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Blocco dei salari. Draghi pensa alla “soluzione finale”

Sotto la cappa di piombo della guerra, il governo Draghi può tranquillamente preparare autentici golpe economoci e sociali, senza che nessuno ne sappia nulla fin quando non si vedono davanti agli occhi. Perché finalmente approvati da un Parlamento ridotto a schiacciabottoni.

Alcune notizie vengono comunque fuori, quasi per sbaglio o per disattenzione.

A Repubblica, ieri, il segretario della Cgil ha rilasciato un’intervista in cui si dichiara indisponibile a firmare un “blocco dei salari”. Il problema è semplice: nessuno sapeva che il governo (su richiesta, consiglio o ordine di Confindustria) stesse preparando un decreto per impedire che i salari e le pensioni vengano adeguati all’inflazione.

L’obiettivo è chiaramente criminale. Con un’inflazione accertata, nel mese di marzo, al 6,7% (quella europea è anche più alta, al 7,5), bloccare i salari significa togliere potere d’acquisto – in proporzione – a lavoratori e pensionati.

Per fare un esempio semplice: un modesto salario da 1.000 euro al mese permette già oggi di acquistare merci e servizi (le bollette!!) che prima compravamo con 930 euro. In pratica è come se salari e pensioni venissero abbassati a velocità crescente (l’inflazione sta salendo per tutte le merci, a partire dall’aumento dei prezzi energetici, che entrano nella formazione del prezzo di qualunque cosa).

Con il blocco dei salari, insomma, si fa costare di meno il lavoro disponibile per le imprese. Le quali, naturalmente, sono libere di scaricare sui consumatori – dunque anche sugli stessi lavoratori – gli aumenti delle materie prime che trasformano (petrolio, gas, grano, metalli, ecc).

Traduciamo. In presenza di un’inflazione galoppante un “blocco dei salari” serve a garantire soltanto i profitti delle imprese. Per chi lavora, o a maggior ragione per disoccupati, ecc, c’è un impoverimento drastico.

C’è da aggiungere che, sul piano macroeconomico, si tratta anche di una mossa idiota. Meno potere d’acquisto per lavoratori e pensionati significa meno consumi. E quindi minori vendite per le imprese. Un circolo vizioso che alla fine non torna a vantaggio neanche di chi pensa di guadagnarci (o meglio: molte imprese dovranno chiudere, alcune faranno più profitti).

Una misura del genere – criminale e ingiusta, ripetiamo – avrebbe un qualche senso economico se fosse davvero possibile prolungare il modello mercantilista che si è imposto in Europa a partire dal crollo dell’Unione Sovietica, e che ha sostituito il “modello sociale europeo” di stampo socialdemocratico.

Nel mercantilismo, infatti, la crescita deve essere trainata dalle esportazioni. Dunque i salari bassi sono “utili” – sul piano macroeconomico – perché non sono i lavoratori di quest’area a dover/poter comprare le merci che vengono prodotte qui, ma ignoti acquirenti di altre aree del mondo.

E’ un modello che presuppone la “globalizzazione”, ovvero catene del valore estese senza ostacoli su tutto il pianeta, con un mercato reale rappresentato da tutti i paesi del mondo.

Il problema è che questo modello, già in crisi da oltre dieci anni, è definitivamente morto con la guerra. Le sanzioni, infatti, fatte per “isolare la Russia” e i paesi che mantengono relazioni commerciali con Mosca, di fatto creano “aree reciprocamente separate” quanto a penetrazione commerciale, monetaria, ecc.

Insomma: ora se il capitale occidentale vuole continuare a “crescere” deve creare un mercato interno (all’area euroatlantica, quanto meno) in grado di assorbire la propria produzione, visto che con una parte del mondo non si può più commerciare.

Per creare questa “domanda interna”, logicamente, bisognerebbe alzare i salari anche al di sopra dell’inflazione, in modo che chi lavora, i pensionati, ecc, possano acquistare ciò che viene prodotto qui.

Ma questo deprimerebbe un po’ (neanche di moltissimo…) i profitti aziendali sensibili soprattutto alle “relazioni trimestrali” da presentare al mercato per far salire le quotazioni di borsa.

Il governo Draghi è però esattamente un governo criminale che si muove nel solco di una stagione finita. Un governo che, come i tossicodipendenti, di fronte a una crisi di astinenza non sa far altro che aumentare la dose della stessa droga. La fine è nota…

Un’ultima annotazione. L’unico esempio storico, in Italia, di “blocco dei salari” risale a Mussolini e al fascismo. Non male per un governo con tutti dentro (anche la Meloni, che recita il ruolo di “dissenso autorizzato e responsabile”) che ci vuole portare in guerra per “difendere i valori della democrazia”.

