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Almaviva. Governo e azienda tentano il colpaccio

Sulla pelle di chi lavora per la più grande società di call center italiana si sono giocate un numero di “innovazioni” da brivido, oltre qualsiasi immaginazione. Quando cominciò ad operare, quasi vent'anni fa, si chiamava Atesia, guadagnava sull'onda dello sfruttamento garantito dal “pacchetto Treu” (primo governo Prodi, con Rifondazione dentro); addirittura pretendeva che i dipendenti pagassero un “affitto della postazione” da cui avrebbero lavorato. Non percepivano una paga, ma un gettone a “risultato” (se il cliente abboccava, venivi pagato, altrimenti nisba). Era facile dunque chiudere una giornata di lavoro anche in passivo…

Poi strapparono un contratto, vergognoso quanto possono esserlo quelli che ti garantiscono poche centinaia di euro al mese, con orari ballerini che non consentono nemmeno di trovarsi un secondo “lavoretto”.

15590038_1561259090628316_855288064013850959_nE bisognava quasi ringraziare il padrone – Alberto Tripi, la “Al” dell'acronimo societario, il resto sono i nomi della sua famiglia – perché era un “sincero democratico”, amico personale di Rutelli e proprietario dello stabile in piazza Santi Apostoli dove aveva allora sede “il partito”.

Molta acqua è passata sotto i ponti, ma non la logica con cui Almaviva opera: fare soldi facili, pagare pohissimo i dipendenti, delocalizzare in Albania e Romania, dove gli stipendi sono pressoché inesistenti e non è difficile trovare personale capace di dire quattro parole in italiano.

Da mesi minaccia di chiudere e licenziare 2511 lavoratori nelle sedi di Roma e Napoli, a meno che non accetttino una decurtazione del 20% del sontuoso stipendio medio: 500 euro al mese…

Il governo aveva convocato ieri “le parti” – azienda e sindacati “complici” – per provare a tamponare la situazione. Per riuscirci ha provato a sua volta l'ennesima “innovazione” da brivido: "un lodo non negoziabile al fine di comporre la vertenza che le parti stesse non sono finora riuscite a risolvere". In pratica, azienda e sindacati dovevano accettare preventivamente e a scatola chiusa la soluzione che il governo avrebbe proposto.

E il parere dei lavoratori, che – in fondo – dovranno subire tutto ciò che questi signori, più o meno nell'ombra, decideranno? Niente, che volete che capiscano, ogni volta che votano gli dànno contro…

15621850_1561259437294948_1580829518737489778_nNon è del tutto inutile sottolineare che a fare la proposta sono stati il ministro dello sviluppo economico, Carlo Calenda, e Teresa Bellanova, viceministro e fino al 2006 membro della segreteria nazionale della Filtea Cgil (stessa categoria di Valeria Fedeli, ci sarà un perché…).

Almaviva – forse considerando i rapporti di intimità storica con la parte “riformista” del Pd – ha accettato, pur riservandosi di valutare il testo finale "tenendo conto dell'esigenza imprescindibile di garantire la continuità economica aziendale".

I sindacati non hanno potuto far altro che dire no a una “innovazione” che li riduce a passacarte delle decisioni governative, magari concordate sottobanco con l'azienda. Un precedente che renderebbe inutile qualsiasi vertenza futura: decide il governo e statevi zitti.

I lavoratori erano sotto la sede del ministero, durante una giornata di sciopero di tutto il gruppo. Restano comunque poche ore per sbloccare la situazione, perché domani – 21 dicembre – scadono i termini per la messa in mobilità (ovvero il licenziamento).

Le foto sono di Patrizia Cortellessa

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