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La rivolta degli schiavi di Dubai, la moderna “Elisium”

A Dubai, centinaia di operai indiani, pakistani e bangladeshi hanno incrociato le braccia e sono scesi in strada per protestare contro i salari troppo bassi e le pesantissime condizioni di lavoro. La compagnia per cui lavorano avrebbe anche smesso di pagare loro gli straordinari. È uno dei rari scioperi nell’Emirato dello sceicco Al Maktum, dove le rivendicazioni sindacali sono praticamente inesistenti. I lavoratori si sono prima radunati a Dowtown Dubai, vicino al Dubai Mall, tra Boulevard Area e Festival Road, bloccando il traffico. La polizia è subito intervenuta pesantenente contro i lavoratori in sciopero, con agenti in tenuta anti sommossa, che hanno tentato di mediare e poi hanno sgomberato gli operai in meno di un’ora.

Otto anni fa ci fu una prima rivolta degli operai, prevalentemente indiani, pachistani e filippini che per circa duecento dollari al mese lavoravano per costruire le  moderne “piramidi” ossia i grattacieli che oggi svettano su Dubai. I disordini nella primavera del 2006, avevano interessato anche il cantiere del Burj Dubai diventato il grattacielo più alto del mondo, ed avevano preoccupato il governo al punto da indurlo ad annunciare nuovi provvedimenti per tutelare i lavoratori. Dubai è un centro finanziario fondamentale per tutto il Medio Oriente, è una piazza del commercio dell’oro, ma soprattutto è un paradiso fiscale e una “Mecca” per la speculazione immobiliare e le attività turistiche. Una sorta di “Elisium” dove ai ricchi e ricchissimi è permesso tutto quello che viene negato a chi rimane fuori, come i 300mila uomini provenienti dal Bangladesh, dalle Filippine o dal Pakistan che vivono “schiacciati” a Sonapur, una bidonville non troppo distante dal centro.

 

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