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Cariche sui migranti a Ventimiglia, un poliziotto muore per infarto

Il groviglio di errori, contraddizioni, ipocrisie, pigra abitudine repressiva, che avvolge la “questione migranti” ha trovato ieri una drammatica – anche se casuale – concretizzazione. Un poliziotto di Genova, inviato a Ventimiglia insieme ad altri per impedire il passaggio in Francia di un folto gruppo di migranti e profughi, è morto per infarto mentre “svolgeva le sue funzioni”.

Cinquantadue anni, sotto il sole di agosto, nell’agitazione inconsulta che percorre di solito una truppa animosa e con forti venature fascio-razziste – basta ascoltare i diversi video che sono stati registrati in loco – e un gruppo di disperati che ha come solo obiettivo arrivare là dove crede di poter trovare un luogo in cui vivere in pace. Una condizione obbiettivamente faticosa e stressante, che ha stroncato un uomo che, con ogni evidenza, non diveva essere lì, o perlomeno non con quelle funzioni “di piazza”. Nessuno sa se oltre alle caratteristiche oggettive – età, clima, tensione, ecc – ci siano state anche dei problemi fisici pregressi, ma a chi guarda le cose con il necessario distacco vede che questa morte è da imputare in toto a una gestione dell’ordine pubblico che non tiene in nessun conto – ovviamente – la sicurezza fisica di chi manifesta e neppure di quanti sono utilizzati per questa non esaltante funzione.

A Ventimiglia stavolta non c’erano poche decine di migranti, ma circa 600 persone rimaste nel centro di accoglienza gestito dalla Croce Rossa. Al loro anche una delegazione di attivisti no borders italiani, tutti insieme più volte caricati dalla polizia. Durante una di queste cariche sovrintendente di polizia Diego Turra siè acasciato al suolo senza vita. Nessun colpo, nessuno scontro fisico, nessuna responsabilità addossabile ai manifestanti. Semplice e tremendo; certamente evitabile se i responsabili del “servizio” ci avessero ragionato sopra.

L’episodio è però ovviamente diventato l’occasione per un po’ di sciacallaggio a buon mercato. A pare le solite parole di circostanza, trasudanti retorica del cordoglio (Renzi, Mattarella e ogni altro politico raggiunto sulla sdraio da una telefonata), l’oscar dell’avvoltoio va al presidente forzitaliota della Regione Liguria, Giovanni Toti. Stressato forse dalla pensata berlusconiana di affidare a Stefano Parisi il compito di rivitalizzare “il partito” (compito prima di fatto affidato al lui, con i risultati che si sono visti), e quindi spinto a cercare visibilità con l’adozione di “argomenti” a là Matteo Salvini, non ha trovato di meglio che chiedere il “pugno duro”. Ci ha tenuto a farsi vedere col petto in fuori: “dolore e rabbia per gli irresponsabili che alimentano tensioni. A Ventimiglia servono agenti e pugno duro, basta perdere tempo”.

Davanti a tanta pochezza, doventa persino ragionevole la presa di posizione di un sindacato di polizia solitamente propenso a sparate destrorse. Una nota del Siulp, infatti, stesa dal segretario Daniele Tissone, si limita a sottolineare l’impossibilità per uomini diuna certa età di affrontare certe situazioni: “Ci auguriamo, alla luce di quanto accaduto, che chi ha responsabilità rispetto anche alla elevazione dei limiti di età del personale che espleta servizio in Polizia si interroghi relativamente al fatto che, in situazioni di elevato stress e pericolo, occorra mettere in campo personale più giovane che, al momento, rappresenta oggi – in generale -, solamente il 12% delle aliquote di tutte le forze di Polizia”.

Ma quando i poliziotti si dimostrano più razionali dei “vertici politici”, significa che la degenerazione è arrivata oltre il pensabile. E probabilmente oltre il recuperabile…

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