“Abbiamo complessivamente ricevuto 96 telefonate e una decina di mail, provenienti dalle seguenti città: Torino (19), Napoli (18), Roma (16), Milano (6), Genova (5) Verona (2), Siena (2), Venezia (2), Lecce (2), Parma (2), Bologna, Teramo, Brescia, Lucca, Campobasso, Potenza, Pisa, Ragusa, Pescara, Bergamo, Modena, Firenze, Como, Livorno, Cagliari, Trieste, Frattamaggiore (NA), Fermo, Busto Arsizio (VA), Correggio (RE), Marano (NA) e Orta di Atella (CE).
SETTORI DI IMPIEGO
Le lavoratrici e i lavoratori che ci hanno contattati svolgono prestazioni lavorative nei seguenti settori di attività:
Metalmeccanico (7), Ristorazione (8), Alimentari – Commercio (2), Cooperazione sociale – associazionismo (15), Servizi (14) – Call centre (7), Commercio – distribuzione al dettaglio (10), Distribuzione all’ingrosso (1), Studi professionali privati (6), Artigianato (2), Bancario/Assicurativo (1), Turismo (5), Domestico (in nero) (1).
PRINCIPALI PROBLEMI SEGNALATI
Le segnalazioni e le richieste di consulenza hanno avuto ad oggetto le seguenti problematiche:
1) Dispositivi di sicurezza, mancata sanificazione, distanze di sicurezza (34);
2) Smart working, ferie forzate, permessi, CIG in deroga, altri strumenti di tutela in caso di chiusura di attività (49);
3) Spostamenti e autocertificazione (7);
4) Tutela per finte partite IVA, Co.co.co e Lavoratori a nero (5);
5) Licenziamenti e mancate assunzioni (3);
6) Altro (ammonizioni per rifiuto di svolgere attività; pretesa a svolgere mansioni diverse; riduzione orario lavorativo e riduzione retribuzione; imposizione di straordinario) (8).”
QUALCHE RIFLESSIONE
La prima riflessione è sulla quantità di telefonate che abbiamo ricevuto. Al di sopra delle nostre aspettative iniziali. Dimostra la bontà dell’intuizione che hanno avuto innanzitutto i compagni di Torino e che abbiamo avuto la capacità collettiva di trasformare in iniziativa nazionale. I numeri esprimono un’esigenza che, per quanto non univoca, evidenzia il disorientamento di un bel pezzo dei “nostri” dinanzi a una situazione assolutamente eccezionale e alla quale nessun soggetto, amico o nemico, è arrivato “pronto” (traiamo una lezione anche da questo, perché a situazioni del genere non si arriva mai “pronti”).
Le telefonate ci arrivano quasi da tutto il territorio nazionale. A essere escluse poche regioni. Mi pare che laddove la promozione è stata più martellante abbiamo avuto i riscontri migliori e la stampa locale è servita da moltiplicatore (chiediamo sempre anche come siano venuti a conoscenza del “Telefono Rosso” e, soprattutto per il Piemonte, sono diversi i casi di persone che hanno letto dell’iniziativa sul giornale locale); in generale, è visibile una sproporzione tra Nord e Sud del Paese, con pochissime telefonate a Sud di Napoli. Le ipotesi che potremmo fare sul perché sono differenti, andranno vagliate nel corso dei prossimi giorni/settimane.
Altro dato che salta agli occhi, soprattutto per chi è stato impegnato nelle Camere Popolari del Lavoro, è che a chiamare non sono solo i lavoratori più precari o quelli a nero, quelli, insomma, che lavorano in luoghi dove il sindacato arriva meno o è del tutto assente. Telefonate, ad esempio, sono arrivate dalle fabbriche, e anche per quelli dei servizi in molti casi parliamo di “terziario avanzato”: in alcuni casi per l’assenza di un riferimento sindacale; in altri perché invece il sindacato si stava comportando, a detta della lavoratrice o del lavoratore, come un ostacolo anziché come una risorsa. Nel concreto significa che, dinanzi alle rimostranze di uno o più lavoratori, si invitava alla calma, ad avere pazienza, a non esagerare.
