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La tempesta perfetta si deve mangiare i bilanci pubblici

da IlSole24Ore online del 26 giugno 2011

 

La Bri avverte i governi mondiali: occorre tagliare il debito per evitare «il prossimo grande shock»

dal nostro inviato Riccardo Sorrentino

BASILEA – Bisogna essere preparati. Per «opporsi al prossimo grande shock quando inevitabilmente arriverà», per agire «prima che il disastro colpisca ancora». No, non è una previsione né uno scenario quello offerto dal rapporto annuale della Banca dei regolamenti internazionali, pubblicato oggi. Per fortuna. Perché l’organizzazione internazionale di Basilea fu l’unica a capire, prima del 2007, quali rischi si stavano accumulando nel mondo.

È solo un avvertimento: viviamo in un mondo ancora pieno di squilibri, alcuni dei quali generati dalle stesse politiche adottate negli ultimi mesi per evitare il peggio; e non è l’ora di autocompiacersi dei risultati perché «l’economia mondiale l’anno scorso ha continuato a migliorare». Troppe sono le cose ancora da fare.

Il rapporto – nel suo consueto stile, diretto e franco, che lo rende insieme al suo realismo unico nel panorama dei grandi documenti sull’economia globale – si riferisce senza sorprese alla possibilità di una crisi fiscale. Parla di Grecia, Irlanda, o Portogallo? Nulla di tutto questo: quelle crisi «potrebbero impallidire di fronte alle devastazioni che scaturirebbero dalla perdita della fiducia degli investitori nel debito sovrano di una grande economia».

La Bri, dunque, guarda oltre i Pigs, che giustamente occupano le attuali cronache finanziarie. Il problema è sempre lo stesso: troppi debiti. E i debiti, privati o pubblici, si riducono con il rimborso (e quindi il risparmio), il default, la crescita economica e l’inflazione. Di quest’ultima si intravvedono i segnali, ma non sono ancora davvero allarmanti, se non in prospettiva. La Bri richiama però ancora una volta, come sempre negli ultimi anni, sull’effetto dell’enorme liquidità in circolazione sui prezzi degli assets, comprese – ora le cose diventano più chiare anche nelle analisi rigorose – le materie prime.

Il rischio, allora, è quello del collasso, che va affrontato con decisione puntando sulla crescita. Sui problemi fiscali, allora, «l’Europa deve finire il lavoro, una volta per tutte», spiega il rapporto chiedendo misure di lungo periodo. «O si gode della fiducia dei mercati o no – ricorda ancora, su un piano più generale – e quindi una perdita di fiducia sulla volontà e sulla capacità di uno stato di ripagare il proprio debito è caratterizzato più facilmente da bruschi cambiamenti che da una graduale evoluzione».

I governi devono agire e subito, quindi, nella consapevolezza che «tornare semplicemente alla politica fiscale precedente la crisi non sarà sufficiente» e senza troppe preoccupazioni, ora che c’è la ripresa, di soffocare la crescita: «Il rischio più grande è di fare “troppo poco troppo tardi”, non quello di “fare troppo troppo presto”». In questo senso le banche centrali devono evitare di dare la sensazione di monetizzare il debito, ed evitare l’illusione di far tornare crescita e occupazione ai livelli precedenti la crisi.

La Bri pensa che molte analisi sull’output gap, in pratica la crescita che la politica monetaria può ancora stimolare, sia più piccolo di quanto si pensi, forse vicino allo zero. Non si può pensare ancora a sistemi economici – come quelli di inizio secolo – profondamente squilibrati a favore del settore delle costruzioni, che chiede posti di lavoro non specializzati e spiazza altri investimenti più produttivi, e di quello finanziario, sviluppato al punto da trasformarsi da motore della crescita a idrovora di risorse a svantaggio di altre attività economiche.

È un cambiamento strutturale delle economie quello che la Bri chiede, alla quale possono contribuire anche le politiche economiche tradizionali: per esempio riducendo sussidi ad aziende in declino per finanziare attività di formazione dei lavoratori; oppure azzerando gli incentivi ancora esistenti – la deducibilità degli interessi – all’indebitamento.

La fortuna è che gli obiettivi da raggiungere non sono in conflitto: il rialzo dei tassi contiene insieme la domanda domestica in eccesso e gli incentivi ad assumere rischi, mentre una politica monetaria troppo espansiva peggiora entrambi gli squilibri; il rigore fiscale riduce insieme i deficit e i rischi sulla sostenibilità del credito. Una maggiore flessibilità nei cambi, infine, frena insieme le pressioni inflazionistiche dei paesi emergenti e gli squilibri commerciali.

Lo sguardo della Bri è infatti mondiale, e l’invito è sempre quello di guardare alle conseguenze globali delle politiche domestiche, in realtà raramente prese in considerazione. Gli squilibri globali sono infatti maggiori di quelli che si crede: l’attenzione è sempre riservata ai flussi finanziari netti, per esempio ai risparmi cinesi che si dirigono verso gli Usa, l’altra faccia del suo surplus commerciale. Sono i flussi lordi, invece, e quindi bilaterali che sono rilevanti per i rischi che creano alla stabilità finanziaria e che vanno frenati. Non però con i controlli di capitale, che sono una misura straordinaria in grado di creare maggiori squilibri nel lungo periodo.

La stabilità finanziaria, alla fine, è l’obiettivo principale. Il lavoro per assicurarlo sta andando avanti, spiega la Bri ricordando Basilea 3 e il lavoro del Financial stability forum, ma non è finito. Occorrono ancora riforme per «rendere compatibili le regole sugli incentivi: fare in modo cioè di garantire che i manager delle istituzioni finanziarie considerino loro interesse agire in modo da ridurre i rischi di un collasso sistemico». E così come l’anno scorso la Bri spiegò che le istituzioni finanziarie “troppo grandi per fallire” sono “troppo grandi per esistere”, quest’anno l’attenzione si dirige sulle istituzioni sistemicamente importanti, che devono diventare sempre meno rilevanti, e sullo shadow banking.

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