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Divisioni più profonde al vertice Ecofin

Va ricordato che per “i mercati” ogni segno di questo tipo è visto come “problema”, e quindi incentivo a disinvestire in attesa di tempi migliori. Emerge dunque una complessiva inadeguatezza della classe politica e della schiera dei supertecnici – tali dovrebbero essere sia l’americano Tim Geithner che l’europeo Jean-Claude Trichet – rispetto alla dimensione della crisi.

Nella selezione dalla stampa, in testa le preoccupazioni del giornale confindustriale, il più attento a interpretare i “segnali” che arrivano da tutte le parti.

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da Il Sole 24 Ore

Ecofin, miniaccordo sulle nuove regole tra le tensioni

a cura di Stefano Natoli

Va in scena un plateale disaccordo transatlantico a Wroclaw (Breslavia), in Polonia, all’avvio dei lavori del vertice tra responsabili economici dell’Unione europea. Come di consueto il Consiglio Ecofin è stato preceduto dall’Eurogruppo – che tra l’altro ha deciso un allarmante rinvio sul versamento della nuova tranche di aiuti alla Grecia – e che ha registrato una prima assoluta con la partecipazione del segretario al Tesoro americano, Timothy Geithner. Si è quasi autoinvitato, dopo settimane in cui ha martellato gli europei di esortazioni a fare di più per risolvere la crisi debitoria. Solo che la sua zelante incursione sembra aver avuto come unico esito quello di creare irritazione.

Geithner è venuto a fare richieste esplicite, tra cui quella di aumentare la mole del fondo anti crisi europeo. Gelido il presidente dell’Eurogruppo: «Non discutiamo della dotazione del Fondo con paesi che non fanno parte dell’area euro», ha affermato Jean-Claude Juncker, puntualizzando che all’esponente Usa è stato consentito di partecipare solo alla prima fase dell’Eurogruppo (poi è rientrato all’Ecofin che è il Consiglio tra i ministri di tutta l’Ue a 27).

L’esponente americano, per parte sua, ha parlato di «divisioni tra governi dell’area euro e Bce», che pongono «rischi catastrofici» in una fase in cui invece tutti dovrebbero lavorare assieme. Ha redarguito le autorità dell’area euro a fare attenzione alle dichiarazioni, e a evitare «di parlare di smantellamento delle istituzioni dell’euro». In generale «non vogliamo una Europa indebolita da una crisi prolungata, per noi è meglio se l’Europa è più forte e continueremo a fare quanto possiamo per aiutare l’Europa a gestire queste vicende».

Chi oggi forse ha espresso meglio le critiche europee a Geithner è stata l’energica austriaca Maria Fekter, ministro delle Finanze. Rappresenta uno dei paesi scettici sugli aiuti alla Grecia e sull’aumento della mole del Fondo europeo anti crisi, che viene chiesto da Geithner. «Trovo singolare – ha detto – che gli Stati Uniti che accusano fondamentali sui conti pubblici peggiori dei nostri ci vengano a dire cosa fare, laddove quando siamo noi a dare loro suggerimenti ci dicono che non c’è verso».

Olli Rehn, stallo ripresa ma non recessione
Durante la conferenza stampa al termine della prima giornata di lavori all’Ecofin, il commissario europeo agli Affari economici, Olli Rehn, ha detto che la ripresa economica nell’area euro si è indebolita e si profila «uno stallo» durante il secondo semestre, ripetendo che la Commissione non prevede una recessione. Ai responsabili economici dell’Unione europea, Rehn ha illustrato le previsioni aggiornate della Commissione sull’economia, pubblicate ieri e che contengono una revisione al ribasso delle attese sul Pil.

 

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Eurogruppo: 15 giorni alla Grecia per ottenere altri 8 miliardi di aiuti. Geithner: basta parlare di fine dell’euro

a cura di Stefano Natoli

Due settimane. È questo il tempo che l’Eurogruppo ha deciso di dare alla Grecia per prendere le misure di bilancio ed economiche (privatizzazioni comprese) necessarie e ottenere la sesta ‘tranche’ di 8 miliardi di euro. Si dovrà far di tutto per ‘quadrare i conti’ perché va evitato che la Grecia entri in una crisi dei pagamenti. Lo ha comunicato il presidente Jean-Claude Juncker nel corso di una conferenza stampa al termine dei lavori dell’Eurogruppo che si è svolto questa mattina a Wroclaw (Polonia) e che precede l’Ecofin informale allargato ai rappresentanti di tutta l’Ue a 27.

«Significativi gli sforzi delle autorità greche»
La decisione, ha spiegato Juncker, sarà presa sulla base delle risultanze della Troika (Ue-Bce-Fmi) tornata ad Atene «all’inizio di questa settimana» dopo l’interruzione della missione decisa una decina di giorni fa. Il presidente dell’Eurogruppo ha comunque definito «significativi gli sforzi delle autorità greche» e ha detto che sono «benvenute le ulteriori misure annunciate dal Governo per soddisfare gli obiettivi fiscali per il 2011 e il 2012». Anche il commissario europeo agli Affari economici, Olli Rehn, ha osservato che «la Grecia ha espresso la propria determinazione a realizzare pienamente gli impegni». L’esponente dell’esecutivo di Bruxelles non ha però voluto aggiungere niente sulla definizione dei collaterali, le garanzie chieste da alcuni Paesi per sbloccare la nuova tranche di aiuti. «Il lavoro», si è limitato a dire il commissario, «è in corso».

