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“Il datore di lavoro sempre responsabile per la mancanza di sicurezza”

Affinché si possa combattere con maggiore efficacia il fenomeno degli incidenti sul lavoro è necessario che «il datore, o il consiglio d’amministrazione nei casi di società, sia individuato sempre quale responsabile nei processi penali»: lo ha detto martedì il pm Raffaele Guariniello intervenendo a Torino al convegno sulla sicurezza sul lavoro organizzato in occasione del quarto anniversario della strage della ThyssenKrupp. «Il non sapere del datore di lavoro è di per sé un fattore di colpa» ha detto il magistrato, secondo il quale per ridurre drasticamente il numero degli infortuni e delle malattie professionali sono necessarie «tre condizioni irrinunciabili». La prima è «una profonda diffusione della cultura della sicurezza tra i datori di lavoro, i sindacati, gli stessi lavoratori, chi fa i controlli e la magistratura». La seconda è «la celebrazione dei processi e il fatto che questi siano celebrati con celerità, in modo che nessuno resti impunito». La terza è «l’individuazione dei responsabili della sicurezza nelle aziende sempre nel datore di lavoro, o nel consiglio d’amministrazione nel caso di società impersonali, anche quando vi siano nominati altri responsabili. Il datore di lavoro è, infatti, responsabile di tutte le scelte di politica aziendale, ivi comprese quelle che riguardano la sicurezza». Durante il convegno è stata più volte evidenziata la necessità di costituire una Procura nazionale sulla sicurezza sul lavoro, proposta avanzata in passato dallo stesso Guariniello e sostenuta da numerosi comitati sorti in questi anni in tutta Italia.

La magistratura, al contrario della politica e dei media, sembra essere particolarmente attiva in tema di contrasto alla mancanza di sicurezza negli ambienti di lavoro. “Il tenore di vita nel Paese di provenienza dell’infortunato non può essere elemento distintivo nel calcolo del danno, perché così operando si giustificherebbero differenti criteri di risarcimento per cittadini e stranieri, in relazione al loro luogo di residenza, con la creazione di una sorta di ‘gabbie risarcitorie? del dolore». Lo afferma il
tribunale civile di Treviso in una sentenza relativa a una richiesta di danni avanzata da un lavoratore macedone rimasto paralizzato per la caduta da un tetto nel luglio del 2007, «con effetti, oltre che di possibile ingiustizia, di pericolosa incertezza sul complessivo piano giurisprudenziale». Il tribunale civile ha riconosciutoall’operaio
un danno di 767.159 euro, respingendo le eccezioni delle compagnie di assicurazione secondo le quali la valutazione del risarcimento doveva essere parametrata al costo della vita in Macedonia. «Il luogo in cui il danneggiato vive – è detto ancora nella sentenza firmata dal giudice Massimo De Luca – e in cui utilizzerà forse il denaro ricevuto
a titolo di risarcimento è circostanza successiva, esterna e del tutto estranea al predetto danno, quantificazione che va operata secondo i parametri economici comunemente usati e quindi sulla base del potere d’acquisto medio, nel tempo e nel luogo in cui il giudice si pronuncia».

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