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Bahar Kimyongur in carcere: l’Italia obbedisce ad Ankara?

Bisognerà attendere ancora qualche giorno per capire quale sorte la ‘giustizia’ italiana vorrà riservare all’attivista belga di origine turca, Bahar Kimyongür. Arrestato lo scorso 21 novembre dalla Digos all’aeroporto di Bergamo sulla base di un vecchio mandato d’arresto internazionale emesso dall’Interpol su sollecitazione del regime di Ankara, Bahar è rinchiuso nel carcere di Brescia ormai da 12 giorni.

Oggi il Tribunale di Brescia, chiamato a decidere sulla scarcerazione o meno dell’attivista perseguitato da numerosi governi europei complici della Turchia – fu arrestato alcuni mesi fa anche in Spagna, e poi rilasciato su cauzione in attesa di giudizio – ha invece rimandato ogni decisione ai prossimi giorni. Se Bahar venisse estradato ad Ankara, come chiede insistentemente la Turchia, dovrebbe subire un processo per terrorismo, accusa dalla quale è stato più volte scagionato negli ultimi anni. Le accuse nei confronti del giornalista e analista belga sono del resto così inconsistenti, e basate proprio sulla sua attività di controinformazione contro il regime turco, che nel corso dell’udienza di stamattina lo stesso pubblico ministero ha chiesto gli arresti domiciliari mentre l’avvocato difensore, Federico Romoli, ha naturalmente richiesto la scarcerazione del suo cliente. Ma siccome i documenti che dovrebbero sostenere la richiesta turca di estradizione non erano ancora arrivati, il magistrato ha deciso di prendersi altri cinque giorni per decidere se accettare l’avvio di un procedimento che porti all’estradizione o apporre il proprio diniego. Intanto Bahar rimarrà in carcere, nonostante la sua unica “colpa” sia quella di aver raccontato il dramma del trattamento che il regime turco riserva ai detenuti politici – isolamento, tortura – o il sostegno che Ankara concede alle milizie islamiste che da due anni ormai insanguinano la Siria e mettono a rischio l’incolumità delle popolazioni turche che vivono nelle zone di confine con il paese scosso dalla guerra civile. 

Ma le autorità turche imputano al giornalista e attivista una collaborazione con l’organizzazione di estrema sinistra Dhkp-C, considerata terroristica dal regime di Erdogan. Nei giorni scorsi la famiglia del giornalista aveva diffuso un nuovo appello alle autorità italiane affinché mettano subito fine all’ennesimo atto di persecuzione contro Kimyongur: «Il Signor Bahar Kimyongur, cittadino belga, è giornalista e scrittore esperto della situazione politica mediorientale; attivista per la pace e i diritti umani, lavora per l’ONG svizzera “International Institute for Peace, Justice and Human Rights”. [. . .] Le accuse mosse al Signor Kimyongur dalle autorità di Ankara sarebbero sostanzialmente quelle di essere membro del DHKP-C, un’organizzazione turca classificata come terroristica. Si tratta tuttavia di addebiti che in più sedi giurisdizionali all’estero sono già stati ritenuti del tutto inconsistenti ed inidonei a giustificare un’estradizione».

Stamattina, fuori dal tribunale di Brescia, c’erano alcune decine di persone che manifestavano la propria solidarietà all’attivista arrestato.
Mentre in Italia in alcune città nei giorni scorsi si sono tenuti presidi per la scarcerazione dello scrittore senza che i media nostrani dedicassero alcuna attenzione alla vicenda, in Belgio la mobilitazione cresce sia nelle piazze sia sulla stampa. Domenica pomeriggio circa 150 persone hanno manifestato davanti all’ingresso dell’ambasciata italiana a Bruxelles per chiedere la fine della persecuzione contro Bahar e la sua liberazione immediata, denunciando la complicità dei governi europei con un regime repressivo e antidemocratico come quello di Ankara. In particolare il CLEA (Comitato per la libertà d’espressione e di associazione) insiste affinché le autorità di Bruxelles si attivino immediatamente nei confronti del governo italiano per ottenere il rispetto dei diritti del cittadino belga.
La decisione del giudice dovrà essere resa nota al massimo entro venerdì 6 dicembre. Vedremo se anche questa volta la magistratura italiana accetterà di prendere ordini da un governo straniero non proprio immacolato in fatto di democrazia e rispetto dei diritti politici e umani.

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