Si complica il caso garanzie, Helsinki non è più sola
Intanto si complica il caso delle garanzie chieste dalla Finlandia per il nuovo prestito ad Atene: Helsinki non è più sola. Si sarebbero infatti accodati altri quattro paesi Eurozona più la Repubblica Ceca, che non fa parte dell’Unione monetaria. Si tratterebbe di Olanda, Austria, Slovenia e Slovacchia. Olanda e Austria stanno guidando la ‘fronda’ dei paesi che continuano da giorni a lanciare lo stesso segnale: non deve essere escluso un ‘default’ della Grecia. La Slovacchia è ostaggio del partito neoliberale, perno della coalizione di centro-destra. La Finlandia ha chiesto delle garanzie finanziarie collaterali per il sì al nuovo prestito alla Grecia. Escluso il contante, si lavora sugli asset immobiliari, sulla partecipazione nel capitale di imprese greche. Non sono chiari i confini legali di una operazione del genere e la concessione di collaterali rischia di confliggere con l’esigenza assoluta del governo Papandreu di ‘fare cassa’ per abbattere l’indebitamento.

Portogallo e Irlanda sulla strada giusta
A differenza di Atene, gli altri due paesi dell’Eurozona che hanno ricevuto aiuti – Irlanda e Portogallo – stanno invece procedendo speditamente sull’attuazione dei loro piani: «Ci congratuliamo per i progressi compiuti» da questi due paesi e – ha detto Juncker – concordiamo con la troika sul fatto che sono in carreggiata sull’attuazione dei loro impegni». Il presidente dell’Eurogruppo si è detto «fiducioso» che «questa determinazione consentirà a questi paesi di superare sfide che stanno affrontando».

Bene la manovra italiana
Fiducia manifestata anche per la Manovra di aggiustamento dei conti pubblici italiani presentata dal ministro Tremonti prima dell’inizio dei lavori dell’Eurogruppo. Juncker ha sottolineato che le autorità italiane hanno «fatto il possibile e approvato misure di cui siamo soddisfatti».

«Chiari segni di rallentamento globale»
Il presidente dell’Eurogruppo ha detto che ci sono chiari segnali di rallentamento dell’economia e, che nello stesso tempo, aumentano le tensioni sui mercati finanziari. Un problema, ha incalzato il commissario europeo agli Affari monetari, Olli Rehn, che l’Europa è chiamata ad «affrontare con una determinazione più forte che mai».

Geithner, Ue e Usa lavorino insieme contro sfide economia globale
Sull’Europa e – sulla sua crisi debitoria – si è espresso anche Timothy Geithner. il segretario Usa al Tesoro – che ha partecipato, fatto inusuale, alla prima fase dei lavori dell’Eurogruppo – ha detto che i politici e i banchieri europei hanno la capacità di contenere la crisi del debito, ma devono «decidere di farlo». Geithner ha invitato gli europei a smetterla di parlare di «smantellamento» dell’euro e soprattutto di litigare: «È un peccato constatare che esiste un conflitto tra i governi e la Banca centrale europea: dovrebbero lavorare assieme per evitare dei rischi catastrofici per i mercati finanziari». Geithner ha ribadito che gli Usa sono molto interessati a quanto sta accadendo in Europa: «Non vogliamo che l’Europa si indebolisca in una crisi prolungata e continueremo a fare qualsiasi cosa per aiutarla a gestire queste sfide». Geithner ha inoltre affermato che per far fronte alle nuove sfide dell’economia globale, Unione europea e Stati Uniti devono lavorare insieme in modo ravvicinato.

Osborne (GB):riconoscere la gravità della situazione
Sui lavori dell’eurozona è intervenuto anche il cancelliere dello scacchiere britannico, George Osborne. Parlando a Manchester prima di partire per la Polonia, Osborne ha detto che dalla riunione dell’Ecofin deve venire «un chiaro segnale che riconoscono la gravità della situazione». Osborne ha aggiunto: «Il tempo stringe. L’Eurozona deve adesso porre in atto il prima possibile l’accordo del 21 luglio, risolvere l’ncertezza riguardo alla Grecia, precisare come intendono attuare l’impegno preso al G7 della scorsa settimana di «prendere tutte le azioni necessarie per assicurare la solidità deii sistemi bancari e dei mercati finanziari». Osborne ha aggiunto che un euro forte è «massicciamente nell’interesse della Gran Bretagna».

 

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Non è la Cina che ci deve salvare

di Giorgio Barba Navaretti

Il ventilato intervento cinese sul mercato secondario del nostro debito sovrano è stato letto come il lancio di una cima di salvataggio. Questa folle idea di salvezza è il riflesso della debolezza dell’Europa. Se per salvarci abbiamo bisogno dei Paesi emergenti, allora mettiamoci il cuore in pace, l’Europa è già perduta.

