C’era una volta una fabbrica. Si potrebbe cominciare il racconto come fosse una fiaba. Ma non lo è. Anzi, ne è l’esatto opposto. Perché lì dove una volta c’era una fabbrica di autobus che sfornava vetture per le nostre città, nella Valle Ufita, terra di contadini nell’avellinese, ora c’è un simulacro.
Quello che una volta era lo stabilimento della FIAT e di cui Marchionne impose la chiusura, oggi ha cambiato nome e partner. Non più Irisbus, ma Industria Italiana Autobus (IIA). Non più la FIAT, ma tre soci: Leonardo, Invitalia e Karsan, produttore turco. Lo Stato, in diverse forme, e il privato. Riconversione industriale la chiamano. Come quella della Ex Embraco nel torinese, per il momento tutt’altro che storia di successo. Come quella che alcuni vorrebbero spacciare per soluzione all’arroganza della Whirlpool a Napoli.
I lavoratori qui a Flumeri dal 2011 a oggi sono scesi da circa 650 a circa 250. Le ore di cassa integrazione non si contano. Molti operai sono costretti alle trasferte. Poche settimane fa, in 15 sono stati spostati a Bologna. In cambio, tramite agenzia interinale, sono stati assunti altri 14 lavoratori, con contratti di pochi mesi, guarda caso a poca distanza dalle elezioni regionali.
Industria Italiana Autobus sarebbe dovuto essere e dovrebbe tutt’ora essere il polo italiano della produzione di autobus. I progetti scritti su carta, però, sono già sbiaditi. Le linee di produzione che sarebbero dovute essere attive nel 2019 sono ancora un miraggio. Un serio progetto industriale non si intravede all’orizzonte. Nello stabilimento ci piove. I bagni sono spesso in condizioni più che fatiscenti. Le minime condizioni di sicurezza non sono rispettate. Eppure tutto tace. O quasi.
Perché oggi, dopo 8 anni dall’ultima “apparizione”, è tornato il fantasma dello sciopero anche alla IIA. Un’ora, tra le 16 e le 17, perché, come scrivono gli operai, “la dignità non si perde per niente e per nessuno!”.
In tempi difficili, uno sciopero per la sicurezza è tutt’altro che banale e scontato. A maggior ragione, nostro compito deve essere la costruzione di comunità politica e sociale intorno a questi lavoratori e a queste lavoratrici. Il loro coraggio deve darne anche a noi. La loro voce diffusa oltre i cancelli di uno stabilimento.
Qui non si lotta “solo” per il lavoro. Si lotta affinché si sappia quello che succede nelle nostre fabbriche, affinché nessuno possa dire che non sapeva, affinché il futuro non sia desertificazione ed emigrazione, ma produzione per i bisogni del nostro popolo. E autobus efficienti e puliti servono nelle nostre città quasi più del pane.
*Potere al Popolo
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Giovanni
Le motivazione per la dichiarazione di sciopero ci sta tutta .la cosa che non mi piace , è la firma (potere al popolo) troppo generica . sarebbe stato meglio i lavoratori.poi mi chiedo ma il sindacato dove? E’ impegnato a fare le liste per l’assunzioni.
Redazione Contropiano
Non è il giusto atteggiamento nei confronti di un momento di lotta… CgilCislUil fanno schifo, naturalmente, ma non è questo il punto in questo caso…