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G20. Francia e Germania comandano, gli emergenti scalpitano

Al G20 finanza che si è aperto a Parigi la crisi del debito sovrano la fa da padrona per i suoi effetti diretti e indiretti sull’economia mondiale che mostra segnali di rallentamento anche nelle ‘locomotive’ paesi emergenti quali Cina e India e si lavora per arrivare a una soluzione condivisa per il G20 dei capi di stato a Cannes.

Prima della serie di incontri e la cena ufficiale al museo de la Citè al Trocadero, i ministri delle finanze di Francia e Germania Baroin e Schauble e il presidente Nicolas Sarkozy in un incontro bilaterale ribadiscono e specificano i punti dell’accordo dell’asse Parigi-Berlino il cui pacchetto di proposte verrà presentato al vertice Ue del 23 ottobre. Baroin spiega come «nel corso dei prossimi due giorni continueremo le nostre discussioni, ma abbiamo già raggiunto degli accordi che sono molto importanti» su ricapitalizzazione banche e «massimizzazione» dell’Efsf. Schauble invece, accogliendo le istanze delle banche tedesche che si sono opposte al piano Ue di alzare l’asticella del Tier 1 al 9% in breve tempo, ammonisce come «le banche europee devono avere più tempo per aumentare il capitale e nel caso, essere aiutate con mezzi di stato».

Il ministro tedesco liquida come «speculazioni» invece le voci di un ‘haircut’ del 50% del debito della Grecia, un’ipotesi circolata in queste ore sebbene Baroin ammetta che il sacrificio sarà superiore al 21% stabilito in precedenza per il settore privato.

E la crisi del debito Ue fa riscoppiare la ormai annosa questione del ruolo dei paesi emergenti nell’Fmi. Il Fondo ha fatto trapelare nelle ultime settimane la volontà di poter aiutare i paesi europei sotto il fuoco della speculazione come Italia e Spagna. Un impegno che i Brics (Brasile, India, Cina e Sud Africa) hanno colto al volo per riavanzare la loro idea di contribuire con maggiori risorse in cambio di rappresentatività diluendo lo strapotere di Usa e Europa. Una richiesta che appare assolutamente ovvia: non si capisce infatti per quale ragione paesi i difficoltà dovrebbero mantenere una capacità decisionale superiore alle proprie forze reali, “sfruttando” le migliori prestazioni degli emergenti per “aggiustare” le proprie magagne.

Ma dal segretario al tesoro Tim Geithner e poi dal tedesco Wolfgang Schauble sono arrivati subito degli stop alla proposta avanzata a Parigi dal Sud Africa. «Il fondo ha dotazioni sufficienti» hanno detto i due ministri.

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da Il SOle 24 Ore, una fotografia precisa del livello del problema che le “istituzioni internazionali” hanno davanti

Crepe nell’asse Parigi-Berlino

di Luigi Zingales

 

Finalmente il problema della ricapitalizzazione delle banche è al centro del dibattito politico europeo. L’ha introdotto Christine Lagarde, fresca della sua nomina a presidente del Fondo Monetario Internazionale (Fmi). Lo hanno sottolineato Angela Merkel e Nicolas Sarkozy nel loro vertice. Lo ha ripetuto il presidente della Commissione europea Manuel Barroso.

L’instabilità del settore bancario trasmette i problemi di finanza pubblica all’economia reale. L’incertezza sulla solvibilità delle banche rende loro difficile raccogliere fondi sul mercato. Non riuscendo a farlo a costi ragionevoli, le banche smettono di fare prestiti alle imprese. Senza credito l’economia reale si avvita. L’Europa si sta avviando velocemente verso la recessione. Risolvere questa instabilità è condizione necessaria, anche se non sufficiente, per uscire dalla crisi.

Il diavolo – dicono gli inglesi- è nel dettaglio. E questo sicuramente vale per la ricapitalizzazione delle banche. A sentire Sarkozy la ricapitalizzazione dovrebbe avvenire utilizzando il fondo di stabilità europeo. A sentire Barroso dovrebbe essere effettuata dal mercato e poi in misura subordinata dai governi nazionali. A sentire Josef Ackermann, amministratore delegato di Deutsche Bank, non dovrebbe avvenire affatto, perché il mercato non è disponibile e i governi nazionali non hanno soldi e una ricapitalizzazione finirebbe per peggiorare la loro situazione fiscale, indebolendo ulteriormente le banche.

