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Detenuto alle Vallette morto per incuria. Il caso non è chiuso

Il caso di Antonio Raddi, detenuto nel carcere delle Vallette a Torino e morto a 28 anni il 20 dicembre 2019, è approdato finalmente in tribunale. Tra qualche giorno verrà discussa la richiesta dei familiari del giovane detenuto di non archiviare l’inchiesta.

La seconda consulenza tecnica ordinata dalla procura, parla di cure non adeguate. La prima era stata giudicata insoddisfacente. Raddi morì per una infezione polmonare dopo avere perso ben 25 chili di peso durante la detenzione.

Raddi, condannato per rapine ed evasione, era entrato alle Vallette il 28 aprile del 2019. Al suo ingresso pesava 80 chili. Otto mesi dopo ne pesava 50. Non era più in grado di bere né mangiare quando, il 13 dicembre, in cella, aveva iniziato, come testimonia il compagno, a “vomitare sangue, per poi svenire“. Ma durante intere settimane gli agenti di custodia e la direzione hanno ritenuto che simulasse.

Il 14 dicembre viene finalmente stato portato al pronto soccorso dell’ospedale torinese Maria Vittoria. La notte, alle 4.46, era entrato in coma. Pochi giorni dopo avviene il decesso. Antonio Gaddi era un ex tossicodipendente. Nessuno sa perché fosse inappetente.

Che fosse un caso grave, lo avevano capito i collaboratori del Garante, che avevano scritto più volte, indicando il timore di “un imminente evento critico“. Il 20 novembre, il medico del carcere rispondeva all’ennesima lettera ipotizzando che la perdita di peso fosse quasi voluta: “Una modalità strumentale per ottenere benefici secondari“.

Già il 4 luglio Raddi, è scritto nella denuncia, “esprime un forte disagio per la restrizione all’undicesima sezione, lamentando di non avere un cuscino, il lungo periodo di trattamento con metadone, muffa nel cibo“.

Il papà, Mario Raddi, chiama più volte l’ufficio del Garante, preoccupato “per il peggioramento delle sue condizioni di salute e la disappetenza” di Antonio, che aveva una patologia neurologica dall’infanzia. Il 16 luglio i collaboratori del Garante lo vedono “particolarmente sofferente“.

Il 7 agosto parte la prima segnalazione. Il 20 agosto arriva la risposta dal direttore del carcere: “Non ci sono particolari criticità“. Nelle settimane successive i genitori vedono il figlio sempre più “deperito“.

Il 23 settembre il Garante, dopo averlo visto, precisa: “C’è un drammatico peggioramento dello stato fisico e psichico. Ha bisogno di supporto psicologico, sostiene di avere visto solo una volta la psichiatra“.

Il 19 novembre è la referente del Serd a chiamare il Garante allarmata e il 2 dicembre a mettere nero su bianco: “Non riesce più a ingerire né solidi né liquidi“.

Il 4 dicembre Antonio si presenta al Garante sulla sedia a rotelle. “Implora di intervenire, ha le stesse sembianze di Stefano Cucchi“, verrà scritto, con la richiesta di “una opportuna e urgente rivalutazione clinica con conseguenti provvedimenti del caso“.

Il 9 dicembre Raddi viene ricoverato alle Molinette: vuole essere dimesso, glielo permettono. Il 6 dicembre era stato al Maria Vittoria per quattro ore: era risultato positivo a metadone, farmaci e Thc. Il 10 dicembre il direttore rassicurava: “Il soggetto è ampiamente monitorato“. Tre giorni dopo il collasso in cella e il ricovero in ospedale.

Gli indagati per la morte di Antonio Raddi sono quattro. Il pubblico ministero ha proposto l’archiviazione perché, sebbene i nuovi consulenti abbiano affermato che il calo di peso avrebbe dovuto essere “contrastato diversamente anche con l’ausilio di approfondimento clinico specialistici e di laboratorio“, non sono stati raccolti elementi sufficienti per stabilire la responsabilità a carico dello staff medico delle Vallette, anche perché, a quanto pare, il detenuto non si mostrava collaborativo.

Il 14 dicembre 2019 fu portato al pronto soccorso del Maria Vittoria: il primario ne certificò l’estremo stato di denutrizione e, agli inquirenti, sottolineò di non avere “mai visto niente del genere in 40 anni“.

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1 Commento


  • Vannini Andrea

    Ora e sempre a morte questo stato criminale e assassino

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