Novità importanti nella seconda inchiesta sulla morte in carcere di Stafano Cucchi. “Prendiamo atto con soddisfazione la notizia che ci sarebbero tre carabinieri sotto inchiesta per la morte di Stefano Cucchi. Credo si tratti solo dell’inizio; la verità sta venendo a galla”. Così Fabio Anselmo, legale della famiglia Cucchi, commenta la notizia che vede indagati 3 carabinieri. Lunedì s’incontrerà con il procuratore Pignatone.
“Abbiamo raccolto elementi che crediamo siano di grande contributo per far luce sull’intera vicenda, e li abbiamo immediatamente portati in procura – ha aggiunto Anselmo – Sono certo che la procura avrà fatto molto di più. Questi elementi riguardano sia aspetti medico-legali sia la ricostruzione degli eventi dei quali è rimasto vittima Stefano. Lui è stato pestato probabilmente più volte e poi è morto in conseguenza di quei pestaggi”.
La notizia sulle nuove indagini che che vedono coinvolti alcuni carabinieri è stata data oggi dal Corriere della Sera (qui di seguito l’articolo).
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«Ha mentito sul caso Cucchi». Un carabiniere sotto inchiesta
di Ilaria Sacchettoni
Al vaglio la posizione di altri due militari per le botte al ragazzo. La deposizione del maresciallo Roberto Mandolini in conflitto con i fatti accertati dal pm
Tre carabinieri sono sotto inchiesta per la morte di Stefano Cucchi. Uno di loro, l’ex vicecomandante della stazione di Tor Sapienza dove il ragazzo fu portato la notte dell’arresto (il 15 ottobre 2009), è indagato per falsa testimonianza. Si tratta del maresciallo Roberto Mandolini la cui deposizione al processo d’appello contro medici e agenti della polizia penitenziaria è risultata in conflitto con i fatti accertati dai pm. Gli approfondimenti riguardano anche altri due militari: Alessio Di Bernardo e Raffaele D’Alessandro. Nei loro confronti non è stata ancora formalizzata una contestazione, ma rischiano l’iscrizione al registro degli indagati per lesioni colpose: le percosse inflitte al ragazzo.
Secondo i risultati del processo, Cucchi sarebbe stato malmenato più volte dal momento dell’arresto fino alla detenzione in carcere, passando per le mani degli agenti di custodia. Ma per la prima volta sarebbero coinvolti anche i carabinieri. La prima inchiesta – criticata pesantemente dal difensore della famiglia Fabio Anselmo – non aveva portato a risultati significativi su questo fronte, individuando invece responsabilità della penitenziaria e dei medici del Pertini che ebbero in custodia Cucchi durante la detenzione.
Ora queste sono le prime novità dell’inchiesta bis della Procura di Roma. Dopo l’assoluzione in corte d’appello di medici e agenti della penitenziaria la Procura si è mossa, sollecitata in parallelo da un nuovo esposto della famiglia Cucchi e dalle indicazioni sulla falsa testimonianza di Mandolini fornite dal presidente della Corte d’appello. Il vice comandante di Tor Sapienza, caduto in contraddizione sulla propria partecipazione alle perquisizioni domiciliari eseguite nei confronti di Cucchi, ha spiegato senza convincere le ragioni del mancato fotosegnalamento. Ora il pubblico ministero Giovanni Musarò, al quale è affidata l’inchiesta bis, dovrà accertare anche eventuali omissioni dei militari.
A quanto pare Di Bernardo e D’Alessandro quella notte avrebbero operato in borghese, come Cucchi avrebbe confidato a un altro detenuto di Regina Coeli. C’è però un mistero: né Di Bernardo né D’Alessandro risultano ufficialmente fra chi eseguì l’arresto di quella notte”Abbiamo raccolto elementi che crediamo siano di grande contributo per far luce sull’intera vicenda, e li abbiamo immediatamente portati in procura – ha aggiunto Anselmo – Sono certo che la procura avrà fatto molto di più. Questi elementi riguardano sia aspetti medico-legali sia la ricostruzione degli eventi dei quali è rimasto vittima Stefano. Lui è stato pestato probabilmente più volte e poi è morto in conseguenza di quei pestaggi”.. E allora, come e perché lo avvicinarono? E perché mai, successivamente, non fu fatto il fotosegnalamento presso il comando provinciale dai carabinieri di Roma, come prevede la procedura?
La spiegazione offerta in aula da Mandolini è stata la seguente: «Il signor Cucchi mi disse che non gradiva sporcarsi con l’inchiostro per gli accertamenti dattiloscopici (impronte, ndr) e fotosegnaletici. Dopo questa sua richiesta non ho ritenuto necessario farlo, visto che era una persona tossicodipendente, non l’ho voluto sforzare a fargli questa identificazione e non gli feci fare questi rilievi». Da questo passaggio, ora, bisognerà risalire per accertare la verità.
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