Tutti hanno una parte di ragione, ma tutti soffrono di una visione che è troppo influenzata dai loro problemi personali. Christine Lagarde e Nicolas Sarkozy sono preoccupati dalla situazione francese. Nonostante il rating AAA, la Francia rischia quasi quanto l’Italia. Il sistema bancario francese è molto esposto verso i paesi periferici. L’ostinazione di Sarkozy a «salvare» la Grecia dal default è dettata dalla preoccupazione che le sue banche non reggano ad un tale evento. Il secondo salvataggio della banca franco-belga Dexia è costato complessivamente 4 miliardi di investimenti azionari e 90 miliardi di garanzie, di cui il 35% offerto dalla Francia. Se le tre principali banche francesi (Société Générale, Crédit Agricole e Bnp Paribas) dovessero avere bisogno dello stesso tipo di aiuto, questo costerebbe al governo francese 36 miliardi di investimenti in capitale di rischio e 820 miliardi di garanzie. Aggiungendo queste garanzie al debito corrente la Francia raggiungerebbe un debito pubblico pari al 133% del Pil, peggio del nostro e vicino alla Grecia.

Ergo, Lagarde e Sarkozy vogliono spostare il peso della ricapitalizzazione sull’Europa. Da parte sua Barroso capisce che se il fondo di stabilità viene usato per salvare le banche, nulla resta per qualsiasi altra manovra. Questo non solo non risolve i problemi di fondo (il rischio di insolvenza sovrana), ma esautora di qualsiasi potere la commissione europea, cioè lui. Josef Ackermann, infine, ha ragione che i Governi nazionali non hanno le risorse per salvare le banche, ma questo dovrebbe essere una ragione di più (non di meno) per ricorrere al mercato.

Che fare? L’interazione tra problemi di finanza pubblica e banche rende questa crisi molto più complicata di quella del 2008. Il fallimento di ben due stress test che hanno promosso banche che sono fallite di lì a poco rende questo strumento non più credibile. È necessario un approccio radicale che incida alla fonte del problema: l’eccesso di debito.

Quando un’impresa fondamentalmente sana ha troppi debiti, si effettua una conversione di parte del debito in azioni. Per Stati sovrani e banche questa procedura è molto complicata. Per questo motivo Roberto Perotti ed io abbiamo proposto un piano che di fatto replica il risultato di questa ricapitalizzazione, evitando i problemi tipici dei fallimenti.

La prima parte della nostra proposta è una eurotassa sulle obbligazioni bancarie già emesse (non quelle future), con una aliquota funzione dello spread queste banche pagano sul mercato del credito. Questa tassa ha tre vantaggi: raccoglie gettito, punisce i creditori meno avveduti e penalizza le banche più rischiose.

La seconda parte consiste in un’altra eurotassa, questa volta sul debito sovrano di ogni Paese, anch’essa proporzionale allo spread di ciascun debito sovrano. Anche questa tassa sarebbe applicata allo stock esistente del debito, non sulle nuove emissioni, in modo da non avere effetto sul costo dell’indebitamento. Una tassa del genere di fatto impone un haircut al debito più rischioso, senza causare un default, e ha gli stessi vantaggi della tassa precedente.

C’è un ovvio problema potenziale con questa tassa: poiché il valore del debito scende, potrebbe portare certe banche più vicino al default. Tuttavia, con il gettito ottenuto l’Europa potrebbe fare un’offerta irrinunciabile alle banche: ricapitalizzatevi, o vi ricapitalizziamo noi. In questo secondo caso, si noti che la partecipazione andrebbe all’Efsf (o un ente equivalente) e non ai singoli Governi nazionali, diminuendo così il rischio di interferenze politiche nel mercato del credito.

Questa proposta risolve non solo i problemi finanziari dell’area euro, ma anche i problemi personali dei vari partecipanti. Risolve i problemi sollevati esplicitamente da Josef Ackermann, ovvero che i Governi nazionali non hanno sufficienti risorse per ricapitalizzare le banche. Risolve anche quelli da lui sollevati implicitamente: perché Deutsche Bank, che è gestita meglio, deve pagare per la cattiva gestione delle banche francesi? Nella nostra proposta il costo per ogni banca è proporzionale al rischio che si sono assunte. Risolve i problemi elettorali di Sarkozy, che non vuole dover annunciare ai francesi che il suo Governo ha perso la AAA prima delle elezioni. E quelli di Barroso, disperatamente alla ricerca di un ruolo. Richiede però coraggio politico e leadership. Purtroppo è quello che manca in Europa.

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