Quando un potere criminale come questo vi dice che “non c’è pericolo”, allora dovete sentirvi sicuri che il pericolo c’è. Enorme.
Dopo l’incendio del Terminal 3 all’aeroporto di Fiumicino, alla riapertura, numerosi passeggeri e soprattutto lavoratori hanno accusatomalori persistenti. Costretti a lavorare con le mascherine non solo per il puzzo insopportabile, ma soprattutto per gli evidenti sintomi di avvelenamento respiratorio. Le autorità avevano come sempre rassicurato, e come sempre i sindacati complici (Cgil-Cisl-Uil, sindacato “unico” di fatto, in alcune situazioni) si erano dati da fare perché i lavoratori tacessero. SOlo l’Usb aveva insistito, proclamando assemblee e una mobilitazione permanente.
Ora la Procura di Roma, che sta indagando dal 7 maggio sulle cause e le conseguenze del rogo, ha iscritto nel registro degli indagati un dirigente degli Aeroporti di Roma per violazione della legge 626 (sicurezza dei lavoratori) e un dirigente dell’Asl Rm D per abuso d’ufficio. Di fatto, “si sopetta” che il funzionario AdR abbia obbligato i lavoratori a effettuare i loro turni in un ambiente pesantemente inquinato e il secondo di aver chiuso entrambigli occhi davanti alla situazione divenuta pericolosa per la salute di tutti.
Poi è arrivata anche la conferma scientifica. L’Arpa del Lazio ha infatti trovato una presenza rilevante di elementi tossici, decisamente cancerogeni, come diossina, pcb e furani.
L’inchiesta a questo punto mira ad accertare quali materiali siano stati usati dalle imprese che hanno effettuato negli ultimi anni lavori al Terminal 3. La velocità con cui l’incendio si è propagato e la presenza di materiali tossici evidenzia infatti una certa “approssimazione” nella scelta dei materiali (con una predilezione per quelli meno costosi).
Ma anche la progettazione del terminal appare decisamente fuori norma, visto che non erano presenti neanche le più normali porte tagliafuoco.
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