviluppare e approfondire, insieme al Forum Diritti/Lavoro, a giuristi e costituzionalisti, gli aspetti legali, primo fra tutti il tema della incostituzionalità insita nell’accordo del 31 Maggio.
Il nostro obiettivo è quello della costruzione di un sindacato generale, indipendente, conflittuale, democratico e di classe, un sindacato accogliente ed inclusivo ma al tempo stesso organizzato e fedele ai propri principi. Un sindacato aperto ai soggetti frutto della nuova composizione e scomposizione di classe che riesca a dare risposte non soltanto sul piano prettamente sindacale ma anche su quello sociale e generale.
Si tratta di una strada difficile che abbiamo intrapreso e che dobbiamo continuare a percorrere con umiltà ma con la piena consapevolezza delle aspettative che esistono ormai nei confronti di USB e del ruolo che questo sindacato può svolgere, non soltanto in termini sindacali difensivi, ma anche come motore e modello di soggetto che lotta per un reale cambiamento sociale.
Nei prossimi mesi ed anni non aspettiamoci una uscita morbida da questa crisi: la protesta e il dissenso aumenteranno insieme a povertà e disperazione. Ma non basta dissentire: dobbiamo raccogliere questa protesta e organizzarla.
Dobbiamo ricostruire fiducia e forza nel movimento dei lavoratori e delle lavoratrici, dobbiamo contrapporci con forza ai processi di riorganizzazione e di sfruttamento messi in campo dal capitale: per fare questo è indispensabile che il dissenso si trasformi in conflitto organizzato.
Per questo siamo disposti a ROVESCIARE IL TAVOLO!
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