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Strage Eternit, 16 anni non possono bastare

Davanti ai giudici della Corte d’appello il rappresentante della pubblica accusa ha preso ieri la parola e ha quantificato la sua richiesta di condanna per i vertici della multinazionale dell’amianto, il magnate svizzero Stephan Schmidheiny e il barone belga Louis De Cartier.

Venti anni, quattro in più di quelli inflitti ai due dal tribunale al processo di primo grado. ”Tutte le tragedie sono grandi – dice Guariniello – ma una così non l’avevo mai vista”. Migliaia di persone morte o ammalate a causa dell’amianto lavorato nelle fabbriche di Casale Monferrato (Alessandria), Cavagnolo (Torino), Rubiera (Reggio Emilia) e Bagnoli (Napoli). Migliaia di lavoratori, le loro mogli e figli, cittadini ignari che abitavano nelle città invase dalle polveri killer. Un disastro ambientale doloso, come recita il capo d’accusa, che ”si sta ancora consumando ai danni di tutti noi” perché il flagello dei tumori continua a colpire e a provocare malattie e decessi. E lo farà ancora per molti anni, visto che né le aziende che hanno realizzato profitti stellari nonostante fossero a conoscenza della tossicità dei materiali che lavoravano, né le amministrazioni pubbliche, sembrano intenzionate a investire fondi ed energie nella bonifica dei territori e degli edifici contaminati.

A Bagnoli e a Rubiera il tribunale aveva dichiarato la prescrizione del reato, ma ora l’accusa chiede che quella decisione venga rivista. Secondo il pool dei pm (l’accusa schiera anche Sara Panelli, Gianfranco Colace ed Ennio Tomaselli) la responsabilità ultima non è dei capi e capetti locali, ma evidentemente del vertice della grande società.

”Non siamo in presenza di eventi sporadici, di carenze occasionali. Siamo in presenza di carenze strutturali, di scelte aziendali improprie, di scelte di carattere generale rispetto alle quali nessuna capacità di intervento si può attribuire ai dirigenti italiani”, ha detto Guariniello,  cominciando la sua requisitoria. ”Quando sento dire che questi signori che lavoravano l’amianto affermano che non ne sapevano nulla dei rischi, mi viene da sorridere amaramente”, ha sottolineato il Pg, ricordando nel corso della sua requisitoria la ”giurisprudenza ricchissima” sull’amianto, anche da parte della Corte di Cassazione.

”Non siamo al cospetto di un’officina metalmeccanica – spiega Guariniello – ma di una multinazionale con un’altissima capacità economica che per anni ha negato la pericolosità dell’amianto ed é stata mossa da una volontà precisa di proseguire la produzione ad ogni costo. Il disastro é frutto di queste politiche portate avanti non solo in Italia, ma anche altrove”. De Cartier, ora novantaduenne, é l’unico degli amministratori dell’epoca dei primi anni Settanta ancora in vita; Schmidheiny, 66 anni, oggi è uno degli imprenditori più ricchi del mondo. E nel corso degli ultimi anni ha cercato di rifarsi una “verginità” finanziando e patrocinando alcune campagna a sostegno dell’ambiente e dello sviluppo sostenibile. Ma per Guariniello ”dietro l’attività filantropica nascondeva l’attività lobbistica e di spionaggio, per evitare di rispondere delle sue condotte davanti alla giustizia”. Il riferimento é ai tentativi di minimizzare pubblicamente i rischi dell’amianto e di raccogliere informazioni sui movimenti dei magistrati e dei comitati dei cittadini costituitisi in diverse località: una pratica che di recente ha portato l’Ordine dei giornalisti del Piemonte a radiare una pubblicista che per conto di un’agenzia milanese ”monitorava” la zona di Casale Monferrato e riferiva ai due accusati. Nelle prossime settimane la parola passerà alla difesa, che si farà forte degli investimenti sulla sicurezza eseguiti dalla Eternit alla fine degli anni Settanta, sul ruolo defilato di De Cartier nella gestione dell’impresa e sull’impossibilità di considerare Schmidheiny l’unico colpevole di un dramma di portata mondiale. I giudici dovranno anche sciogliere una serie di nodi sulla costituzionalità e sulla competenza per territorio e per materia.

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