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Ikea, Auchan e il massacro dei diritti nella Grande Distribuzione

Le vicende di Marica Ricutti, la mamma lavoratrice licenziata da Ikea che recentemente ha visto confermato il proprio licenziamento dal Tribunale di Milano perché “non discriminatorio”, e la decisione di Auchan di chiudere subito due centri vendita a Napoli e Catania gettando sul lastrico centinaia di lavoratori, rappresentano gli ennesimi buchi neri nell’universo della Grande Distribuzione Organizzata.
È un settore che rappresenta per il padronato – non solo italiano – un laboratorio privilegiato di sfruttamento, utile a sperimentare riduzione dei salari, abbattimento delle maggiorazioni domenicali e festive, aperture serali e notturne, flessibilità e precarietà lavorativa, esternalizzazioni, oltre a orari e turni lesivi della salute psicofisica di lavoratrici e lavoratori e, come la vicenda di Marica dimostra, non conciliabili con i tempi di vita di una famiglia monoreddito.
Tali sperimentazioni, introdotte in modo sempre più invasivo a ogni rinnovo contrattuale, sono avallate dalla politica, serva degli interessi delle multinazionali e da CGIL CISL e UIL trasformati ormai in meri sindacati di servizi, non più interessati ad organizzare i lavoratori per tornare a conquistare salari e diritti.

In particolare le aperture indiscriminate 24 ore al giorno 365 giorni l’anno, il massiccio utilizzo del part-time, che non permette il guadagno di uno stipendio nemmeno lontanamente dignitoso e l’appalto di lavori e servizi a cooperative di sfruttamento, rappresentano nel mondo della GDO la fine di ogni residua tutela, la precarizzazione e la flessibilizzazione. Non solo del lavoro ma della vita stessa dei lavoratori e delle loro famiglie, oltre che il motivo della chiusura di decine di migliaia di piccoli negozi di vicinato a conduzione familiare, che garantivano una qualità della vita dignitosa per chi vi era impiegato e la vitalità e la socialità dei nostri quartieri e paesi, oggi divenuti deserti inariditi dalla presenza dei grandi centri commerciali.

L’inversione di rotta non è più procrastinabile. Serve un sindacato capace di rappresentare i lavoratori e le lavoratrici, di riorganizzarli per tornare a guadagnare diritti e salario. L’Unione Sindacale di Base lotta e si impegna per questo.

 

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