E che intanto taglia la spesa pubblica per sanità e scuola perché deve obbedire al diktat euroatlantico: aumentare le spese militari…

Qui di seguito la nota di Usb, che ha notato la stessa notizia, sia dal punto di vista sindacale che per la sua connessione con la guerra.

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Landini ci informa che Draghi vuole bloccare i salari, la risposta è ambigua e insufficiente

Dall’intervista di Landini a La Repubblica il grande pubblico scopre che siamo alla vigilia di una nuova richiesta del governo di accollare ai lavoratori il costo della crisi internazionale, operando ancora una volta su salari e pensioni.

Un nuovo “patto sociale” – o “accordo”, come preferisce chiamarlo Landini, anche se la sostanza rimane identica – attraverso cui decidere quanta parte di sacrifici per contenere la crisi debba essere accollata ai lavoratori.

La risposta di Landini, dura nella forma, è debolissima nella sostanza.

Non una parola sulla guerra, sulla scelta del governo e dell’Unione Europea di prendere parte a un conflitto che ogni giorno di più si sta configurando come devastante per le popolazioni e per gli equilibri politici e geoeconomici mondiali.

Non una parola per fermare il conflitto, fermare l’invio delle armi dal nostro Paese e dai Paesi europei all’Ucraina che alimentano una guerra per procura che sta facendo e farà danni incalcolabili sia sul terreno di battaglia che sul fronte interno, quello delle condizioni di vita delle masse popolari e dei lavoratori, in primis dell’Ucraina e della Russia ma anche, e già se ne vedono i primi effetti, di tutti i Paesi europei.

Il costo della vita, già impennatosi prima dell’avvio del conflitto per lo spropositato aumento delle fonti energetiche, sta diventando insostenibile a causa delle sanzioni imposte alla Russia, e quindi dell’aumento dei costi dell’approvvigionamento dei beni e servizi per i paesi che le applicano.

I prezzi di generi alimentari, benzina, beni di prima necessità e materie prime stanno schizzando in alto ogni giorno di più mentre i salari sono fermi e non tengono l’aumento dei costi.

La scomparsa del meccanismo di adeguamento dei salari al carovita, voluto dal padronato e concesso graziosamente da Cgil Cisl Uil ha prodotto un impoverimento di massa che pone il nostro Paese agli ultimi posti in Europa per capacità di tenuta dei salari di fronte all’inflazione e alle fluttuazioni delle dinamiche economiche, sempre esposte agli avvenimenti geopolitici come sta avvenendo in questo frangente.

La scelta di avere un meccanismo europeo, l’Ipca, di relativo controllo dell’aumento del costo della vita senza considerare il peso dell’aumento proprio del costo dell’energia, è stato un cedimento gravissimo degli stessi che oggi lo ritengono inadeguato, accettato nonostante fosse chiaro a tutti che quel meccanismo avrebbe prodotto un arretramento fortissimo della capacità dei salari di adeguarsi al carovita.

È a dir poco inaccettabile che Landini oggi riparta proprio da un “piano energia” per avviare la discussione con il governo.

Non ci può essere alcun confronto serio senza la fuoriuscita immediata dell’Italia dalla guerra, senza un intervento deciso e definitivo attraverso la ripubblicizzazione delle aziende che producono e distribuiscono gas ed energia elettrica che solo può calmierare i prezzi riportandone il controllo sotto l’egida pubblica.

Non ci può essere nessun confronto che non parta dall’introduzione di un salario minimo di almeno 10 euro l’ora previsto per legge per chiunque lavori, affiancato da un reddito di cittadinanza senza condizionalità per chi non ha lavoro e da un blocco degli sfratti per chi non è più in grado di pagare affitti senza controllo, ma soprattutto serve un aumento immediato dei salari e delle pensioni che sono oggi al minimo storico rispetto a tutto il resto d’Europa.

Insomma, abbassare le armi e alzare i salari, come giustamente chiedono con forza quelli, gli operai, i braccianti, i facchini della logistica, i portuali e tutti coloro che approfitteranno dello sciopero del 22 aprile per portare in piazza a Roma la propria rabbia e la determinazione a tornare ad essere protagonisti della ripresa di un forte e determinante movimento di classe senza delegare a nessuno, tanto meno a Landini & co. la gestione delle loro vite.

Unione Sindacale di Base

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