Il percorso è lungo e difficile, le indagini che rinascono di solito tendono a perdersi nel nulla dopo pochi passaggi, sommersi da un dibattito pubblico sempre più tossico, in cui realtà, opinioni e fantasia si mischiano in un discorso che alla fine diventa assurdo.
La storia di Stefano Cucchi è quella di un ragazzo affidato vivo alle cure dello Stato e uscito morto dal repartino del Sandro Pertini di Roma dopo pochi giorni. Questo è, questo dovrebbe bastare.
Invece anni e anni di travaglio giudiziario hanno portato soltanto alla confusione più totale. «Stefano Cucchi è morto di freddo» è la battuta più abusata ma anche più adatta per descrivere quello che è successo nel corso di ben tre gradi di giudizio. Adesso la nuova speranza è un’accusa di falsa testimonianza nei confronti di un carabiniere la cui deposizione in Appello è stata valutata in conflitto con i fatti accertati dalla procura. Ad occuparsi del caso è il pm Giovanni Musarò, attivato in seguito alla presentazione di un esposto da parte della famiglia di Stefano.
L’inchiesta sta scavando soprattutto nelle prime ventiquattr’ore di detenzione di Cucchi, tra il 22 e il 23 settembre del 2009: un tempo piuttosto lungo in cui al giovane geometra non venne scattata nemmeno una foto segnaletica, né gli vennero prese le impronte digitali, né fu effettuato alcun controllo nel database degli arrestati. Questione di procedura: quando in seguito Cucchi entrò a Regina Coeli tutti questi passaggi sarebbero stati fatti. Questo vuol dire che l’arresto di Stefano fu effettuato in condizioni di illegalità? Troppo presto per dirlo, ma a questo punto il sospetto risulta più che fondato.
Gli occhi della procura sono puntati sul maresciallo Roberto Mandolini e sugli appuntati Alessio Di Bernardo e Raffaele D’Alessandro, gli uomini che misero le manette intorno ai polsi di Cucchi. Ancora più nello specifico, il pm Musarò vuole scoprire cosa sia successo tra l’una e le tre della notte in cui Stefano venne arrestato. Con una domanda su tutte: perché non venne portato al comando provinciale dei carabinieri per eseguire gli accertamenti di rito? Altra ipotesi investigativa: il pestaggio cominciò sull’auto di servizio: tra l’arresto e l’arrivo a Tor Sapienza ci fu anche la perquisizione domiciliare in casa dei genitori di Cucchi. Un viaggio dalla durata di un quarto d’ora per andare e un quarto d’ora per tornare. Stefano era agitato, secondo gli investigatori lui non voleva far sapere ai suoi dell’arresto.
I carabinieri hanno reagito con violenza alle sue proteste? Altra domanda alla quale bisognerà trovare una risposta. «Prendiamo atto con soddisfazione della notizia che ci sarebbero carabinieri sotto inchiesta – ha detto l’avvocato dei Cucchi, Fabio Anselmo -. Stefano è stato pestato probabilmente più volte, e in conseguenza di quei pestaggi è morto».
Le domande ancora senza risposta sono tante, e sono anche destinate ad aumentare: più si scava e più il caso Cucchi sembra offrire nuovi spunti investigativi. Se l’inchiesta rinascerà o meno, però, è ancora tutto da vedere.
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