Sono state depositate le motivazioni della sentenza di primo grado del processo sulla morte di Giuseppe Uva. Il giudice Orazio Muscato, estensore della sentenza, riassume in un dispositivo di sessanta pagine le fasi salienti nelle quali si è articolato questo difficile e interminabile processo.
Il 14 giugno 2008 Giuseppe Uva morì presso l’ospedale Circolo di Varese, dove era ricoverato in seguito a un trattamento sanitario obbligatorio. Poche ore prima era stato tratto in arresto dai carabinieri, insieme al suo amico Alberto Biggiogero, e trattenuto in caserma per almeno tre ore.
Tre ore durante le quali, almeno a livello formale e processuale, non è mai stato chiarito cosa sia accaduto. Il processo sulla morte di Uva si articolò su presunte colpe mediche, e vedeva imputati gli psichiatri Carlo Fraticelli, Matteo Catenazzi ed Enrica Finazzi, con l’accusa di omicidio colposo. La tesi dell’accusa era che Giuseppe fosse morto per l’interazione tra i farmaci sedativi somministrati in ospedale e il suo pregresso stato di ubriachezza. Ci sono voluti quattro anni di processo per dimostrare l’insussistenza di tale impianto accusatorio. Quattro anni di battaglie legali, condotte dalle parti a suon di perizie e consulenze mediche. Un lunghissimo percorso tecnico-scientifico che ha toccato la fase di maggior delicatezza nel momento in cui il giudice ha disposto la riesumazione della salma di Uva.
Le perizie post-riesumazione hanno decretato una svolta decisiva e risolutoria all’intera vicenda, consentendo al giudice di trarre conclusioni che parevano ovvie a tutti, tranne alla pubblica accusa rappresentata dal PM Abate.
Scrive il giudice Muscato:
“Invero nel corso del dibattimento è emerso come l’ipotesi accusatoria poggiasse su basi talmente fragili da rendere francamente impossibile un qualsivoglia fondato giudizio sul merito dell’accusa (e tanto più improponibile un giudizio di colpevolezza), mentre, d’altro canto, rimanevano oscure le ragioni per le quali un soggetto di soli 43 anni, non affetto da alcuna significativa patologia nota, potesse essere giunto a morte a poche ore di distanza dal “trattenimento” operato nei suoi confronti dalle Forze dell’Ordine”.
L’apporto dei consulenti medici di parte civile – come il prof. Vittorio Fineschi, convocato dall’avvocato Fabio Anselmo per esprimersi sulle consulenze redatte dai medici della pubblica accusa – si rivela passo dopo passo determinante:
“Fineschi […] ha ribadito il concetto che i farmaci somministrati a Uva non possono avere cagionato la morte (dirà Fineschi in udienza: “Io non credo che questa sia la causa di morte di Uva; “non è assolutamente chiaro di cosa sia morto Uva”); per me i farmaci di per sé non sono idonei a determinare la morte”.
I farmaci non c’entrano niente. Diventa sempre più chiaro, udienza dopo udienza, e il giudice non manca mai di ribadirlo: la terapia somministrata fu corretta.
Così come non manca mai di ribadire il clima di violenta contrapposizione delle parti, alimentato dall’ostilità del PM Agostino Abate nei confronti di parte della famiglia Uva, quella assistita dai legali Fabio Anselmo e Fabio Ambrosetti.
Il giudice Muscato rimarca più volte l’esistenza di un procedimento parallelo, sempre intestato ad Agostino Abate, il famoso “fascicolo segreto” che presumibilmente riguarda altre indagini in corso sul decesso di Giuseppe Uva. Indagini delle quali non è dato conoscere i contenuti e che parrebbero contenere preziose testimonianze, oltre a numerosi elementi inediti, non intercorsi nel processo a carico dei medici:
“Certo è che tale procedimento, in quanto afferente alle circostanze che hanno condotto alla morte di Giuseppe Uva, viene a incrociarsi e almeno parzialmente a sovrapporsi con quello confluito nel presente processo. E altrettanto certo è che detto procedimento si trova nella fase delle indagini preliminari ormai da alcuni anni ed è tuttora attivo.”
E conclude:
“Sullo sfondo va rimarcato con chiarezza come costituisca un legittimo diritto dei congiunti di Giuseppe Uva – innanzitutto sul piano dei più elementari sentimenti della specie umana – conoscere, dopo quasi quattro anni, se negli accadimenti intervenuti prima dell’ingresso del loro congiunto in Ospedale siano ravvisabili profili di reato; e ciò tenuto conto che permangono ad oggi ignote le ragioni per le quali Uva Giueppe sia stato prelevato e portato in caserma, così come sconosciuti permangono gli accadimenti intervenuti all’interno della stazione dei Carabinieri di Varese.”
Il dispositivo firmato dal giudice Muscato contiene motivate e giustificatissime critiche all’operato del PM Agostino Abate, dal quale i familiari, la società civile e tutti coloro che seguono il caso attendono ancora risposte precise sul fascicolo chiuso in un cassetto, e su cosa intenda fare per consegnare alla giustizia i responsabili della morte di Giuseppe Uva.
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