Il mio non è né un decadente sussulto di orgoglio né una chiamata al protezionismo. Che i Paesi emergenti investano le loro riserve da noi, sia in attività produttive che nel debito sovrano, va benissimo. Del resto già lo fanno, quasi il 30% delle riserve cinesi sono in euro e certamente non tutte in bund tedeschi. E che ci sia un coordinamento nelle politiche economiche globali è ottima cosa.
L’errore è l’idea del salvataggio. Solo l’Europa, infatti, può salvarsi da se stessa. E se i Brics investono nel Vecchio Continente non lo fanno per altruismo ma perché hanno un grande interesse nella sua stabilità. Nel mercato dei denari e delle politiche globali ci si può aiutare ma, a meno di essere un membro marginale della comunità, nessuno può essere salvato, ognuno deve fare la sua parte. Ce lo ricorda appunto il severo rabbuffo con cui il premier cinese Wen Jiabao ha chiuso la vicenda: «Mettete i vostri conti in ordine prima di chiedere l’aiuto cinese».

L’Europa verso l’esterno non può essere divisa. Certo il mondo è piatto e globale, ma ci sono aree più integrate di altre, all’interno delle quali i meccanismi istituzionali di coordinamento e supporto devono per forza essere più forti e stretti. Non ha nessun senso pensare che la Cina possa salvare la Grecia, se la Germania o chi in Europa ha le risorse si ostina a non farlo. Se non altro perché dallo sgretolamento dell’euro la Germania perderebbe circa 20 punti di Pil in un anno, secondo un recente studio di Ubs, sicuramente più della Cina. Finché c’è l’euro di fatto l’Unione monetaria è un’unica grande area di investimento e un solo attore sul mercato globale. Al suo interno ogni Paese membro deve certo fare la sua parte, ma qui avere i conti in ordine significa salvarsi a vicenda se necessario e senza aiuti esterni fintanto che è possibile.

E ancora meno senso ha pensare alla salvezza cinese per l’Italia, quando il nostro Paese ha in sé tutte le risorse necessarie a riprendersi. Non dimentichiamoci che dei famosi 8.600 miliardi di ricchezza delle famiglie di cui tanto si è parlato in questi giorni a proposito di una eventuale patrimoniale, solo il 2,2% sono investiti direttamente in titoli di Stato italiani. Basterebbe una minima riallocazione di questo risparmio per ristabilizzare gli spread dei nostri titoli. E allo stesso modo il Paese è talmente ingessato in lacci e lacciuoli che basterebbe tagliarne un po’ e dare un po’ di certezza di regole per far ripartire la nostra crescita. Ma se non abbiamo fiducia in noi stessi perché mai dovrebbe averne la Cina?

Eppure paradossalmente l’idea bislacca della salvezza cinese non discende da altro che dalla nostra mancanza di fiducia, dalla nostra depressione (intendo psicologica) da troppi anni di stagnazione. Continuando giustamente e inevitabilmente a guardare la crescita dei Paesi emergenti, continuando a pensare come prosperare in quelle lontane terre promesse, ci siamo dimenticati che, benché stagnanti, i mercati più grandi e ricchi siamo ancora noi. Il Pil cinese è oggi il 36% di quello dell’Unione europea e il 40% di quello americano. La Cina e i Paesi emergenti investono in Europa non per aiutarci, ma perché questo è un mercato che vale 450 miliardi di dollari. Solo il surplus (differenza tra esportazioni e importazioni) verso l’Italia ha contribuito l’anno scorso con 20 miliardi di euro all’accumulo di riserve dell’Impero di mezzo.

E comperare debito italiano sul mercato secondario, e così abbassare lo spread tra BTp e bund, significa accrescere le risorse pubbliche da investire in infrastrutture, scuola o altri investimenti per la crescita, che a sua volta si traduce in altro export cinese. Non è salvezza, ma interesse comune!
Confondendo interesse con salvezza, investimenti con aiuti, rischiamo di cedere a poco, in un momento in cui il mercato sottostima ogni asset, pezzi importanti del nostro patrimonio. Oppure di concedere alla Cina condizioni di migliore accesso ai nostri mercati. Non per nulla Wen Jiabao, dopo la rampogna del niente aiuti senza conti in ordine, ha anche aggiunto: però ci potremmo pensare se intanto alla Cina venisse riconosciuto nella Wto lo status di economia di mercato (che di fatto rende più difficile lanciare azioni anti-dumping). Il che per chi come me crede nel libero mercato sarebbe anche cosa buona. Ma in sé, non come controparte di un falso aiuto.

Insomma, un po’ di fiducia in noi stessi per favore, le cime di salvataggio possono essere solo quelle proprie. E infatti, quando le istituzioni fanno quello che devono, vedi le dichiarazioni della Merkel a sostegno della Grecia o l’intervento coordinato delle banche centrali di ieri, i mercati si placano e riprendono a ragionare.

 

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