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Processo Eternit: la rabbia delle vittime contro i miliardari assassini


Stamattina sono arrivati a centinaia da varie località italiane, ma anche dalla Francia e dal Belgio, al Palazzo di Giustizia di Torino, per l’apertura del processo d’appello ai vertici della multinazionale Eternit. Solo da Casale Monferrato, la città piemontese dove la multinazionale dell’amianto aveva la filiale più importante, sono arrivate su sette pullman almeno 500 persone. Altri sono arrivati da Reggio Emilia, visto che a Rubiera c’era un altro stabilimento che ha seminato – e continua a seminare – morte e disperazione. I francesi e i belgi sono attivisti dei comitati in difesa dei parenti delle vittime dell’amianto lavorato nei loro paesi dagli stabilimenti controllati dai dirigenti dell’azienda condannati in primo grado e da oggi di nuovo alla sbarra: ”Da noi in Francia – ha detto un portavoce in un comizio improvvisato davanti ai cancelli – il giudice che si occupava del problema è stato trasferito contro la sua volontà. E’ grave. Chiediamo al ministero di rimediare. Non vogliamo vendetta ma giustizia”.

“Ci aspettiamo con tutto il cuore che la giustizia italiana confermi la condanna di primo grado” e “chiediamo allo Stato Italiano di aiutare le vittime e le loro famiglie a ricevere gli indennizzi che le sono dovute; alla giustizia francese di cercare e di giudicare i responsabili” ha detto un rappresentante delle vittime francesi. In Belgio invece “nel processo civile riguardante l’amianto – ha spiegato uno dei rappresentanti delle associazioni di Bruxelles – Eternit si é appellata alla condanna già comminata nel novembre 2011. Noi ci aspettiamo che la giustizia belga ascolti la voce delle vittime e condanni la multinazionale responsabile”.

Da parte sua Bruno Pesce, dell’Afeva (l’associazione di Casale Monferrato) ha spiegato: ”con la nostra presenza dimostriamo che la democrazia non è una scatola vuota ma è partecipazione”. I rappresentanti delle associazioni delle vittime – l’Afeva, l’Andeva e l’Abeva – in un comunicato  chiedono “allo Stato e ai magistrati di rispettare le sofferenze delle vittime dell’amianto e delle loro famiglie” che “non vogliono solamente essere indennizzati, vogliono giustizia”. 

Dato l’altissimo numero di testimoni e parti civili, oltre che di avvocati, l’udienza si è celebrata in una delle maxi aule al piano interrato e i manifestanti hanno potuto seguirla in videoconferenza dalla maxi aula attigua e dall’aula magna. 

Ad un anno dalla sentenza di primo grado, quindi, si è aperto questa mattina il processo d’appello al miliardario svizzero Stephan Schmidheiny e al barone belga Louis De Cartier condannati in primo grado a 16 anni per disastro ambientale doloso e omissione dolosa di cautele antifortunistiche in un processo che riguardava i morti e i malati prodotti dagli stabilimenti italiani del gruppo. Come era già spesso capitato durante il primo processo, anche oggi i due imputati non si sono presentati in aula. Pertanto il presidente della Corte, Alberto Oggè, in apertura di udienza ha dichiarato la contumacia per tutti e due. Il giudice, affiancato da Elisabetta Barbero e Flavia Nasi come giudici a latere, ha anche autorizzato le riprese televisive del processo richiamando non solo il dovere di cronaca ma anche l’interesse sociale particolarmente rilevante alla conoscenza del dibattimento. A sostenere l’accusa ci sono di nuovo i pm Raffaele Guariniello, Gianfranco Colace e Sara Panelli. I familiari delle vittime dell’amianto indossavano tutti magliette e reggevano ciascuno un cartello giallo con la scritta ‘Strage Eternit: giustizia!’, ed hanno esposto in aula alcune bandiere italiane con la scritta ‘Eternit: giustizia!’.

C’è molta rabbia tra i familiari dei lavoratori morti o ammalatisi di mesotelioma nel corso dei decenni per il fatto che i due miliardari, nonostante la condanna e l’obbligo di pagamento dei risarcimenti, non hanno mai ubbidito.

Da parte sua la Guardia di finanza ha iniziato una serie di accertamenti sul patrimonio della holding Eternit e sui beni dei due condannati con l’obiettivo di verificare l’ammontare dei beni che si devono rendere disponibili per i pagamento degli indennizzi alle parti civili. La sentenza di primo grado aveva condannato gli imputati a risarcire i danni per una cifra complessiva di 98 milioni di euro ma le parti lese continuano ad essere costituite perche’ lamentano di non essere state ancora pagate. 

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