MALATTIA
Un aspetto qualitativo che non emerge dalle telefonate, dagli “input”, ma dalla discussione che si è venuta a creare o dagli “output”, cioè dai “consigli” che sono stati dati, è che moltissime lavoratrici e lavoratori hanno scelto di difendersi attraverso lo strumento della “messa in malattia”. Di fronte all’incertezza, alla mancanza di fiducia nei confronti del datore di lavoro – e anche del governo, e in molti casi dinanzi alla mancanza di copertura sindacale, si è spesso preferita la via di fuga individuale. Una forma di protesta sotterranea e non pubblica, ma che potrebbe aver acquisito / acquisire una dimensione di massa. In fondo il ricorso alla malattia è sempre stata una delle “armi dei deboli”, per usare un’espressione della sociologa statunitense Beverly Silver.
Sarebbe importante sottolineare dunque l’importanza del diritto alla malattia retribuita, come misura di salvaguardia individuale e collettiva allo stesso tempo, legandolo al diritto a contratti non precari (visto che se sei costantemente a rischio di mancato rinnovo sarai più portato ad andare a lavorare anche da malato, mettendo a repentaglio la salute di chi ti sta accanto), e ricordando il costante attacco cui è stato sottoposto (si pensi alla Brunetta).
SALUTE E SICUREZZA
Chiaramente la preoccupazione in cima alla classifica è in questo momento quella relativa a salute e sicurezza. Non mi dilungo su questo se non per rilevare che emerge in moltissimi lavoratori e lavoratrici una rabbia acuta nonché la consapevolezza di quanto falsa sia l’affermazione “siamo sulla stessa barca”. Di fronte all’emergenza in molti di rendono conto di essere carne da cannone. Non è una metafora qualsiasi; molti si percepiscono come in guerra e come nelle guerre del Novecento osservano che loro sono al fronte, dinanzi a ogni pericolo, tranquillamente sacrificabili. In alcuni luoghi di lavoro ci viene per di più segnalato che imprenditori e manager se ne stanno tranquillamente a casa, evitando come la peste l’aria degli uffici e degli stabilimenti. Il solito coraggio italico.
BLOCCO DI TUTTE LE ATTIVITA’ NON NECESSARIE
L’altro aspetto qualitativo è la quasi unanimità di consensi di fronte alla rivendicazione del fermo immediato di tutte le produzioni e attività NON essenziali alla lotta al coronavirus. Non solo perché è considerato dai lavoratori e dalle lavoratrici che ci hanno chiamato come uno strumento di difesa delle proprie condizioni di salute, ma perché è ritenuta l’arma attraverso cui proteggere la comunità tutta.
FERIE FORZATE
Chiunque ci abbia chiesto informazioni sulle ferie considera le “ferie forzate” che le imprese stanno imponendo come odiosa: un sacrificio ingiusto, perché sbilanciato a discapito solo dei lavoratori. Anche su quest’elemento è utile chiaramente battere per polarizzare la situazione, rendendo palese come di fronte alla crisi si sta cercando di scaricare il costo su lavoratori e lavoratrici del Paese, cercando di tutelare e preservare – nei limiti del possibile – le imprese.
SMART WORKING
Infine – ma solo per il momento, perché gli spunti potrebbero essere molti molti di più, tutte e tutti spingevano per ottenere lo smart-working, mezzo per evitare di essere sottoposti al rischio contagio. In molti casi questa rivendicazione ha incontrato l’opposizione degli imprenditori. Tra le motivazioni opposte sia quelle di carattere tecnico (impossibilità di attrezzarsi in questa direzione) sia quelle di carattere culturale/politico: il caso più esplicito è quello di una lavoratrice cui lo smart working è stato negato “perché a casa rendereste un 30% in meno”. Vero o falso che sia il dato offerto da quest’imprenditore, è significativo della tendenza al controllo diretto della forza-lavoro che molti imprenditori – soprattutto quelli delle piccole e piccolissime imprese a conduzione familiare – hanno come “marchio di fabbrica”.
Lo strumento dello “smart working”, ora visto come arma nelle mani del lavoratore, ha tantissimi elementi negativi, che non lo configurano affatto come strumento a favore dei “nostri” – come ha spiegato Viola in una sua diretta di qualche giorno fa. Tuttavia, dobbiamo fare i conti col fatto che oggi quasi tutti lo vedono di buon occhio e col fatto che la sua utilizzazione potrebbe essere molto più estesa e strutturale nel futuro prossimo. Dobbiamo dunque attrezzarci.
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