ll terribile attentato terroristico al teatro di Mosca che ha prodotto, per ora, oltre 140 morti e 100 feriti, rappresenta l’ennesimo tassello di un escalation militare che sta avvicinando sempre più il mondo verso il baratro della terza guerra mondiale.
Tralasciando in questa sede qualsiasi ipotesi sui presunti responsabili della strage, ciò che si rileva é senza dubbio il ruolo incendiario che gli Usa, la Nato e l’Unione europea stanno giocando in questa vicenda.
Le conclusioni del recente vertice dei capi di Stato e governi europei tenutosi a Bruxelles lasciano d’altronde poco spazio a ogni dubbio e accelerano sul versante del coinvolgimento sempre più diretto dell’Unione europea sul fronte del conflitto in Ucraina e non solo.
Una accelerazione che dal punto di vista militare segna un pericolosissimo innalzamento del rischio di un conflitto mondiale, ma che produce conseguenze sempre più drammatiche anche sul fronte interno.
Il coinvolgimento del nostro paese nei vari teatri di guerra, dal conflitto ucraino con il rifinanziamento dell’invio di armi, all’appoggio al genocidio che si sta perpetrando in Palestina sino alla missione Aspides nel mar Rosso, delineano una vera e propria economia di guerra sull’altare e in nome della quale deve essere intensificato l’attacco al salario e alle condizioni di vita di milioni di lavoratrici e lavoratori.
É quindi evidente, ora più che mai, il nesso che lega la prosecuzione delle politiche di guerra al peggioramento delle condizioni sociali del paese e alla restrizione di ogni spazio di agibilità politica e sindacale.
Una recente analisi di Eurofound, l’agenzia dell’Unione europea per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro, ha fatto il punto sull’aggiornamento dei salari minimi nei 22 Stati che li hanno adottati e sui risultati della contrattazione collettiva degli altri.
Ebbene, mentre in diversi paesi si sta intervenendo sui minimi salariali anche con aumenti nel 2024 a doppia cifra e comunque superiori all’inflazione, nel nostro paese, sprovvisto di una legge sul salario minimo, l’alto tasso di inflazione ha letteralmente divorato i miseri risultati della contrattazione collettiva degli anni precedenti, con le parti datoriali che già annunciano l’indisponibilità in questa tornata contrattuale ad adeguare i salari al già misero indice Ipca.
In questo contesto l’apertura della stagione contrattuale che attraversa la categoria del pubblico come quella dei settori privati e che nelle intenzioni del governo si vorrebbe fortemente condizionata e subordinata all’economia di guerra, deve divenire invece l’occasione per ribaltare lo schema.
Forti aumenti salariali, ripristino della scala mobile, riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario e tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro, costituiscono una piattaforma rivendicativa unificante capace di rompere il binomio guerra/attacco ai salari e alle condizioni di vita.
Ora più che mai quello slogan “Abbassate le armi, alzate i salari” che ha animato tante mobilitazioni in questi anni, deve entrare nei luoghi di lavoro e orientare la nostra iniziativa sindacale a partire dalla partita che si giocherà da subito con i prossimi rinnovi contrattuali.
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