Sono oltre centomila le Lavoratrici e i Lavoratori che nel nostro Paese sono chiamati a svolgere il proprio compito nel complicato, quanto essenziale, comparto della vigilanza privata. Guardie Giurate e addetti dei Servizi fiduciari che ogni giorno silenziosamente garantiscono il perfetto funzionamento dei più svariati servizi essenziali per la comunità.
La sicurezza degli Istituti di credito, degli Ospedali, degli Enti Pubblici, dei siti di interesse strategico come i porti, gli aeroporti, le grandi stazioni ferroviarie, oltre che di innumerevoli beni pubblici e privati, è affidata a queste figure professionali che, seppur specializzate, non trovano ancora una corretta dimensione contrattuale e, ancor prima, normativa.
Soggetti che il nostro ordinamento giuridico ha classificato come “Incaricati di Pubblico Servizio”. Figure professionali ibride che raccolgono in sé i tratti tipici dei dipendenti di aziende private, ma che operano in virtù di titoli di polizia e decreti prefettizi concessi solo a seguito di lunghe e non meno complesse trafile burocratiche.
Un contributo essenziale, quello degli addetti della vigilanza privata, che, però, non ha ricevuto alcuna attenzione né dalla politica – se non in occasione delle tornate elettorali – né dalle Istituzioni rivelatesi sempre sorde e disinteressate alle problematiche rappresentate.
Troppe sono state le richieste e le rivendicazioni rimaste disattese nell’ultimo ventennio. Da ormai sei lunghi anni questo quieto esercito attende un agognato rinnovo del contratto collettivo di settore scaduto nel lontano dicembre 2015.
Dopo innumerevoli incontri, fughe di notizie, rimbalzi e proroghe, lo scorso 21 aprile – dopo l’ultimo incontro tra i sindacati della triplice e le parti datoriali – arriva ancora una fumata nera.
Non il solito teatrino con richieste e il consueto gioco al rimbalzo, ma uno stop deciso da parte dell’associazione datoriale ASSIV che rappresenta – sarebbe meglio dire rappresentava – la maggioranza degli Istituti di vigilanza operanti sul territorio italiano.
È stata la stessa Associazione dei datori di lavoro a far saltare il tavolo della trattativa comunicando ai sindacati confederali di non aver ricevuto dai propri aderenti il consenso a proseguire la trattativa.
Dopo oltre sei anni, il banco salta ed è tutto da rifare. I giochi, però, si complicano perché a questo improvviso colpo di scena si aggiunge la notizia della nascita di un nuovo polo associativo di imprese, ed ulteriore, soggetto datoriale “ANI-Sicurezza”.
La neonata associazione, che vanta tra le capofila due dei maggiori istituti di vigilanza italiani quali Cosmopol S.p.A. e Sicuritalia Ivri S.p.A., si proporrebbe come un soggetto pronto a rappresentare le esigenze di un mercato in continua evoluzione. Così enuncia il comunicato stampa affidato a Confimprese alla quale ANI-Sicurezza aderisce.
Trascorsi, quindi, infruttuosi oltre sei anni dedicati ad un’inconsistente concertazione, i sindacati di CGIL-CISL-UIL chiamano i Lavoratori allo sciopero ed invitano ad una massiccia adesione per la mobilitazione del 2 maggio a Roma.
Di per sé, ciò rappresenterebbe anche il normale divenire di una contrattazione complessa che trova le parti eccessivamente distanti da un punto di convergenza, se non fosse che degli ultimi sei anni di incontri e trattative ai Lavoratori è dato sapere poco o nulla.
Una contrattazione blindata, con comunicati stringati ed ermetici che hanno solamente ribadito la distanza tra le reciproche posizioni senza mai fornire alcuna indicazione circa le proposte avanzate.
Quali le rivendicazioni? Quali le analisi sul settore? Quali le proposte di miglioramento per la categoria?
Sono queste le domande che centomila addetti si pongono da troppi anni. Questa volta, però, ad accogliere la chiamata alle armi e alla manifestazione di piazza – troppe volte strumentale nella forma, nei tempi e nelle modalità – si sono sollevate le voci degli scettici. Tanti sono i commenti che affollano le centinaia di pagine e gruppi sociali, nei quali si delinea sempre di più la spaccatura tra fedelissimi e disillusi. Altrettanti i commenti di sfiducia e di repulsione nei confronti dei richiami alla compattezza, all’unità e alla partecipazione. Una partecipazione mai concessa e quasi sempre pretesa.
D’altronde se il contratto collettivo attualmente in vigore, sottoscritto da chi oggi chiama la piazza, si è reso protagonista di un persistente ricorso al contenzioso – con sentenze che lo hanno perfino definito “incostituzionale” sotto alcuni aspetti e richieste interpretative finanche in Cassazione – significa che il lavoro svolto in questi ultimi venti anni è stato pessimo.
A questo punto i Lavoratori si domandano: scioperare per chi, ma, soprattutto, per cosa? Questo sciopero è chiamato da chi? Da coloro che hanno sottoscritto l’attuale contrattazione? Scioperare per chi? Per chi ha sottoscritto deroghe ai limiti della compressione del riposo giornaliero? Per chi ha previsto la possibilità di comprimere senza limiti il riposo settimanale? Per chi ha previsto la possibilità di negare i permessi (previsti per compensare il dispendio delle energie dovute a sistemi orari infernali)? Per chi ha previsto che un operatore fiduciario possa guadagnare 4 euro lordi l’ora? Gli operatori si domandano: per cosa sono chiamati a scioperare? Per proposte mai conosciute, per rivendicazioni a loro ignote?
Si preannuncia uno sciopero complicato non per le modalità, ma per la composizione degli aderenti e per l’inevitabile strappo che determinerà nel tessuto associativo di cui da tanti anni ormai soffre il settore.
I Lavoratori e le Lavoratrici necessitano di soggetti che possano davvero rappresentare le loro esigenze anche in considerazione dell’aggravarsi della situazione socioeconomica che si staglia sempre più all’orizzonte e per la quale necessitano di risposte concrete, proposte efficaci e del ritorno ad una partecipazione che venga dai Lavoratori e non calata dalle poltrone dirigenziali.
Ci si domanda se le Organizzazioni proclamanti questo sciopero saranno in grado di assolvere il loro più arduo compito: rappresentare i Lavoratori. A questa diffidenza si contrappone sempre più l’affermarsi di Organizzazioni differenti per struttura, filosofia e modalità di azione. Sindacati di Base che raccolgono le richieste e le esigenze della classe lavoratrice direttamente dai luoghi di lavoro, dalle strade, dalle assemblee.
Un ritorno all’essenza del sindacato e dell’associazionismo e, soprattutto un ritorno al conflitto. Quello sano, quello di classe, quello che ricerca il meglio per la classe che rappresenta.
Il sindacalismo che non diventa mera attesa, sterile accompagnamento delle scelte altrui o sorda amministrazione del potere. Serve un ritorno alla contrattazione, quella autentica.
Il prossimo 2 maggio ci dirà se i centomila Lavoratori e Lavoratrici avranno deciso di rinnovare la fiducia ai sindacati della triplice o se avranno sentenziato una sfiducia e scelto la via del cambiamento.
* USB Piemonte
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