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Ex Ilva di Taranto. Governo latitante e la fabbrica cade a pezzi

La vicenda ArcelorMittal, dopo la decisione della multinazionale di recedere dall’investimento, appare sempre più nebulosa e di difficile comprensione. Il governo, dopo l’iniziale fermezza contro le arroganti pretese di Mittal, in poche settimane è, purtroppo, sceso a patti con la sottoscrizione, circa un mese fa, di un preaccordo in sede giudiziaria che presupponeva la permanenza di ArcelorMittal nella gestione del gruppo siderurgico ex Ilva.

Tutto faceva presagire una ripresa immediata del confronto sulla vicenda, soprattutto dopo la decisione del Tribunale del Riesame, a nostro giudizio sbagliata, di mantenere in funzione AFO2. Invece silenzio assoluto. Il governo non ha reiterato per tempo i decreti a sostegno dei lavoratori ex Ilva in amministrazione straordinaria, confermando tardivamente l’integrazione salariale ma in assenza del decreto di rinnovo della cassa integrazione per tutto il 2020.

ArcelorMittal persegue indisturbata il suo disegno criminale e speculativo su lavoratori e città, chiede di rivedere in peggio le condizioni salariali, normative e utilizza la cassa integrazione in maniera illegittima, strumentale e discriminatoria. Cancellata dagli onori delle cronache dei mass media, Taranto e i lavoratori dello stabilimento sono tornati a fare i conti con i veleni di sempre e con gravi incidenti quasi quotidiani – come le tre esplosioni di mercoledì 22 – in uno stabilimento che letteralmente cade a pezzi.

ArcelorMittal resta o se ne va? Nessuno è ancora in grado di rispondere a questa domanda. Nemmeno il governo e i commissari straordinari. Il palazzo brancola nel buio più assoluto. Questa situazione surreale testimonia una volta di più la colpevole assenza di una qualsivoglia capacità di programmare la politica industriale, ambientale e occupazionale.

USB, a maggior ragione in questa incredibile situazione, continua a credere che la soluzione per Taranto non sia ArcelorMittal né tantomeno il mantenimento delle produzioni a caldo. A Trieste, poche settimane addietro, è stato definito un accordo di programma per la chiusura dell’area a caldo dell’acciaieria Arvedi.

Un accordo importante che ha messo la parola fine ai veleni sulla città garantendo l’occupazione dei lavoratori. Protagonista lo stesso ministro Patuanelli che si ostina invece a voler mantenere in piedi la produzione a caldo a Taranto, consapevole dell’impossibilità in quella realtà di coniugare lavoro, sicurezza, salute e ambiente.

Occorre un accordo di programma per Taranto che metta in campo risorse ed energie per chiudere le fonti inquinanti, riconvertire il territorio, bonificare, garantendo salario e reddito.

*Usb

 

 

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